venerdì 15 dicembre 2017

Natale

Mancano dieci giorni a Natale. Che fatica! Pare che ci sia sempre molto tempo prima di arrivarci - colpa di alcune pubblicità che per mesi e mesi ti martellano con messaggi del Natale che è vicino - e invece tra poco è Natale. Amo il Natale. E la festa degli affetti. Da gagno il Natale significava regali, zampognari, Gesù Bambino, Presepe, Pastorale, parenti, amici, nottate, tombola, cibo a manetta, torrone e panettone. Adesso è anche una fatica. Perché da “grande” significa, soprattutto, fare regali. Così, vicino al Natale, adesso entro in stato di agitazione crescente… Brancolo nel buio. C’ho sto chiodo fisso dei regali da fare…. Che alla fine sono scambi, quasi mai alla pari…, purtroppo, mai azzeccati! Che senso ha tu fai una cosa a me e io faccio una cosa a te…? Mah? Dirò una cosa banale, ma sostengo da sempre che sarebbe più facile che ciascuno si comprasse quel che desidera. E invece mi devo scervellare per indovinare gusti, colori, forme…., per sbalordire chi riceverà il dono, senza farmi sgamare. Il mio pensiero fisso per giorni e giorni è cercare di capire qual è il regalo da fare senza che il destinatario lo sospetti. Comincio a lavorare nella massima segretezza, cercando complici silenti…, esplorando alla 007 ogni minima mossa. Lancio parole “a muzzo”, con apparente non curanza, spiando trepidante le reazioni. Faccio domande senza senso apparente, mettendo assieme strani grovigli di cose dette e non dette…, divento scrutatore attento, guardone, dei miei destinatari! Alla fine, ogni volta, sfinito, getto la spugna. E per rilassare i miei sfinteri dell’anima, senza sconvolgere i punti cardinali della buona chimica della generosità del Natale, con coscienzioso sforzo di chi ha dato tutto, e schiavo del buon senso di chi non vuole sbagliare mai, mi dichiaro umilmente… “cosa ti piacerebbe ricevere sotto l’Albero?”. 

giovedì 30 novembre 2017

Dalla parte del torto

Viviamo affogati in un brodo planetario di informazioni. E' la società della conoscenza, del potentemente e permanentemente connessi. Noi tutti sappiamo quanto l'informazione-comunicazione sia la parte portante della nostra economia e quanto questa a volte sia esasperatamente sovradimensionata anche di inutilità. Sappiamo anche, purtroppo, che la stampa Libera non esiste più da un pezzo, soffocata da questo o da quel padrone. E come i social network rappresentino ormai il palcoscenico su cui tanti, troppi, vogliono diventare protagonisti della narrazione a tutti i costi. Dimenticando che narrare vuol dire raccontare... Fare cronaca..., di quel che si conosce, di quel che si è toccato con mano, che si è visto, di cui si è documentato, della verità. Invece la comunicazione moderna si sta riducendo a svolgere il lavoro al contrario: si inventa una notizia "balla", una Fake New - termine molto d'attualità - e poi, come rabdomanti, ne cerchiamo corrispondenza. In un circuito perverso che ormai si autoalimenta con i "condividi", i "mi piace", dettati soprattutto dall'abitudine di non approfondire. Senza pensare a quali conseguenze questo fattore porta alla nostra vita di relazioni, di affetti, e nella nostra percezione della storia della società, della realtà in cui viviamo. L'altra sera a Parma durante una cena di lavoro ho incontrato alcuni interessanti personaggi di un'associazione culturale, "dalla parte del torto", che con lo stesso nome produce anche un periodico, in bianco e nero e carta semplice, del territorio parmense. Questo gruppo di intellettuali che definirei "resistenti nonostante", ho scoperto invece che hanno mantenuto vivo lo spirito di non smarrirsi in questo maremagnum della comunicazione "inculturale moderna", calandosi nella realtà che vogliono contribuire a trasformare, migliorare..., liberare. L'Associazione Culturale in questione, cita, come sue mission, quelle di "studiare, approfondire e dibattere i principali problemi culturali, politici, economici e sociali che interessano la società moderna e la realtà locale; promuovere ricerche, dibattiti, inchieste, studi, convegni sull’attuale situazione politica e le tendenze in atto nel campo politico, economico e sociale; curare la pubblicazione e diffusione di ricerche e studi sui predetti problemi; curare la pubblicazione di un periodico specifico su problemi culturali, sociali e politici locali e nazionali. costruire un servizio di collegamento e di consultazione con analoghe associazioni". L'Associazione Culturale "dalla parte del torto", come il suo periodico,  ha adottato come Pay Off la nota citazione di Bertolt Brecht: "ci mettiamo dalla parte del torto, in mancanza di un altro posto in cui metterci". Che esprime in pieno la loro anomale identità e la voglia di fare qualcosa di speciale, di esigente. Qualcosa che va oltre l'informazione...., che va oltre l'abracadabra della comunicazione. Un giornalismo gustoso, con il garbo dell'intelligenza, della passione, dell'ironia, della tenerezza.

