martedì 20 dicembre 2016

Avviso ai naviganti

Questo post nasce dal fatto che siamo sotto Natale. Che a Natale si scambiano gli Auguri. Che io gli Auguri, ormai da diverso tempo, li mando via etere con un’immagine che rappresenta sempre un “Vaso di Fiori” della mia collezione di quadri… (anzi per chi li riceve, prego di cliccare sull’immagine per aprirla a tutta pagina a scanso di equivoci… Sigh!). Che quest’anno l’opera, di cui sopra, mi è stata regalata da Beppe Siliprandi, un Amico Speciale. Che il titolo del dipinto è “Vaso di Fiori e Felicità”. Che oltre al materico vaso di fiori, sul dipinto, ci sono raffigurati, alla maniera di Beppe, una bambina con le braccia aperte, (credo di sapere chi è), e una grande ape… L’ape... Simbolo del tempo, dell’eloquenza e dell’intelligenza! Sant’Ambrogio paragonò la Chiesa all'alveare e i membri di una comunità alle api, le quali sono in grado di cogliere il meglio da ogni fiore... Questo l'ho sentito dire sabato scorso durante una funzione di preparazione di mio figlio al catechismo. Qualche Santo, non mi ricordo chi, considerava l’ape un simbolo dello Spirito Santo..., forse sulla base dell’idea che le api vivessero solo del profumo dei fiori, dando così un'immagine di grande purezza e continenza, castità e virtù. L’ape ha sempre giocato un ruolo significativo nell’immaginario cristiano...Da qui la credenza secondo cui le api causino un forte ronzio prima poco prima di mezzanotte della vigilia di Natale in onore del nascituro Gesù…! L’ape, quindi, è anche spesso usata nell’arte pittorica e scultorea cristiana… Si vedono api in rilievo anche sull’altare maggiore della Basilica di San Pietro! Chissà se Beppe lo sa?!? Ogni volta, quando sento ste cose, mi riprometto che ci devo andare più spesso a Messa… (Sigh!). Da molto tempo ci vado solo più per funzioni che mi costringono…! Forse perché ci sono stati tempi, per me, in cui la Messa, la scena cristiana punto di riferimento della mia famiglia, è stata troppo presente e protagonista… Forse per questo si è tranquillamente dissolta nella mia coscienza e nel mio inconscio! Si, sarà perché ho preso troppe Messe e per troppo tempo… (Sigh!). Ho fatto il Chierichetto dalla prima elementare fino alla seconda media…Tutte le mattine!  Andavo a servir Messa a quella delle 7. La domenica e durante le feste comandate servivo Messa a quella delle 7 e a quella delle 9… (Sigh!). Negli ultimi anni, ogni Messa servita una firma..., alla fine si vinceva pure un pallone. Da “gagno”  ho servito non so quante Messe, a San Giovanni. Con Don Lino, Don Renato e Don Michele….! Conosco la liturgia a memoria. A tal punto che potrei  benissimo celebrar Messa e pure cantarla... Sbaglio solo quando si arriva al punto  “…rendila perfetta nell'amore in unione con il nostro Papa Paolo il nostro Vescovo Michele, e tutto l'ordine sacerdotale…”  Mi escono ogni volta ancora Papa Paolo e Vescovo Michele..., quelli da Chierichetto!  Ancora adesso …! Vado filato, di memoria, su Papa Paolo e Vescovo Michele... (Sigh!). Arrivo lì e nomino loro… Sempre! Avrei un casino di cose da raccontare di quando ero Chierichetto e servivo messa...! Mentre scrivo però mi vengono in mente altri ricordi. Indelebili, dell’epoca... Di quando, prima di indossare tutte le mattine l'abito talare, mi svegliavo alle 6…. In piedi c’era già mia madre da un pezzo…, maniaca della pulizia e del far da mangiare…! Mentre mia madre preparava in cucina, ascoltavo la radio…! Che civiltà! In quel periodo, l’unico strumento di comunicazione democratico…Non  richiedeva il saper leggere e nemmeno scrivere! Quello su cui era sintonizzata la radio di casa mia era il giornale radio…, credevo fosse l’unica stazione emittente di allora! Riuscivo a sentire il rumore delle onde elettromagnetiche decodificate in modulazione di frequenza… Alla fine del giornale radio c’era "Avvisi ai naviganti"... col Bollettino del mare…. Chi se lo ricorda? C’era uno speaker dalla voce profonda…, evocativa, espressiva, emozionale, confidenziale…, che cadenzava le parole, quasi le lettere, una a una… leggendole  lentamente… Allora, non capivo perché! Faceva più o meno così: “Avviso ai naviganti... per l'intero Mediterraneo…dal Mare di Alboran…al Mediterraneo orientale…temporali in corso… fenomeni in via di attenuazione…Sul Mar Ligure…onde alte… previste burrasche…da Nord Nordovest…forza 8…sul Mare Adriatico settentrionale…e meridionale...vento di Libeccio…con direzione…. ovest..sud ovest…..di moderata intensità…sul Mar Ionio...cielo coperto…visibilità buona…sul Canale di Sardegna...e quello di Sicilia...mare generalmente calmo…tempo buono… (Sigh!). Buone Feste!