giovedì 23 novembre 2017

Napoletani 1-2-3

Amo Napoli. E'' un laboratorio unico al mondo. E amo i Napoletani, ne ho amici fantastici! Il Napoletano, (non scopro niente), è eccezionale. E' intelligente, è socievole, è sensibile, è generoso, è elastico....Il Napoletano è vocato al compromesso... Essere Napoletani è un lavoro a tempo pieno! Ne sono ancora più convinto dopo i quattro giorni trascorsi a Napoli per lavoro. Sorrisi pronti, occhi svegli, eleganza nei modi, i Napoletani promettono subito attenzione, rassicurazione, sollievo. E solo gli ingenui possono pensare che Napoli è confusione... Invece è spettacolo! Con forme di esibizioni, improvvisate straordinariamente, interpretate da attori di talento. Gente cordiale, ricca di girandole di fantasia... Gente che a volte diventa indisciplinata, ancor più che la media italiana, credo proprio per questa inclinazione allo spettacolo... con fare sofisticato, attraverso i gesti, le voci, gli sguardi, i suoni... Ahhh, i suoni!  Il clacson ne è l'emblema di uno dei modi di esprimersi dei Napoletani. E' lo strumento espressivo più democratico..., allusivo..., a volte anche offensivo, della Città! A Napoli il clacson non è disturbo della quiete pubblica: è strumento di virtuosismo a cui non si può rinunciare. Non sono l'unico ad averlo notato. E noi tutti quando guidiamo a Napoli, in mezzo a sto traffico simpaticamente isterico, ci scopriamo napoletani... Ammirando pure il distacco filosofico della tollerante polizia municipale! Di seguito vi racconto alcune cose che mi sono capitate in sti giorni..., di come la vita a Napoli assuma le forme di una rappresentazione.

Napoletani 1
Sabato scorso, appena arrivato in aeroporto prendo l'"Alibus" per il centro. Salgo e chiedo subito informazioni se esiste una fermata vicina all'albergo dove avevo prenotato. L'indicazione che mi viene data dall'autista è di scendere a Piazza Garibaldi e poi prendere il 151:"si ferma proprio a due passi..., poi chiedete.." - sentenzia. Sul 151, stessa storia, chiedo all'autista qual'è la fermata più vicina all'albergo: "dottore non si preoccupi, quando sarà ora gliela indico..., poi scendete e chiedete". Il tempo di voltarmi per prendere posto e mi si avvicina un signore distinto sulla sessantina: " Se volete vi indico io quando scendere... vado dalla stessa parte...., se volete vi accompagno...". Meravigliato da tanta attenzione lo ringrazio e ci sediamo uno di fronte all'altro. Per i  dieci minuti di viaggio, non ci siamo detti una sola parola. Alla fermata, una volta scesi, finalmente mi parla: "dobbiamo prendere un ascensore..., poi attraversiamo Piazza del Plebiscito..., 200 metri e siamo arrivati". "Ok, grazie" - gli dico. Superata Piazza Plebiscito, con lui davanti a guidare ed io dietro, appena svoltiamo per una traversa che porta sul lungo mare il mio accompagnatore di scatto si gira e mi dice:  "Evvero che lei stamattina non ha ancora preso  il caffè a Napoli?... Adesso ci prendiamo un bel caffè e un buon cornetto...!". "Oh si, grazie, così mi sdebito anche della sua gentilezza" - ribatto. "Non se ne parla - mi dice subito - lei è ospite mio....! Mi fa piacere... - continua - lo consideri il benvenuto di noi Napoletani... E poi con gesto di riverenza aggiunge..." Il caffè a Napoli è sempre pagato!".