martedì 13 dicembre 2016

Le ossa non le vogliono manco i cani

Il mio passato è stato segnato dalla scarsezza, dall’ansia, dal terrore della fame... E da una grande devozione per il consumo della carne (Sigh!). Propria di una particolare storia ed esperienza di privazione famigliare che, oltre a mitizzarne il suo valore nutritivo, la rendeva prodiga di un benigno compatimento alimentare per allontanare il vertice della piramide dei miserabili… (Sigh!). La mia famiglia, a quei tempi, mangiava la carne, quando andava bene, una volta la settimana, sempre al prezzo di rinunce dolorose...! Nel mondo in cui sono nato e cresciuto, quindi, mi hanno insegnato che la carne è qualcosa di speciale, un bisogno necessario…(Sigh!). Ma anche un prezioso alimento del benessere, dell’abbondanza… Cibo di pochi eletti…, misuratore, ma anche distanziatore alimentare, sociale (Sigh!)! La carne insomma per me, nel passato, ha rappresentato il gioco rituale delle preferenze e delle esclusioni, dei divieti e delle prescrizioni, degli eccessi e delle astinenze. Vivevo la carne, da una parte, come un cibo lusinghiero, un lusso del mangiare bene…, dall’altra, come premura, attenzione, devozione! Ma, anche, come elemento di distinzione, di separazione, di conflitto… Per esempio quando da bambino mi ammalavo e mia madre per risollevarmi mi faceva mangiare la carne, (Sigh!), avevo sempre i sensi di colpa nei confronti del resto della mia famiglia che per me se ne privava! Dall’età adolescenziale, poi, porgo attenzione anche all'intima massima famigliare che recita “le ossa non le vogliono manco i cani”…, ma questa è un’altra storia (Sigh!). Da quando sono diventato virtuoso della carne, quella che si mangia, per scelta e non per necessità, pur preservando l’indice di fedeltà culturale ai valori espressi sopra, il mio rapporto con la carne è cambiato. A tal punto che la carne, nel mio inconscio considerato soprattutto il “mito” alimentare del sistema sociale, la esorcizzo in maniera ludico-culturale alla Fiera del Bue Grasso di Carrù. Rispettoso del principio, anche, per cui il Bollito è considerato da sempre uno degli alimenti dell’uomo fra i più nutrienti, tra i più succulenti, tra i più pregiati…(Sigh!). Non so da quanti anni rinnovo le mie vibrazioni gastronomiche del Bue Grasso di Carrù, con il piacevole sapore di sempre e in linea con la coscienza gastronomica famigliare...(Sigh!). So per certo, però, almeno da più di 25 anni. Da quel tempo infatti, il secondo giovedì prima di Natale, quello del Bue Grasso, è la prima data che fisso con un colpo di evidenziatore a tutta pagina sulla nuova Agenda dell’anno. Al Bue Grasso, non manco mai! Ci vado sempre la mattina prestissimo. Arrivo al Foro Boario di Carrù quando il termometro segna ancora i sottozero, fendendo il più delle volte la nebbia langarola. Accompagnando, orgoglioso, di volta in volta, amici vicini e lontani, nel mio itinerario virtuoso del Bue Grasso. Assistendo, con sapienza, all’arrivo dei camion carichi di bestie, alla pesatura, alle prime trattative commerciali…! Grazie a veterinari, allevatori e macellai, che, nel tempo, mi hanno insegnato a riconoscere le varie categorie, e la qualità delle bestie in concorso, dei buoi grassi nostrani, dei migliorati, dei manzi, dei vitelli, dei torelli della coscia, delle manze grasse, dei tori…! Scruto la giuria di esperti che valutano i capi toccandoli, squadrandoli da testa a piedi, soffermandosi sui culoni di sti animali che commentano comparandoli a certi modelli dei dietro di donne vicine e lontane…! Non mi perdo mai nemmeno la cerimonia di premiazione all’interno dell’”arena”, con la consegna delle gualdrappe, delle medaglie, delle coppe e delle targhe…Come neppure non rinuncio al mio rituale giro... Col primo brodo caldo corretto al Dolcetto, colla stratosferica colazione a base di vin brulè e salumi locali, col giro della piazza che ospita l’esposizione dei mezzi e degli attrezzi agricoli, col lungo aperitivo, rendez-vous da Chiapella, reso unico anche dallo spettacolo musico-teatrale dei Trelilu...! Una volta, ma purtroppo non si fa più da almeno una quindicina d’anni (Sigh!), partecipavo pure alla sfilata dei capi vincitori... Seguendo in marcia lenta, ordinata, le bestie con indosso i trofei, la gualdrappa, le fasce dipinte a mano, le musarole d’oro…(Sigh!). Al ritmo cadenzato dalla corposa Banda Musicale del paese che accompagnava la suggestiva cerimonia… Con gli allevatori che, mostrando orgogliosi le loro bestie, le coppe, le coccarde, e i diplomi, vinti, sorridevano felici soprattutto per aver già venduto, (molto bene), i propri capi a pregiate macellerie nazionali ed internazionali…(Sigh!). Alla fine di tutto, con la corposa compagnia del giorno, si va sempre in qualche ristorante della zona per mangiare il Bollito Misto… 7 tagli di polpa, 7 ammennicoli, 7 salse…, servito insieme a fiumi di vino di Langa. Mentre c’è gente, tutta imbacuccata, che fin dalla prima mattina sfida code interminabili di fila indiana, aspettando il proprio turno per mangiare le quintalate e quintalate di Bollito Misto che preparano nei ristoranti di Carrù o nella gigantesca tensostruttura “Bollito Non Stop”, montata per l’occasione sulla piazza intitolata al Bue…(Sigh). L’edizione 2016, la 106esima del Bue Grasso di Carrù appena conclusa, invece è stata anticipata a giovedì 8 dicembre per farla coincidere con la Festa dell’Immacolata (Sigh!). Presa d’assalto da un delirio di visitatori…, da una paurosa invasione di persone curiose, soprattutto intente a pasturare lungo il serpentone di bancarelle del mercato sparso per tutta Carrù… Sembrava un altro universo sto Bue Grasso…! Pieno zeppo anche di giovani, nostalgici del passato che non verrà più, travestiti con i mitici tabarri, infiocchettati da barbe incolte e baffoni d’altri tempi a punte rigirate, con in testa stravaganti cappelli vintage e in mano il “Tucau”, il famoso bastone che usano gli allevatori per guidare le bestie, diventato ormai segno distintivo e gadget imperdibile della Kermesse (Sigh!)! Anche i Buoi erano più immensi del solito a sto Bue Grasso… Il campione, Attila, pesava 1453 chili! Impossibile non evidenziarlo…, per me che, cresciuto col retaggio culturale della penuria calorica ed economica.., pensando a tutta sta pregiata carne, la immagino già nel piatto a sfamare chissà quante famiglie...(Sigh!).


martedì 6 dicembre 2016

Aperi...che?

Sabato scorso, ore 12.10. Su whatsApp mi arriva un messaggio del mio amico "gastrosofo" Michele Di Carlo, Michel0ne, specializzato in tutto quel che è Drink e anche di più. E' un link ad un video servizio giornalistico andato in onda la sera prima sulla Tv Svizzera RS1, svolto da lui in collaborazione con la redazione ticinese de LA1. Il servizio, dal titolo “Quando di salato c’è solo il conto”, per la rubrica "Patti Chiari", parla degli Aperitivi serviti dai locali specializzati del posto. Con l’analisi sensoriale-organolettica sempre precisa e motivata di Michel0ne. Che, oltre ad esaminare gli elementi che compongono  i drink assaggiati personalmente uno a uno nei bar ticinesi frequentati abitualmente per questo, mette in evidenza il prezzo pagato. Anche in relazione alla professionalità espressa nella preparazione, e a quello  che viene servito in accompagnamento...(Sigh!). Dal video-racconto, oltre la delusione gustativa per la maggior parte dei drink assaggiati, ne è uscito un panorama sconfortante dell’intero "sistema Aperitivi” del Ticino... Anche e soprattutto per i conti, pagati ogni volta, salati e ingiustificati...(doppio Sigh!). Questo, in sintesi, l'Aperitivo in Ticino, secondo il servizio di LA1... E da noi...? Da noi l’Aperitivo è un fenomeno che negli ultimi anni ha preso una piega tutta sua. O è un semplice drink, neanche tanto stuzzicante visto che, se va bene, in alcuni locali ti servono sciattamente miscele incolori e inodori con patatine fritte e/o arachidi..., oppure si esagera...(Sigh!). Con momenti conviviali, spacciati per Aperitivi, che, da drink stuzzicanti per predisporti ad assaporare un successivo pasto al Ristorante, sono diventati veri e propri  banchetti. Momenti infiniti, abbinati, quando va bene, a bollicine dozzinali, bevande fantasiose assurde, o, se no, a bombe alcooliche. Sono gli Apericena, consumati in quasi tutti i nostri Bar...(Sigh!). Una pratica che avanza da qualche decennio, per cui, assieme ad improbabili drink, nei Bar, sfilano banconi di cibo pessimo, omologato e massificato. L’Apericena, è il fenomeno di socializzazione moderna tricolore...(Sigh!), in cui  la crisi dei contenuti culturali legati alla tradizione dell’Aperitivo dilagano, e mettono sempre più in evidenza formule di libera espressione di drink-food modaioli! Io, ogni volta, se posso, fuggo da “ci vediamo per un’Aperi?”. Fuggo da sta desolante e anche debordante cibodrinkmania! Fuggo da sti riti eno-gastronomici creativi che fioriscono, i più, sull'onda del disgusto. Fuggo da certi posti che in nome dell'Aperi millantano pure specialità… Fuggo  da sti revival dell’assai che sono peggio del niente! Fuggo dagli aperifisch, dagli aperipizza, dagli apericheese, dagli aperiveg, dagli aperikm0, dagli aperisushi, dagli aperietnic…, dagli aperichic! Fuggo dagli Happyhour....(Sigh!). Fuggo da cibarie cotte e stracotte…, da rimanenze incerte..., da preparazioni passate e ripassate, non so quante volte al microonde..., da cocktail squilibrati. Fuggo da sti "non-luoghi" che sbordano di gente modaiola che il più delle volte si riempie a scrocco la pancia di intrugli, tra musica a manetta, liquori e chiacchiere intime gridate….(Sigh!). Fuggo, quindi, se posso, da quel meccanismo perverso per cui l’invenzione-costruzione di una cultura di nuove pratiche dell’Aperitivo ha fatto cortocircuitare il sistema...(Sigh!). Fuggo dall’aperipopolo..., dagli apericultori che si abbuffano di tramezzini e pizzette perché considerano l’Aperi  un migliorativo dei rapporti e del dialogo, oltre che un momento terapeutico irrinunciabile che eccita le loro pulsioni libidinose... Fuggo da loro e dal sistema di accelerazione di particelle impazzite, del piacere, che li ha travolti! Fuggo dagli ormoni che, secondo loro, si sviluppano in nome dell’Aperi e favoriscono rituali di socializzazione collettiva contemporanea..., creano legami, unioni..! Fuggo insomma da ste orge moderne dell'Aperi! Perché credo che l’abbandono della grande tradizione dell’Aperitivo, a favore di sta ghiottornia, corrisponda lo stesso passaggio che c’è tra l’arte della seduzione e la tecnica della sveltina...! E non sono un nostalgico! 

martedì 29 novembre 2016

Tu vuo' fa' ll'americano

L’America, il nostro “faro di civiltà” che ci illumina, fa sentire sempre più i suoi effetti, influendo non poco sulla vita di noi italiani. Stimolandoci al cambiamento, suggerendoci comportamenti e modelli di vita, modificando il nostro linguaggio comune, educandoci su come muoverci... A volte anche su come mangiare e su come vestirci (Sigh!). Compagna di viaggio di questa nostra complicata esistenza…., l’America, onnipresente, invadente, markettara, è la sirena dei nostri tempi. Che ci condiziona non poco! Senza colpo ferire però. Anzi, non si sa il perché, ma noi ne subiamo il suo fascino…, come fosse una fata. Sì, l’America è la fabbrica dei nostri sogni! E noi siamo sempre più indaffarati a sognare. Ad importare, ad idolatrare, le usanze americane, trasformandole, anche, senza remore né imbarazzo…! In un parossistico trionfo di menate, di americanate, fatte passare per tradizioni anche nostre (Sigh!). Creando, sulle loro basi, però, modelli personalizzati… , molto italian style! Lascio stare la ridicola ed imbarazzante Halloween come esempio su cui si potrebbe esercitare una facile parodia della nostra civiltà, per concentrarmi su sta smania di catapultarci nell’occasione d’acquisto da non perdersi. E in particolare su sto benedetto Black Friday che mi ha perseguitato e ancora mi perseguita. Il tormentone del Balck Friday, iniziato molte settimane prima del 25 novembre per prepararci a gettarci nello shopping a tutti i costi, infatti, non ha più fine. La santificazione del servilismo commerciale, esibito come folklore tradizionale, che ha come unico scopo quello di spostare le merci dai negozi, dai magazzini, dagli scaffali, dal web, alle case dei consumatori…, qui da noi non finisce più! Quanti di voi, come me, stanno ancora ricevendo messaggi promozionali del Black Friday? Allungato e trasformato prima in Black Week-end, poi Black Week…Non mi meraviglierei se sarà anche Black Month e forse più avanti Black Year… Si perché noi, il Black Friday, l’euforia da acquisto scontato, lo specchio dell’Italia che vuole stare al passo dell’America, lo abbiamo italianizzato. Trasformato, non solo nel periodo più lungo in assoluto, ma anche nella scelta all’acquisto. Non solo più abbigliamento, console di gioco, robot da cucina, Tv led, obiettivi, fotocamere, notebook, smartphone, ultrabook, smartwatch…Da noi si sono aggiunti alla lista stravaganti offerte… Mi è arrivata proprio ieri, on line, anche una promo Black Friday inneggiando prestiti personalizzati (Sigh!). Si, sto Black Friday qui da noi si trascina ancora offrendo di tutto e di più…! Adesso si è pure materializzato, affiancandolo, Cyber Monday… Hops...! Scusate, mentre scrivevo è diventato Cyber Week!... Ringraziando l’America per questo inutile inquinamento di civilizzazione, vorrei riportare tutti noi a mettere ordine alle originali manifestazioni celebrative a stelle e strisce che ci attraggono e ci fanno sognare, prendendo come spunto la famosa canzone di Renato Carosone... “Tu vuo' fa' ll'americano mericano, mericano... ma si' nato in Italy! sient' a mme: nun ce sta niente 'a fa...”  Straordinario inno, in lode satirica, al processo di americanizzazione che sembra scritto ieri!

martedì 22 novembre 2016

Non c'è Vita senza Dono


In questi tempi sorprendentemente avari di bene, vi sono attività febbrili, ardenti, stimolanti, che hanno la forza di innescare desideri e passioni tali da farti pensare che se ti impegni, anche poco poco, puoi migliorare le cose di questo mondo. Ieri sera a Bergamo, presso Saps Agnelli Cooking Lab, ho partecipato alla cena, curata da Niko Romito, che la Onlus Mission Bambini di Milano ha organizzato in collaborazione con la famiglia Agnelli di Bergamo della rinomata storica azienda che produce Pentole. Per raccogliere fondi da destinare a nobili iniziative. Un momento autentico, che si rinnova ogni fine anno, ormai da quattro anni con gli stessi interpreti, col desiderio di creare un’occasione per stare insieme, piacevolmente, per donare a chi ne ha bisogno. Quest'anno per costruire e mettere in sicurezza alcune strutture d'accoglienza per i bambini del centro Italia colpiti dal terremoto. Dove l’estro di Niko Romito in cucina, con le su icone di gusto ad alta definizione, ogni volta funziona meravigliosamente da edificante stimolo mitico per i donatori! Se donare è una di quelle parole buone…, di cui non si può dire che bene…., la stessa cosa vale per chi dona! E la vita del donatore è amore che mette in moto azioni. Come quelle di Mission Bambini. Le sue azioni fino ad oggi sono come eterne fotografie nell’anima incubatrice dei sogni per la vita.., la formula magica del dono: 1.250.000 bambini aiutati, 1.355 progetti sostenuti, 72 paesi coinvolti. Numeri che fanno riflettere su quanta gioia può impregnarsi quella spugna che chiamiamo cuore…, attraverso il dono! Quel dono autentico che presuppone un vero altruismo! Mission Bambini ieri sera, nello spazio Pentole Agnelli, trasformato ad Agorà del Bene, ha saputo di nuovo distribuire, con semplicità, questa prodigiosa medicina dell’anima e del cuore. Anche un beatificante viatico della mente, per chi c'era! Accompagnando il donatore in dimensioni umane felici, in contrade di gioia indescrivibile….! Aprendo un nuovo solco in questa terra, per lenire, per curare, lo strazio che c’è nella vita di tante persone! Che bello pensare che grazie a ieri sera alcuni bambini potranno vivere la loro vita con il sorriso…! Grazie a tutte le persone speciali presenti…! Ma soprattutto grazie agli straordinari medici, impegnati, extra lavoro, nella Onlus milanese. Non si possono riassumere in poche righe certe cose eccezionali che questi medici riescono a fare per i bambini bisognosi del mondo. Medici volontari, dalla granitica filosofia morale, che nei periodi in cui potrebbero riposare, invece, girano per il mondo a innaffiare e alimentare il legno della vita! Con atti intensi! Veri! Operando cuoricini grandi come un mio pollice!! Medici dalla professionalità, perenne e vigorosa come l’animo che li distingue, che, in sordina, a gratis, salvano vite di neonati rimettendo in moto minuscoli cuori. Non me ne voglia l’infinita fantasmagoria di odori e sapori della prelibata tavolozza culinaria preparata ieri sera da Niko Romito con la sua brigata…, e nemmeno Maria Ida Avallone dell'azienda Villa Matilde che ha contribuito al piacere conviviale coi suoi straordinari vini..! Ma ieri sera ho avuto la fortuna di assaggiare un pezzo di quella felicità paradisiaca, di quella gioia sconfinata, di quel frammento edenico, inebriante, della vita, che solo il dono autentico sa procurare….