Napoletani 2 atto primo
In sti giorni mi è capitato di prendere più volte il taxi a Napoli. Il primo l'ho preso, per percorrere il tragitto Centro-Fiera Oltremare, chiamandolo con il cenno della mano. Il tassista mi vede, si ferma, mi chiede dove voglio andare, glielo dico, e mi fa salire. Una volta dentro butto gli occhi sul tassametro: segna 8,60 euro. Gli domando: "scusi ma a Napoli il tassametro parte così alto?". Risposta: "è la chiamata...". "Ma come..., le ho fatto un cenno con la mano, mica l'ho chiamata!". "Si, ma oggi è festivo dottore". Durante il tragitto chiedo al tassista se conosce un buon ristorante vicino al mio albergo. "Ora chiedo" - mi dice. Assisto ad una serie di telefonate in lingua madre... e alla fine se ne esce con un paio di nomi che mi appunto. Quando arriviamo a destinazione il tassametro segna 19,50 euro. Prima di scendere gli chiedo: "mi può fare la ricevuta?". "Certamente signore" - mi risponde". Me la porge e leggo scritto 25,00 euro. "Guardi che si è sbagliato..., mi va bene 19,50...., non ho bisogno di gonfiarla!. "No dottore, non è gonfiata...., fa 25,00 euro giusti: 19,50 per la corsa, 3,00 euro per  le telefonate e le informazioni che le ho dato...  i 2,50 euro di resto non ce l'ho..., purtroppo! Tanto a voi che vi cambia?".

Napoletani 2 atto secondo 
Lo stesso giorno verso le 19.30 esco dalla Fiera per rientrare in albergo. Fuori c'è un bordello infernale. Il san Paolo è lì a due passi: si gioca Napoli-Milan. Faccio slalom tra un casino di persone, bancarelle, auto, bandiere. Becco un taxi: è libero, accostato con portiera lato guidatore aperta e radio sintonizzata su un canale sportivo. Chiedo al tassista se mi porta al mio albergo. Lui mi guarda e mi dice: "le conviene prendere il treno..., le costerebbe troppo sennò...,  è impossibile camminare.... guardi lei....! La stazione è proprio attraversato la strada. Ascolti a me, non prenda nessun taxi. A Napoli col treno ci arriva in dieci minuti....e risparmia una bella 50,00 euro!".  Ringrazio tanto e lo saluto dicendogli: " il Napoli stasera vince alla grande...! "No, non lo dite...!" - ribatte,  facendo il gesto delle corna e toccando il cornetto rosso appeso allo specchietto retrovisore interno....
   