martedì 15 novembre 2016

Mangia, che cresci

L’imperativo “Mangia, che cresci” mi ha accompagnato per un bel pezzo della mia giovane vita. …. Se dovessi fare una sorta di bibliografia alimentare, di meditazione sul mio rapporto del cibo con la crescita in altezza..., la mia vita in attesa dei centimetri che non arrivavano mai..., non posso che ricordare “Mangia, che cresci”. Si, perché la mia giovinezza è stata segnata da un rapporto costante, sofferto, sfuggente, con la crescita, lenta…., anzi lentissima! Fonte di ossessione, squilibrio, smarrimento, dolore. “Mangia, che cresci", come l'utopia per diventare alto... Più per gli altri che per me, però, a dire il vero. “Mangia che cresci”, infatti, è stato, per anni e anni, il midollo suggestivo.., la sostanza vitale..., la religione..., soprattutto di chi mi stava vicino e mi voleva bene. Anche se me lo dicevano alla chetichella un po’ tutti. Tutti, elevati all'ordine di esperti della crescita, che mi nominavano, insieme, anche sto benedetto sviluppo come colpevole. Ho ingoiato di tutto e di più.., e anche la bile non so quante volte, in vibrante attesa di sta benedetta crescita. Perché, sia pure ritenendola assai improbabile, visto che me lo dicevano tutti, non ho mai escluso l’eventualità. La colpa però, di tutta sta smania di farmi sempre dire "Mangia, che cresci" , è stata mia. La mia partita coi centimetri infatti l’ho aperta io quando mi feci prendere dalla passione per la Pallacanestro. Facevo le prime classi elementari…, andai a provare sto sport. Me ne innamorai. Del Basket mi piace la velocità, il contatto fisico, la giocata a sorpresa. C’ho giocato, un po’ di anni. Ma la scarto in altezza era troppo… La mia bassezza fisica non me lo permetteva. Nonostante la mia naturale attitudine a sto sport... Al palleggio, col controllo di palla con entrambe le mani, alla visione di gioco, alla capacità di servire i compagni con passaggi smarcanti, al buon tiro a canestro. Mi mancava il rimbalzo però! Mai riuscito a conquistarne uno. Come pure non ho mai avuto la meglio su un “palla a due” (Sigh!!) E anche non ho mai fatto un terzo tempo senza l’angoscia che qualcuno, solo dall’alto della sua statura, mi umiliasse stoppandomi il tiro mentre io, paonazzo, ero tutto sollevato da terra... Che sofferenza le mie partite a Pallacanestro! Soprattutto quando difendevo, saltellando come un grillo senza riuscire ad ostruire i passaggi degli avversari! Mentre loro, coetanei più alti di me di almeno 20 centimetri, solo alzando le braccia riuscivano a neutralizzarmi. Ricordo una fatica di Ercole alle partite! La bocca asciutta che non mi lasciava mai per tutto il tempo. Il cuore che andava a mille senza che riuscissi a fare tutto quel che avrei voluto. “Mangia che cresci”, alla fine, era quello che mi sentivo dire in coro ogni volta uscito dal campo... Ogni volta l’incoraggiamento era lo stesso: “Mangia, che cresci”. Dopo un po’, sta cosa, per me era diventata come una presa per il culo...! Ma.., non mi sono mai arroccato sulla malinconia rassegnata del basso! Nonostante quest’inquietudine, sempre di più per quelli che mi volevano bene che mia, lambiva i limiti della paranoia. Anche perché io quando guardavo dall’altra parte della barricata, più in su del mio metro e qualcosa, non invidiavo niente...! I primi ad opporsi con tutti i mezzi al destino che mi aveva spedito fra i bassi erano i Miei. Che mi rimpinzavano di ogni bendidio, aspirando per me il paradiso dei giganti... Che andavano a cercare in ogni dove, indulgente soddisfazione a sto problema... Non farmi disarcionare quindi dalla bassezza, per me, è stato un esercizio gratificante su cui mi sono ben allenato... Con buona pace della cocciuta speranza di tutti quelli che esercitavano su di me sto mantra, “Mangia, Che cresci”, come una forma di rodeo mentale…! E la mia “piccola” gloria sportiva l’ho avuta lo stesso... Col Calcio! Chi m’ha visto giocare a pallone dice che ero un campioncino (Sigh!). Un po’ troppo “geloso” della palla, visto che la trattenevo tra i miei piedi più del dovuto…, ma ero un buon numero 10..., con occhi avanti e dietro. Quello che sapeva far girare la palla in campo ed una buona visione del gioco insomma…. In più, come le mani per il Basket, avevo tutti e due i piedi buoni! Mi piaceva scartare, lanciare, tirare punizioni e anche i rigori… Ci riuscivo bene! Credo di aver sbagliato pochi tiri dal dischetto, tirandone tantissimi. A Calcio ho smesso di giocare a metà degli anni ’80, quando in campo mimavo Platinì nel lanciare le punte e nel tirare le punizioni. Quelle dal limite dell’area che calciavo con l'interno del piede, indifferentemente destro o sinistro, facendo girare, e scendere di colpo la palla, infilandola in rete all’incrocio dei pali. Qualche soddisfazione giocando a calcio, me la sono presa…Qualche campionato o torneo estivo l'ho vinto. Come ho vinto anche qualche "trofeuccio" personale da capocannoniere o da miglior giocatore. Conservo con orgoglio ancora immagini e qualche articoletto di stampa locale che parla delle mie giocate... La sfida coi centimetri non l’ho vinta, ma manco del tutto perduta.... Forza Enri!

martedì 8 novembre 2016

Punto di non ritorno

Lewis Thomas (1913-1993 medico e scrittore), parecchio tempo fa mi ha fatto scoprire la parola “Dghem”, l’antico termine indo-europeo corrispondente a “Madre Terra”. E la filosofia che sta alla base della Madre Terra che dona la vita, col suo terreno fertile! Credo di aver ha assorbito bene, (forse, troppo.., Sigh! ), il concetto di terra vivente a tal punto che mi impegno da sempre per la causa! O comunque, quanto basta, per farne il mio stile di vita quotidiano e anche motivo di insegnamento per mio figlio Enrico! Proprio a lui, che vive liberamente il suo amore per la natura, da un po' di tempo tento di spiegargli, nel mio forcing pedagogico, come le diverse generazioni  umane, dalla nascita, partecipano all’evoluzione della terra…Di come possiamo entrare in un rapporto profondamente significativo e creativo con essa…, di come riuscire a definire con lei un rapporto fondamentale…, di come la terra sia un insieme co-dipendente ed armonioso se rispettata… Mi prodigo, senza rompergli troppo i maroni però, per rafforzare la sua relazione con la terra nei semplici gesti quotidiani. Cercando di fargli capire le utili forme di interazione che tengono unito il tessuto del sistema naturale da cui dipende la qualità della vita. In poche parole, tento di creargli modelli di relazione fra lui, la terra, la vita. In cambio, Enrico, mi interroga sulle origini della terra…, su com’era…, su com’è…, su come si sta trasformando… In questo periodo lo fa un po’ più insistentemente… Probabilmente perché tra le sue materie scolastiche, (fa terza elementare), la “new entry” Scienze lo ha conquistato così tanto da fargli dire, oggi, che da grande vorrebbe fare lo scienziato. O forse perché è attento alle ultime notizie che parlano di lesioni alla Terra e all’uomo consumati da terremoti, da trombe d’aria, da tornadi, da inondazioni… La sua curiosità sull’argomento e le sue scrupolose domande sulla terra e sui fenomeni della natura, lo spingono a volte in ragionamenti fantascientifici, da cartoni animati dei Supereroi…, arricchiti oltre ogni limite dalla sua creativa immaginazione e dal suo sentimento. Capirete quindi la mia difficoltà a mettere in piedi risposte, esperimenti, esempi, credibili per le sue "precise" domande su uno e sull’altro fenomeno. Ma anche sulle proprietà del nostro Pianeta, sui cambiamenti climatici…! Così per un po' di giorni mi sono attorcigliato sul ragionamento, cercando appigli un po' dappertutto per fargli capire le cause dell'effetto serra dell'atmosfera, il surriscaldamento dovuto alle pratiche umane, all'utilizzo dei combustibili fossili, alla deforestazione, all'allevamento, all'agricoltura intensiva…..Fino a quando la sua infinita curiosità sull’argomento, e le riserve dimostrate alle mie spiegazioni, mi hanno spinto a cercare aiuto... E’ così che ho scovato "Punto di non ritorno”, “Before the Flood”! Un bel documentario girato da Leonardo Di Caprio postato su You Tube da National Geographic. "Punto di non ritorno" fornisce, in modo chiaro, tutte le risposte che avevo cercato per Enrico. Su come il riscaldamento globale sta cambiando la Terra, su quali sono le sue cause e che cosa possiamo ancora fare per ridurne gli effetti. Con immagini che sul piccolo schermo si succedono con ritmo da produzione hollywoodiana... Enrico ed io, abbiamo passato un’ora e mezza concentrati sul tema con Di Caprio a ipnotizzarci come in un film. Con Enrico che guardando con attenzione lo scioglimento dei ghiacciai della Groenlandia, le foreste incenerite dell’Indonesia, le strade inquinate di Pechino, cercava i miei occhi, ma senza domandarmi…Dicendo, non dicendo, che finalmente aveva capito...! Che se continua così, ci siamo giocati il pianeta...


martedì 1 novembre 2016

La Cucina (Sicula) dell'Amore

Confesso che sento così forte il richiamo della Sicilia, delle mie irrinunciabili origini, che ogni volta che ne sento le sue vibrazioni mi faccio beatamente trascinare. Giovedì scorso, l’occasione per godere di questo principio era troppo ghiotta per rinunciare. Due amici cuochi siculi di vecchia data, Carmelo Chiaramonte e Giuseppe Pappalardo, si trovavano insieme, a Milano, nello stesso posto, impegnati in due differenti iniziative per rappresentare in forme diverse, la gastronomia della mia Terra. Tutti e due ospiti di MGM - un’azienda modello con sede in un particolare immobile che all’ombra della Madonnina custodisce la memoria edilizia di una ex fabbrica cittadina di inizio ‘900 - che distribuisce prodotti agroalimentari selezionati con certosina attenzione dal suo patron Maurizio Vaglia. Così giovedì, senza pensarci troppo, ho colto al volo il loro eccezionale invito e mi sono catapultato lì per godermi il programma. Carmelo e Giuseppe, seppur con le origini e la grammatica della cucina come segni particolari della loro carta d’identità, sono due ambasciatori della cucina completamente diversi. Carmelo Chiaramonte, personaggio poliedrico e multiforme, è un irrefrenabile cuoco vagabondo fornito di un’incredibile grazia acrobatica nel suo fascino verbale. Giuseppe Pappalardo è invece un cuoco tutto d'un pezzo, preciso. Consulente di aziende del settore, capace di interpretare con estro e professionalità l’attuale sistema della cucina e, di riflesso, i profondi mutamenti che stanno avvenendo nella stessa. In comune, i due, hanno la capacità di rendere naturale il soprannaturale. Come sanno fare solo i grandi! Giuseppe Pappalardo nel pomeriggio, capace di oltrepassare la soglia che separa Gastronomia ed alchimia, ha dimostrato con sapienza ed armonia il valore dell’artigianalità agroalimentare di alcuni suoi prodotti a marchio “Tanto Quanto Basta della Sicilia”. Conquistando, oltre che il sottoscritto, un bel po' di professionisti del settore che riempivano l'attrezzatissima sala show cooking di MGM. Con il racconto, la dimostrazione, la cultura, la bontà, di ciascuno dei prodotti che Giuseppe scova in giro per l’Isola. Oltre che con la sublimazione delle sue preparazioni culinarie! La sera invece, Carmelo Chiaramonte, a cui per innata congenialità e tradizione etnico culturale da un po' di tempo il palcoscenico gli è affine, ha riconfermato il suo carattere soprattutto di uomo dal forte sapore siciliano, audace, dotto ed estroso, fino all’eccentricità. Con la sua performance teatrale-culinaria dal titolo “La Cucina dell’Amore”, uno spettacolo monologo conversazione, dal sapore piccante, sul tema Cucina, Amore, Tenerezza e Sesso ideato da lui. Perché come dice Carmelo, c’è una corrispondenza speculare tra loro…E uno non può escludere l’altro. Sulla linea della grande tradizione eccentrica e non conformista siciliana, Carmelo in due ore, in una bella sala dell’MGM adattata per l’occasione a Teatro e gremita fino all’orlo, è riuscito a confezionare un’opera di pungente vitalità, di autorevole personale fattura. Partendo dal consiglio alla lettura! Elencando la ricca e lunga bibliografia da cui lui ha preso spunto per dare origine alla sua brillante esibizione... Fra tutti,“La Cucina dell’Amore” di Romeo Prampolini, intellettuale bon vivant catanese scomparso una quarantina di anni fa, che ha scritto il “saggio” culinario afrodisiaco scelto da Carmelo per il titolo della sua opera. In ogni passo della prova di Carmelo, giovedì scorso, si sono succediti miti antichi e riti del presente della cucina dei sensi. Tra ricettacoli di virilità, piatti per primi incontri e materie prime che diventano materia gastronomica sessuale di primaria importanza. Piatti e ricette immorali associati ai sensi, anche immaginati, raccontati. Un antologia di classe, non anonima né impersonale, dove l’implacabile erudizione culinaria dell’autore, combinata a recuperi folklorici, insaporiti dallo spirito arguto e scanzonato del Cuoco Siciliano Vagabondo, è diventata commedia. Descrizioni di campagne incantevoli, di nature superbe, di vedute piccanti, di pensieri goduriosi, di piatti maestosi... Di prodotti ambigui a cui si devono più orticarie che coiti, di rapporti primordiali peccaminosi... Di scenari di amanti sotto e sopra le lenzuola! Che Carmelo ha saputo trescare con sapienza per il suo fine. Tanto che le parodie dell’atto sessuale e lo sproloquio grazianesco collegato al godimento, sia maschile che femminile, sono stati interpretati saggiamente, con disinvoltura, senza mezza voce da questo Cuoco buongustaio dall’aria contadina sicula. Carmelo, colloquiando familiarmente colla sala, ha saputo descrivere, con coscienzioso sforzo, la simbologia gastronomica della riproduzione umana nel Mediterraneo. Le specialità vaginoformi, i prodotti fallici, da forno o da frutta che siano, i formaggi e le preparazioni culinarie a forma di “tette” consolatrici…Che, soprattutto nel nostro Sud, richiamano tradizionali credo di fertilità, abbondanza, buon auspicio, virilità…! Riducendo a preziosi artifici teatrali la preparazione delle ricette, gli odori intimi, dell’uomo e della donna, come magici rituali dai mille messaggi. Forme, gusti, sapori, odori, descritti con chiazze di dialetto siciliano furbesco, in un incrociarsi di tecniche e tradizione espressive in cui ci sta tutto il meridione: il proverbio, l’indovinello, la farsa, la commedia, la favola, i ricordi, i consigli, gli ammaestramenti. Abolendo i repertori culinari moderni che di sti tempi dominano incontrastati in ogni dove, nati all’insegna del tecnicismo esasperato, della precisione, dell’essenzialità, della compostezza. Che spengono il diletto dell’arte del cucinare e respingono i rapporti confidenziali, prima e dopo la consumazione, sia a casa che al ristorante. Carmelo Chiaramonte in “La Cucina dell’Amore”, ha saputo mettere in scena, con innegabile originalità, l’erotismo a tavola, soprattutto i sensi dell’amore, attraverso una copiosa e colta aneddotica, storica e letteraria, dall’approccio squisitamente libertino... Che Spettacolo!

martedì 25 ottobre 2016

Rituale guidaiolo

Non c’è nessun fenomeno storico impressionante come la nascita di una civilizzazione culturale. Quella moderna oggi passa anche dalla Gastronomica. E quindi anche per le Guide ai Ristoranti, uno degli estensori di questa voce. Ottobre-Novembre è il tempo in cui si presentano le nuove edizioni delle Guide dei Ristoranti. Ciascuna dicendo la sua sul variegato panorama. Alla fine, tutte, quasi la stessa. La Michelin, in ordine di tempo è però sempre l’ultima a dirla...  Così per non rimanere in ombra quando le Altre si mostrano, tenta il colpo a sorpresa… Quest’anno se n’è uscita con sta notizia: “Il prossimo 5 dicembre una “preziosa” collezione composta da 108 volumi della Guida Michelin sulla Francia, pubblicate tra il 1900 e il 2016, andrà in asta..! Da Christie's, a Parigi, partendo da una stima compresa fra 25 e 30mila euro”. (Sigh!!). Per chi non lo sapesse, la fama di questo monarca assoluto della ristorazione nasce allorquando - da vademecum per i primi automobilisti di Francia che li informava sullo stato delle strade, su dove rifornirsi di carburante, sugli indirizzi dei meccanici e ovviamente sui punti di assistenza Michelin -  la Guida crea una sezione dedicata ad Alberghi e Ristoranti “raccomandati”. Era il 1922. Nel 1926 fece il suo debutto una piccola Stella nera accanto al nome dell'hotel per indicare la presenza di una “tavola rinomata”. Il meccanismo di una, due, tre stelle, Michelin, oggi riferimento mondiale primario della ristorazione che "conta", arrivò nel 1931. Oltre 100 anni di storia, venduta in circa 90 paesi e disponibile ormai in 14 edizioni che coprono 23 paesi, la Rossa, come la chiamano tutti, è diventata l’onnipotente guida delle tavole. Mediatrice fra popolo di consumatori e cucinieri d'élite di mezzo mondo. Che decide ogni anno dell’eccellenza di ristoranti e di chef assunti a sacerdoti stellati officianti delle nostre mense felici... Nonostante sia palese che, per la Rossa, ma anche per qualsiasi altra Guida, giudicare le cibarie ogni anno è solo un pretesto per l’arrampicata verso il successo editoriale, entrando dalla porta della cucina (Sigh!!). Ma tant’è…! Gli chef e i ristoratori, hanno accettato da tempo l’edificazione della forza “critica”..., stretti alle Guide in un abbraccio economicamente fecondo, illudendosi anche di appartenere ad un mondo privilegiato. Soprattutto con la Rossa! Capace più delle altre, grazie alla sua capacità di parlare più lingue, di attirare l’attenzione mediatica e di consumatori mondiali. Favorendo ogni anno una stupefacente sontuosa sfilata esibizionistica di mirabolanti chef. Con le Stelle...! Che da corpi celesti sono state trasformate in gonfaloni! In titolo assoluto, anche ossessionante e oggetto di tortura, a volte, per qualcuno di questi! La più ambita simbologia del livello gastronomico raggiunto, obiettivo primario! Le Stelle....! Contese, discusse, ammirate, esaltate, cercate, esposte, tatuate, comunicate, invidiate... Anche rifiutate. Trasformate in divinità della tavola da anonime penne gourmet, patentate da non sappiamo chi, che ogni anno ci dicono quali sono i menu "stellari". Schiere (??) di gastronomi, fiduciari dell’editore francese, che raccontano ai nostri stomaci analfabeti i sapori delle patrie cucine. Che mettono nero su bianco il nuovo psicodramma collettivo della civilizzazione culturale moderna, la simulazione di felicità struggenti della tavola. Facendole diventare icone attraenti, con il pensiero e la filosofia d'oltralpe (Sigh!). Le Stelle...! Seppur francesi, detengono da sempre, da noi, il copyright di superiorità critica gastronomica. Estrosi “gioielli culturali”, dal tono rigidamente imperativo. Modelli inscalfibili, del “giudizio” culinario  nonostante i tentativi da parte di orgogliose penne critiche nostrane e vocate, di trovare un simbolo di elevazione più alto che potesse spodestarle dal patriottismo cucinario… Il grande compianto Gino Veronelli, rimanendo su un astro di pari luminosità, ma più vicino alla terra, ci provò con i Soli. La guida L’Espresso, fino a ieri ancorata ai Ventesimi, oggi ci prova con i Cappelli. Mentre il Gambero Rosso dispensa da sempre le Forchette. Ma c'è una cosa che rende tutte uguali le Guide dei Ristoranti! E’ il numero dei simboli inquisitori che distribuiscono in giro: 1-2-3. Dove il 3, per uno chef e un ristorante, è l’apoteosi, il gradino più alto...., della Rossa anche l'internazionalità del mito. L'1 invece è il maglioncino di cachemire su misura, cercato a tutti i costi, che avvolge e ripara..., la soglia di ingresso nel panorama che conta, ma guai tornare a zero. Il 2 invece è il meno urlato e anche quello meno ambito. E' il desolante limbo infelice da cui si vorrebbe solo passare velocemente, e mai sostare più di un paio d'anni, per arrivare al 3. Se no tanto meglio rimanere all' 1..., che spaventa meno i clienti! 