Napoletani 3
Una sera, con un paio di amici colleghi decidiamo di mangiarci una buona pizza: siamo a Napoli! Visto che i miei favoriti per un motivo o per l'altro quella sera non erano disponibili, decidiamo di non sbatterci troppo e stare in zona albergo. Il sondaggio, tassista che ci portava in albergo e reception, ci fa favorire un buon locale abbastanza vicino. Alle 20.30, puntuali, ci incamminiamo, pronti e via, con goglemap. Gira a destra, vai diritto, ancora a destra, poi a sinistra...., ritorna indietro...., sta benedetta pizzeria non si trovava.... Colpa di chi leggeva googlemap..., per la verità! Ad un certo punto, inaspettatamente, se ne materializza una davanti a noi. Sotto l'insegna, a carattere cubitali, leggiamo anche quel che speravamo: "RISTORANTE PIZZERIA CON FORNO A LEGNA". E' nostra! Entriamo qui, rinunciando a quella che ci avevano consigliato. Appena dentro, un forno a legna megagalattico con fiamma sparata a manetta e tre pizzaioli in fila che ci sorridono, ci aprono il cuore e ci fanno ben sperare. Prima di prendere posto domandiamo ai pizzaioli col nostro accento del nord: "ce le fate tre buone pizze?". Risposta: "qui le pizze noi le facciamo super buone..., accomodatevi Signori! Dopo una serie di rampe ritte, con non so quanto personale in alta uniforme che ogni tre per due in coro ci indicava di proseguire tra sorrisi e benvenuti, arriviamo in una saletta dove ci accompagnano al nostro tavolo. Qui di solito finisce la scena prima dell'atto primo. Invece si continua... Chiediamo subito l'acqua e il menu: "arrivo subito" - ci risponde la cameriera! Cinque minuti dopo se ne arriva col menu, ma senza acqua: "intanto date un occhio a questo" - ci dice. Sfogliando il menu ci accorgiamo subito che non era quello delle pizze, ma quello del ristorante... . però lei si era già volatilizzata. Aspettiamo altri cinque minuti e, appena la cameriera si materializza di nuovo, le diciamo in coro: "guardi che si è sbagliata, noi vogliamo mangiare tre pizze come abbiamo detto anche sotto, ci porti per favore il menu giusto e anche dell'acqua, intanto, poi decidiamo per un vino o una birra". " Si, si, certamente" - ci rassicura. Cinque minuti dopo spunta un giovane cerimonioso cameriere stile anni '80, con in mano un vassoio di pesci. L'illustrazione è teatrale: "Signori, sono freschi.., di qui, freschi e pescati all'amo. Sul vassoio: 2 spigole, 2 orate, 1 gallinella e 1 gamberone rosso fucsia. "Ve li possiamo fare al forno, alla griglia, appena scottati con un goccio d'olio, possiamo fare una zuppetta, oppure un piatto di pasta,... come decidete voi Signori". "No guardi, come biamo detto appena entrati desideriamo mangiarci una buona pizza - gli rispondiamo". "Non c'è problema, arrivo subito col menu della pizza". Passano altri 5 buoni minuti e ci arriva finalmente l'acqua che ci porta la prima cameriera. "Scusi, ma aspettiamo ancora il menu delle pizze" - le ricordiamo. "Si, si, scusate..., arrivo subito". rassicura. Dopo 5 minuti se ne arriva di nuovo quello dei pesci, stavolta a rappresentare tragicamente le scuse: "Mi spiace veramente Signori..., stasera abbiamo finito di fare le pizze..., gli impasti che avevamo preparato purtroppo sono terminati da un pezzo... E' domenica..., e a Napoli la domenica si mangiano tante pizze tra pranzo e cena.... Purtroppo il nostro impasto lievita 48 ore...., usiamo un lievito speciale naturale...., e... manca il tempo.., se volete vi faccio un piatto di pasta, una frittura o una grigliata con quei pesci meravigliosi che avete visto prima...".

venerdì 3 novembre 2017

Il patto dell'Arancino

Chi lo doveva dire? La politica che si appropria di uno dei simboli della sicilianità, l’Arancino, e da piatto lo fa diventare patto. Politici che non mollano mai, consumati professionisti delle consumazioni, in beato ottimismo, alla fine si sono ritrovati in stretta comunella grazie all’Arancino.  E attorno a lui hanno siglato un patto d’alleanza. Un patto, apertamente influenzato sul piano gastronomico, che dovrebbe avere su tutti gli italiani i pretesi effetti miracolosi che l’Arancino ha per i siciliani: cibo popolare ricostituente. L’onesto orgoglio gastronomico siciliano, pratico, sfamante, Arancino, è stato capace di far ragionare e mettere insieme alcuni politici che fino a pochi giorni fa avevano poche idee comuni… A sentire le dichiarazioni del giorno dopo pare che adesso, gli stessi politici, di idee ne hanno invece molte e confuse…  Dopo ieri sera siamo ormai tutti convinti che l’incoraggiante tentatore, l’Arancino, stia alimentando l’illusione di una continua e stretta alleanza politica basata sulla prosperità.... L'entusiasmo di noi tutti è alle stelle. Soprattutto perché tra gli alimenti che influiscono positivamente sugli stimoli e sulle prestazioni psico-fisiche…, da oggi, ad arricchire l'inventario dei cibi rinvigorenti, ci mettiamo anche l’Arancino. Anzi, il patto dell’Arancino: raffinato boccone dal gusto esotico, dalla forma provocante, desideroso di far provare molte sensazioni e capace di elevare doti di pensiero fra politici!

martedì 31 ottobre 2017

L'America delle Nocciole

Finalmente ho ripreso a correre dopo il fermo forzato causato dal mio tendine d’Achille che mi ha tormentato quasi un anno. Lo sapete quanto mi piace correre...! La corsa mi rende libero…. Mi dà sollievo…, mi fa meditare…, mi dona una certa saggezza movimentata… Divento anche autoindulgente, correndo. La corsa mi mette in moto la fantasia, mi fa ricordare… Cerco e trovo consolazione nella corsa. Per me correre non è una faccenda atletica... Ho ripreso a correre, dicevo, nei sentieri dell’America dei Boschi. L’America dei Boschi è un luogo disordinatamente straordinario, pieno di fascino. Paradiso per querce, castagni, felci, ontani neri, equiseto e pini silvestri. Si trova proprio nella prima collina di Bra, tra San Michele – Pocapaglia - Saliceto - Terlapini. Posti stanziali di residenti benestanti e di nomadismo per indefessi visitatori della natura. Di chi cerca  il naturale, il selvatico, l’aria pura. L'America dei boschi rappresenta un estremo residuo di "naturalità" in un territorio attorno fortemente urbanizzato. Un luogo dove la natura si autogestisce…, e qui trovano rifugio alcune specie animali e vegetali legate all’ambiente forestale che altrimenti scomparirebbero dall’intera area. Quando si riemerge da certi sottoboschi si aprono cuori di terra rossa con viste mozzafiato sul Monviso. Era da un bel po’ che non correvo in sti Boschi… E non ci crederete, ma in questi mesi il suo paesaggio  si è trasformato...  Volumi di terra impressionanti, prima fitti boschi, adesso ospitano nuovi impianti di noccioleti. La nocciolicoltura, (corilicoltura, in termine tecnico), è in espansione anche qui dopo che mezza Langa e Roero, in pianura e in collina, indifferentemente, si è data a sta monocoltura esasperata..., oltre che al vino. D'altronde coltivare nocciole è semplice e non richiede molto tempo. I noccioli fanno i frutti dal quarto-quinto anno, dopo otto-nove la produzione entra nel pieno e continua ricca anche per oltre 40 anni. Antiparassitari e fertilizzanti consentono ottime rese… Se poi infittisci l’impianto, ottieni consistenti quantitativi già dopo pochi anni. Per impiantare un ettaro di nocciole ci vogliono 3/4mila euro tra tutto. In genere si fanno tra 20 e 30 quintali per ettaro e si puntano dai 250 ai 300 euro al quintale per la Tonda delle Langhe, la "perla" di qui. Anche se, magari, è stata geneticamente modificata per resistere dappertutto. La richiesta di nocciole sul mercato è molto alta, soprattutto da parte di certi gruppi industriali. E la nostra produzione non basta. Si dice che in Turchia "monsieur" Ferrero ha piantato a nocciole un "pezzo" di terra grande come il Piemonte! L’unico lavoro che si fa ancora a mano nelle nocciole, ma è poca roba, è la potatura… per la loro raccolta invece esistono macchine aspiratrici che ti fanno il lavoro di 10 cristiani in un niente. Un mio amico, che di “terra” se ne intende, mi ha detto che il terreno delle nocciole è duro come una pietra a forza di pulirlo per poi raccogliere facilmente col sistema meccanizzato. La conseguenza è che la terra dei noccioleti non drena più. E così ad ogni sciacquata di pioggia ci becchiamo l'alluvione....