martedì 18 ottobre 2016

Maledetto sud

Ahh, ahh, ahh! Sti burloni di inglesi ne hanno combinata un’altra. Parlo dei moduli di iscrizione alle loro scuole in cui chiedono ai candidati stranieri, tra le altre cose, la nazionalità. E per l’italiana hanno inserito tre distinte voci per schedare gli studenti compaesani: "Italiani", "Italiani-Siciliani", "Italiani-Napoletani" (Sigh!). Mi immagino l’ambiguo burocrate inglese che ha redatto il questionario…Un nazionalista nostalgico dell'età vittoriana, dotato del famoso humor. Un fondista dei lord inglesi. Uno che edifica nella sua mente imperi eterni (per fortuna destinati a diventare polvere). Un divulgatore teorico dell'inferiorità razziale dei meridionali. Che quando è stata l'ora di redigere il modulo s’è voluto vendicare…Manipolando il pezzo di carta in questione, inventando distinzioni e tipizzazioni, in modo da farlo diventare un documento offensivo ed ostile con la potenza degli stereotipi della razza maledetta che ha nella sua testa, mangiaspaghettiepizza, nullafacenti, sudici, mafiosi.... Per l’onta subita dal suo paese quando la dinastia dei Borbone regnava il Regno di Napoli e il Regno di Sicilia. In particolare ricordandosi dello sgarbo che Ferdinando II° fece all’Inghilterra quando salì al trono! Allorquando Ferdinando II° decise che il suo regno doveva essere un organismo politico nelle cui faccende nessun altro Stato avesse da immischiarsi…! Per l’Inghilterra, che era stata la protettrice e dominatrice della sua dinastia nel ventennio della Rivoluzione e dell'Impero, quello fu un vero e proprio atto di insubordinazione! Anzi, qualcosa di più, il desiderio del Regno delle Due Sicilie di elevarsi, affrancandosi da antiche subalternità, al rango di medio-grande potenza. Tant’è che da quel momento l’Inghilterra iniziò a tramare per destabilizzarlo… Con un crescendo di ostilità che contribuirono  a porre fine, una volta per tutte, alle velleità di autonomia del più grande "Piccolo Stato" della Penisola. Sto galantuomo di funzionario "moderno", s'è però legato al dito lo sgarbo....Usando il suo "sarcasmo" come fosse una medicina per guarire dal male che il Regno delle Due Sicilie gli ha fatto patire per tutto sto tempo.. Mettendo, pure, nel suo modulo dai contenuti razziali, sotto la voce “italiani”, tutto il resto: il Regno Sabaudo, il Gran Ducato dei Medici, i Principati Padani......Anche la Roma Papale (Sigh!). Facendo incazzare così, anche Salvini e "salviniani"...! Ma si sa….! Gli inglesi, da un po’ di tempo a sta parte, sono sempre alla ricerca di un pizzico di ironia per ravvivare la giornata! Alla provocazione di cotanto stile inglese, m'immagino come avrebbe risposto al questionario il compianto Dario Fo (di cui conservo uno speciale ricordo di una bellissima giornata passata assieme anche con la sua Franca Rame a Torino, dietro le quinte del mio vecchio Mondo, tra cibo, farsa e favola….). Che, prendendo spunto dalla letteratura carnevalesca di cui andava ghiotto, immedesimandosi in Bertoldo quando Alboino gli chiese  “Chi sei tu, quando nascesti e di che parte sei?”, rispose, “Io sono un uomo, nacqui quando mia madre mi fece, e il mio paese è in questo mondo”.

martedì 11 ottobre 2016

Regia della Tavola

L’eccessiva voracità creativa e vitalistica della cucina di oggi, chiamata a divenire ragionata filosofia di vita di molti giovani grazie ad un’esposizione mediatica mai vista prima, dimentica spesso il valore intero dell'ospitalità. Nel furore mediatico il ristorante è diventato un luogo somatico dove la creatività del cuoco si insedia e si transunstanzia in icona pura. Il cuoco, anche un sex simbol del nostro tempo! Sembra che sopra le nostre teste si sia abbattuto un incantesimo, narcotizzandoci. Offrendoci la sacralizzazione di un principio per cui il cuoco, e solo lui, assurge a supremo sacerdote delle liturgie dei commensali. Siamo tutti preda di una colossale vertigine cuochista.Vittime di un instupidimento collettivo che ci porta a disertare le altre importanti professionalità e le competenze che concorrono a fare “grande” un luogo del cibo, oltre lo Chef. Parlo di Maître, Sommelier e Camerieri. Persone capaci di far diventare un pasto un momento culturale, di piacere, di relax, di intimità… di quello che vuole l’ospite insomma. Parlo di coloro che, grazie alla loro professionalità sono capaci di ristabilire, con l’incantesimo delle parole, con la prudenza dei gesti, con la prontezza dei modi, la sovranità della Cucina. Venerdì scorso a Milano, ho partecipato, ad un’interessante ed animata tavola rotonda/talk dal tema “Perché la Sala è fondamentale”, organizzata dalla rivista Artù e moderata dal suo deus ex machina Alberto Paolo Schieppati, oltre che un Professionista, un Amico che stimo molto. Al tavolo dei relatori illustri rappresentanti del Mestiere: Luca Cinacchi, Roberto Brioschi, Nicola Ultimo, Guglielmo Miriello, Ermanno Gafforini, Oscar Cavallera. Da anni sostengo che le figure professionali di Sala meriterebbero più attenzione..! Lo dico soprattutto agli amici dalle penne giudici e a quell’esercito di predicatori che oggi tuonano nel web. Dico che è limitativo, che non è cronaca, scrivere schede sontuose di ristoranti parlando solo di chef e di piatti. Così facendo il ristorante è diventato un’oasi di ricreazione dei furbi oltre che un santuario per la direzione strategica della poltroneria giornalistica organizzata..! Un professionista della Sala è uno che conosce bene il proprio mestiere. Maestro nel donare all’ospite…, manovratore di menu e carte dei vini.. L’uomo di Sala sa esercitare anche riti di riparazione alle magagne della Cucina, oltre che prendersi cura dei commensali. E' capace pure di ripristinare al tavolo, energia addomesticata e servile. Il suo talento però non consiste nell’inventare, anche se è mago, a volte, quando sa mutare la realtà…, ma bensì nel rendere manifeste ciò che si realizza in Cucina. Crea unioni e legami! Trasformando, col suo saper fare, un pasto in antologia. Impreziosendolo al punto di farci gustare, oltre il cibo e il vino, l’incanto del luogo, del momento conviviale che vanno ad arricchire la nostra biblioteca dei ricordi. In questa Italia che il più delle volte non riconosce il valore delle professioni, il professionista di Sala però continua a rimanere un semiemarginato…(Sigh!). Ma sono fiducioso! La precaria cultura dell’ospitalità può finire! Anche se di questi tempi, per attenuare il senso di smarrimento, possiamo solo sperare in gente come Luca Chinazzi - Luchino, il Maître e volto televisivo la cui sua massima, “Il cliente ha sempre ragione.., ma non ditelo allo Chef!”, ne ha fatto una icona. Luchino, per mio figlio Enrico è il nuovo mito della tavola da imitare. Luchino è riuscito, almeno per ora, almeno per Enrico, a rovesciare dal podio la schiera di showchef che oggi ingrassano i folti palinsesti tivù! Il futuro della Sala è un mare aperto….