martedì 29 agosto 2017

Il Vaccino di Laigueglia

Tutto sto gran parlare di vaccini, dopo l'entrata in vigore della legge che li obbliga per l'iscrizione a scuola, nonostante il tema sia molto importante e dibattuto, a me fa pensare inevitabilmente alle punture. Con la mente che torna indietro a pescare i miei ricordi di infanzia, soprattutto del periodo estivo in cui andavo per tre settimane in Colonia a Laigueglia (Sv). Mi acchiappa un bel po' di nostalgia se ci penso... La Colonia Marina di Bra, a Laigueglia, era esclusivamente riservata a bambini dai 6 ai 12 anni. Io l'ho frequentata per un bel po' di anni. Mi pare che i miei pagassero una sciocchezza, grazie agli incentivi a favore di famiglie bisognose…. Ogni anno si poteva scegliere il periodo in cui partecipare alla Colonia, da giugno ad agosto, per una ventina di giorni. Io ci andavo sempre ad inizio estate, come tutti quelli in età di via Goito: Lillo, Filippo, Giacomo... Ad agosto invece, quando le fabbriche chiudevano, e tutto bruciava e abbagliava, la mia famiglia sceglieva di andare in Sicilia. Conservo dei ricordi bellissimi, di prima, durante, e dopo la Colonia. Iniziava  tutto con la domanda in Comune… Se l’accettavano, te lo facevano sapere con  una lettera in cui ti dicevano che in uno degli uffici potevi ritirare i numerini da cucire sul vestiario. Prima della partenza invece c’era il richiamo del “Vaccino”… Mia mamma lo ha sempre chiamato "il Vaccino di Laigueglia"... La “puntura” me la  facevano alla Mutua di via Goito, praticamente sotto casa, veramente a due passi. Mi ricordo le siringhe di vetro e sto ago che non volevo guardare, ma gli occhi gli saltavano inevitabilmente sopra. Era sempre un’iniezione intramuscolo nel sedere, il "Vaccino di Laigueglia": un vero terrore.... Faceva un male cane! Per una settimana mi rimaneva la gamba dura… Mi ricordo che me lo facevo fare sempre sulla chiappa destra, quella che mi sentivo più forte, perché così potevo anche correre zoppicando……. Mi son sempre chiesto a cosa servisse il "Vaccino di Laigueglia"... Io pensavo fosse il dazio che dovevo pagare per godermi 20 giorni di mare... Tutti invece mi dicevano che salvava la vita... Me lo facevano almeno quindici giorni prima di partire, il "Vaccino di Laigueglia".  Al mercato, il venerdì successivo, riconoscevo chi erano i miei compagni del turno in Colonia solo a guardare come camminavano… Si partiva insieme, tutti quelli dello stesso turno,  il sabato mattina in treno da Bra per la Colonia Marina, direzione Laigueglia. Tutti con valigie enormi al seguito. Nella mia, color verdone, dentro c’era di tutto. Asciugamani, roba per l’igiene personale, teli da bagno, roba per uscire, roba per giocare, cappellini, costumi, prendisole…, Sì, io avevo anche il prendisole… Una specie di costume, di un tessuto strano tipo telato però, che dovevo mettere solo per quello, per prendere il sole... Credo fosse una fissa di mia madre sto prendisole… Dicevo del "Vaccino di Laigueglia", delle iniezioni… Da allora ho un po’ di soggezione per le punture…  Quando da bambino dovevo farle per forza, correvo sempre prima per un bel po' intorno al tavolo della cucina... Con mia madre che mi inseguiva con la siringa in mano, urlando che se non mi muovevo “scadeva” e allora si che sarebbero stati dolori… Subito dopo mi massaggiava per un bel po’, nel punto dove aveva fatto l’iniezione, con il cotone imbevuto nell'alcool.