martedì 4 ottobre 2016

(Il)logica produttiva

Ci sono dei cibi che esercitano su di me una discreta seduzione. Il Porro di Cervere, il lungo d’inverno, è uno di questi. La scorsa settimana mi sono imbattuto nel prezioso ortaggio già esposto in vendita presso alcuni punti della grande distribuzione, locali. Caspita – mi son detto – possibile?... siamo solo ad inizio autunno…che ci fa il mio amato Porro sui banconi del supermercato? Possibile che ‘st’anno sia così in anticipo? Iimmaginate anche il mio sconforto, avendo da tempo un fedele pusher del Porro di Cervere... Si chiama Gabriele, ha pochi anni più di me, ma ne dimostra un sacco... tanto il suo corpo è segnato dal mestiere. Con le mani corrose dal lavoro e la pelle lacerata dal sole. Gabriele è un ortolano esperto, rispettoso del modello agrario. Uno che nella sua vita esercita l’obbligo del rigore, mai negoziabile, nella considerazione della natura..., della Madre Terra. Gabriele è un contadino che apprezza i doni di Pomona, come unici benefici dell’indulgenza della vita (Sigh!). Ha un micro campo, a Cervere, proprio a bordo del fiume Stura, che lo bagna, arricchendo così ancor più il terreno sabbioso di cui è composto…Tutto quel che ci vuole per produrre ottimi Porri! Ogni volta Gabriele, mi chiama per dirmi che è l’ora della mia delizia! Il mio pusher del Porro di Cervere, così puntuale e preciso, invece stavolta non si è fatto sentire! Non mi ha chiamato, come fa sempre, per dirmi che avrei già potuto ritirare la sua speciale produzione… Lo chiamo io. “Oh, Maurizio” – mi risponde dall’altra parte Gabriele con un filo di voce come quando le sue labbra riarse stringono un minuscolo mozzicone di sigaretta rollata a mano – “che piasì d’senti! Che diau?!?”. Gli spiego il problema… “Eh, car Maurizio – mi risponde – me strinss el coor…..ma ormai si a’s capis pi niente….I Porr sun cu’nen prunt… Lòn ch'à fas mi, ti tu sei. Sunne cu'nen bun i porr c'as trovu adess...Ma la gent 'speta pi' nen….Voru tut subit… Stei tranchil….a’ttelefun mi quandi che alè ura… ma fate cunt…, nen prima del des d’nuvember…”. Stacco e penso. A questa frenesia di divorare anzi tempo i prodotti della terra. Dei  barbarici banchetti perpetrati sulla pelle dell’ennesimo prodotto tipico…Messo lì sui mercati, anche se non ancora pronto, grazie alla forza della Grande Distribuzione Organizzata....., al suo imponente apparato promozionale! Della sua spinta commerciale e della sua penetrazione suasoria. Che spinge, sempre di più, così, sui vertiginosi mutamenti agricoli ma anche alimentari, favorendo pure la metamorfosi del gusto…., sputtanando anche le caratteristiche che rendono unico un prodotto tipico! Madre Terra, in ‘sti tempi confusi e pasticciati da mode improvvise, in un panorama dominato dal culto del tipico, sempre, a tutti i costi, e per tutti, sta subendo l’oltraggio dell’estremismo produttivo sempre più di moda. Si spreme Madre Terra, dimenticando la saggezza della ruralità! Mungendo a più non posso i raccolti! Per un'ossessione collettiva di avere quel prodotto, all'infinito e sempre più in anticipo. Facendolo diventare, così, nel circuito del gusto, cibo da Kermesse popolare! Credo si debba riflettere tutti su questo… Bisognerebbe rimettere in funzione, in certe teste di rapa, la catena dei saperi agricoli! La sua perorazione sarebbe oggi, nell’imperversare del caos dei prodotti tipici, un valore esemplare su cui riflettere! Invece, così, purtroppo, alla vecchia grammatica si sostituisce un discorso nuovo..., una nuova e inutile (il)logica produttiva.

martedì 27 settembre 2016

Ceneri preziose

Non so perché ma il richiamo del restare, in sto periodo risuona insistente. Stavolta nella speranza e nel nome di una perenne rennovatio. Come desolante ipotesi di vivere per sempre, anche dopo essere passato a migliore vita. Su La Stampa di mercoledì 21 settembre leggo: “Ceneri trasformate in diamanti: la Svizzera scopre il nuovo business…”  (Sigh!!). Qui il link per chi non ci crede: http://www.lastampa.it/2016/09/21/italia/cronache/ceneri-trasformate-in-diamanti-la-svizzera-scopre-il-nuovo-business-cFME2p3zlexjAbXK9gtkdN/pagina.html. Incredibile, ma vero… Scopro un grottesco balletto danzato sulla metamorfosi dei resti umani, generato da un profondo spirito di identificazione totemica. Un diamante di “ceneri” per rimanere in perenne intimo contatto con la terra. Di più! Per aspirare, anche da estinto, l’alito della gente che si ama. Di assorbirne attraverso i loro pori le gioie e i dolori. Altro che limitare il numero dei frontalieri…..! Stavola gli svizzeri, famosi soprattutto per l’alta efficienza dell’orologeria meccanica, dei cronografi più complicati, degli status symbol da polso più ostentati, vanno oltre. E spostano le lancette del trapasso in avanti! All’infinito. Portando alle estreme conseguenze il processo di cremazione. Attraverso la diamantizzazione delle ceneri dei morti (Sigh!!!)….Di quelli che vogliono, oppure sono costretti dai loro cari, a rimanere per sempre…. Ceneri trasformate in diamanti, come meccanismi persecutivi, duraturi, perenni. La materia umanizzata! Che con un diamante diventa a tutti gli effetti uno dei tanti prodotti della volontà umana… Artificiale, costruito, voluto! Se è pur vero che ce ne sono già molti di sti prodotti della volontà umana, mai fin’ora se ne erano visti costruiti con dei pezzi o dei resti della nostra specie. Sviluppo terrificante….! Non ci resta che alzar le mani. Ma prima vorrei ragionare su alcuni dubbi che mi crescono. Per esempio, le caratteristiche che distinguono un diamante! Come la sua purezza…! Se il diamante è generato dalla specie umana, credete che rimarrà un suo valore? E il peso, altra variabile fondamentale per la sua preziosità? Forse, finalmente, la bilancia, il simbolo di giusto equilibrio... di ponderata giustizia imposto da severi codici di spietata socialità mondana… questo calibrato strumento matematico, inventato per sottrarre la valutazione del mondo reale… l’artificiosa opera domestica, usata solo più per misurare il peso del metabolismo umano… il controllore più spietato della corporeità “giusta”.., dite che non occuperà più il suo  un triste e sconfortante primato? E quindi lascerà finalmente spazio alle ragioni del piacere? Delle trasgressioni della gola che come si sa vanno tutte verso il greve? E ancora, l’altro segno di assoluta qualità per un diamante, la trasparenza? Prescinderà questa dalla chiarezza dell’anima dell’incenerito, oppure dal numero delle sue toilette, o da quello che si è bevuto nel tempo?

martedì 20 settembre 2016

Il menu del restare

In Sardegna, nell'Ogliastra, pochi giorni fa si è consumato un furto curioso. Sono Spariti 14 mila campioni usati per studiare la longevità degli ultra centenari che vivono lì. I vecchietti volontari, che hanno donato il Dna alla banca dati, sono preoccupati che i malfattori possano arricchirsi col loro patrimonio genetico. Che oltretutto, loro, hanno offerto gratuitamente in nome del progresso scientifico! Poveri...! Immagino chi possa essere il mandante. Uno un po' bollito, ma dall'eccezionale spregiudicatezza. Uno di quei nababbi che frequenta i lidi esclusivi della Sardegna…., circondato da giovani plastici e tracotanti che lo fanno sentire come un bignè in un mucchio di sassi. Uno che pratica la religione del corpo. Che ha il terrore lipidico...! Uno che ha  l’incubo del colesterolo…Che ha la paranoia dietetica. Che per questo ha già provato diete di ogni sorta, nel nome di un fecondo preludio di forze vitali infinite... La dieta di Scarsdale, quella di Atkins, quella borghese, quella contadina, quella estiva, quella invernale, quella a zona, quella mediterranea… La dieta equilibrata, quella variata, quella dissociata… La dieta della luna, la cronodieta, la vegetariana, la metabolica…. La dieta del minestrone! Sicuramente anche quella degli Esquimesi, sbagliando però a pensare che basta farsi solo di olio di fegato di merluzzo... Figuratevi se ha mancato la dieta dei polli, allevati con mangime di pesci carico di grassi acidi “omega 3”…! Ora, stotipo, avendole provate proprio tutte e appreso malinconicamente che la durata delle sostanze e della materia è superiore rispetto all’effimera danza delle generazioni umane, ha voluto mettersi a caccia del, secondo lui, unico inafferrabile elemento che per la scienza presiede ai meccanismi della longevità infinita…. Che, crede, stia nei DNA dei veterani ogliastresi (Sigh!). Stoqui ha ciulato i DNA, sperando che dalle loro analisi riesca a trovare finalmente qualcosa di super. L’inesauribile energia vitale del gladiatore! L’oscuro segreto, per raggiungere il traguardo dei 100 anni e anzi per superarlo di un bel po’! Anzi, no, dell’eternità! Vuole per se stesso le fonti magiche, i fertili serbatoi di vita, le sorgenti distillatrici di linfe super vitali. L’elisir motrice di ringiovanimento. Il distributore di anni….! Deve scovare, da lì, il menu del restare....! Tempo fa', un intellettuale, certo Marsilio Ficino figlio di un medico, seguendo un uso universalmente diffuso, prescriveva, come sfinimento dell’età senile, di bere sangue cavato dalla vena degli adolescenti…! Non so voi, ma a sto punto, nel caso in cui il tipo dalla caotica scomposta vitalità, non dovesse trovare nei DNA ogliastresi quel che cerca, io metto al riparo mio figlio.

martedì 13 settembre 2016

Il freddo che mi scaldava

Mio papà è salito al cielo il 15 settembre 2011. Come voleva lui, sazio, senza disturbare, lasciando tutto a posto! Era del ’22. Aveva 89 anni. Ironia della sorte la data della sua morte coincide con quella della nascita di mia sorella Elena…. Che non si dà pace, anche per questo! Oggi alla soglia del 5° anniversario della sua morte, si manifesta prepotentemente, ancora più forte di prima in me, il sapore della mia infanzia. Ricordi annidati nel più profondo di me stesso. Puri!  In particolare di quando mio papà, nelle sere fredde dell'inverno braidese, per farmi addormentare nel lettone tra lui e mia madre, mi raccontava di quando lavorava in miniera o di quando era in guerra in Russia. Episodi, di luoghi e fatti, pieni. Anche di mistero e di storia, scavati nel cuore di mio padre che oggi tace. Era questo, un modo tutto suo per farmi prendere sonno, facendomi sentire anche protetto. Per scaldare i miei sogni, addomesticando così il freddo boia di quella grande stanza di via Goito all’epoca ancora senza termosifone. Esperienze sue di vita, scolpite dal sacrificio, dalle tribolazioni, dalle rinunce, dal riscatto, e dalla voglia di farcela nonostante tutto. Per insegnarmi, soprattutto, i sentimenti del coraggio, della solidarietà, del rispetto, del risparmio...Della riconoscenza. Del senso di appartenenza a certi valori. E di reagire alle avversità del destino… Ogni tanto la sua voce si assottigliava e la ruggine dei bronchi malati usciva con le parole... A soli 7 anni mio papà fu catapultato in miniera, alla “pirrera du baccaratu”, la Zolfatara  nel  comune di Aidone, a due passi da Piazza Armerina dove lui era nato... A 19 anni, reclutato e spedito in  guerra in Russia.... Al rientro scelse di nuovo prima la miniera "amica". Poi quelle del Belgio, vicino a Charleroi, dove si guadagnava di più…. “Fortunatamente”,  qui, un’ernia inguinale lo rese “non abile” e rispedito  al mittente come voleva il contratto stipulato a quel  tempo tra le due nazioni, Belgio e Italia. Che per quel lavoro bestiale, tra polveri, buio pesto e rumori assordanti, a oltre 1000 metri sotto terra, pretendeva solo manodopera straniera forte e sana. Coraggiosa e anche disperata. Se così non fosse stato a quest’ora io mi sarei ritrovato italo-belga. Come lo sono i  miei cugini Di Dio, di Wanfercée Baulet, orfani da tempo della buon’anima mio zio Gino che le fatiche della miniera hanno ucciso troppo giovane. All’inizio degli anni ’60, dopo il Belgio, papà puntò al nord per dare dignità alla sua famiglia ormai numerosa. Prima emigrando a Cherasco, poi nella vicina Bra dove io sono nato nel ’63.., 6° ed ultimo figlio! Dicevo dei suoi racconti a conciliare il freddo… Quelli  della guerra in Russia soprattutto. Del Csir, (Corpo di Spedizione Italiano in Russia), della divisione Pasubio, del 1° Battaglione, del 79° Fanteria. Guerra dove il confine tra uomini e bestie si assottigliava fino a scomparire. Di quando combatteva il piombo sovietico su fronti troppo vasti. In terra di nessuno. Con la colonna del termometro che crollava fino a sotto i 40°. Di com’era scampato ai duelli all’arma bianca, alle pallottole e alle bombe a mano che, mi diceva, gli rintonavano ancora nelle sue orecchie. Di quando in Russia divorava per forza i rifiuti. O bestie di ogni tipo anche in stato di avanzata decomposizione che venivano arrostite per allestire miserevoli e allucinati desinari. Ho imparato dai suoi racconti i nomi dei fiumi delle sue battaglie in Russia, Dniepr, Bug, Don... So cos'è e com'è l’“Isba”, la caratteristica casa-stufa russa…. Mi raccontava delle inaudite difficoltà, dell’inverno russo feroce, assiderante… Della lunga e disperata marcia a piedi verso l’ignoto tra attacchi, contrattacchi, aggiramenti, sfondamenti,... Di morti e di feriti…, di cui si perdeva ogni volta il conto! Delle colonne di uomini che arrancavano in mezzo a bufere di neve, congelati perché equipaggiati troppo “leggeri” per quel posto dal cielo di ardesia! Della Steppa, che tra una battaglia e l’altra si allungava ogni volta a perdita d’occhio. Degli uomini armati solo di fucile modello ’91, che il più delle volte si inceppava per congelamento. Mi raccontava di morti gloriose e di sacrifici inutili. Delle infinite insidie, di cui le più crudeli, rimanevano comunque sempre il freddo e la fame. Che lui e gli altri sfortunati miserabili cercavano di rendere più indulgenti, pensando ai volti di casa incisi nel cuore. Aveva imparato anche qualche parola in russo mio papà, per scamparla da situazioni drammatiche. A dire “esfi”, mangiare,  e “piti”, bere, prima di tutte. I suoi racconti, seppur crudi, però, non avevano mai il carattere crudele. Sapevano celebrare la liberazione dell’uomo dalla bestialità. Mi faceva entrare in testa la nozione di responsabilità di ciascuno, del proprio destino, ma anche degli altri. In un singolare passaggio di consegne confortanti fra lui e me. Esorcizzando la parola paura, che mai gli ho sentito pronunciare….! Ma anche per ribadirmi, ogni volta, che io vivevo nel paese di Cuccagna. Che qualcuno aveva saputo costruirmi pazientemente attorno, nel segno della libertà! E che per questo gli devo rispetto e riconoscenza.