martedì 20 giugno 2017

Viaggio sentimentale

Devo tutto alle radici siciliane. Non me ne vogliano gli altri, ma credo che se si è siciliani si è anche un po’ speciali. Storia, Sentimento, Arte e Cultura della mia terra d’origine hanno pochi paragoni al mondo... Mio figlio da mercoledì scorso lo sa un po’ di più. Grazie a Cibo Nostrum 2017, manifestazione organizzata dalla Federazione Italiana Cuochi, tra Zafferana Etnea, Taormina e Giardini Naxos, che mi ha fatto tornare in Sicilia, stavolta con famiglia al seguito. Per Enrico è stata la prima volta sulla nostra Isola. Così prima di partire ho esercitato su di lui una certa spontanea fascinazione della Sicilia, solo un pelo di più di quanto non faccia già nel quotidiano, col gusto della mitizzazione che mi piace sempre caricare sulle cose che per me contano...!  D’altronde i ricordi e i sogni hanno bisogno di alimentarsi di emozioni per continuare a vivere…! Il viaggio in Sicilia con lui quindi l’ho subito impostato, con la trasparenza delle intenzioni, non in meta turistica, ma in momento di esperienza condivisa nel quale poter riconoscere la nostra identità. E appena scesi dall’aereo, con lealtà di cuore e la mia profonda conoscenza del valore siciliano, ho ribadito a Enrico che aveva appena messo i piedi su uno dei giacimenti più ricchi di civiltà, oltre che sulle nostre tradizioni dense di storia... In pochi giorni gli ho fatto fare il pieno di Sicilia a Enrico! E’ stato un viaggio eccitante, appassionante, avventuroso, anche, capace di sbalzarci dalla Storia all’Arte, dal Vulcano al Mare, dall’Umanità al Cibo, dalla Morale alle Emozioni...! Per fargli comprendere meglio anche le credenze che animano la Sicilia e alcuni miei modi di dire in siciliano che mi escono ogni tanto... Dalle pendici dell’Etna fumante a Piazza Armerina, passando per Taormina, Catania, Siracusa e Noto, abbiamo percorso luoghi, strade, di posti effervescenti che con la variegata umanità incontrata hanno formato il quadro dell’Isola che speravo di poter offrire a mio figlio…. E’ stato anche un viaggio meditativo e di autoanalisi per me! Un viaggio sentimentale, sensuale, in questa Terra che adoro. In cinque giorni Enrico è stato abbracciato dalla vitalità del popolo siciliano di una Sicilia che sogna, che crede, che eccelle. Un'Isola viva, fatta di positività, di qualità... L’apoteosi, l’appagamento del mio desiderio, è stato quando abbiamo scelto, senza programmarlo prima, di andare a Piazza Armerina..., il paese dove sono nati tutti quelli della mia famiglia tranne io. Non era previsto che visitassimo “Chiazza”… E farlo, per noi, è stato come vivere una sorta di esistenza sospesa… Scendendo Scalazza Santa Veneranda,  dove abitavano i miei, ho percepito in Enrico una certa fierezza nel contatto con l’essenza delle sue origini. A metà di Scalazza, dove si trova la vecchia casa che fu della mia famiglia, ci siamo ritrovati nei ricordi condividendo un certo appagamento di un desiderio comune. Spiegargli le condizioni di povertà in cui vivevano i miei, col recupero di alcuni episodi del passato famigliare a lui ignoti, hanno contribuito a determinare questo effetto. E' stato un momento intimista, tra orgoglio di vita vissuta e sognata! Un esercizio di identificazione orizzontale…,  che è possibile, come diceva Freud, solo quando gli individui vivono un’esperienza comune... 

martedì 6 giugno 2017

Il mare in bottiglia

Sarà perché si sta avvicinando il solstizio d’estate…, ma oggi il mare è alla ribalta dell’informazione. Non solo perché è il suo tempo, o per l'assegnazione delle Bandiere Arancioni, o per l'assalto delle folle di bagnanti, ma anche per certi atteggiamenti curiosi e disinvolti che gravano su di lui. E’ notizia bizzarra dell’altro giorno, per esempio, che un signore di origine siciliana si è messo in testa di produrre bottiglie d’acqua del suo Mare... So bene come dice Baricco che "... il mare per chi è nato sentendo il suo odore, per chi l’ha sfiorato da bambino, entra dentro, inzuppa anima e corpo, così da rendere difficoltoso il distacco...". E capisco che sto sognatore siciliano non accetti di vivere senza il mare della sua Isola e anche che si sforzi in tutti i modi per assecondare il suo desiderio, producendo  acqua marina della sua Terra da ingerire attraverso il cibo..., “così i piatti sono più saporiti” - dice. La fantastica idea di sto catanese che ovviamente da tempo vive e lavora in qualche grigia città straniera, pervaso certamente del ricordo più nostalgico di ciò che non ha più, nasce per soddisfare innanzitutto il suo desiderio di avere a portata di mano il bene più prezioso del luogo d'origine…, Ma anche per fare business e venderlo come “ingrediente fondamentale per una cucina di mare” . Il soggetto in questione, fa notare che l’acqua che lui mette in bottiglia è prelevata rigorosamente solo nel Mar di Sicilia, segue un trattamento di microfiltrazione, depurazione e imbottigliamento, per essere venduta infine alla modica cifra di 10 euro al litro… (Sigh!). “Sembra di sentire il gusto del mio mare in ogni boccone”, è il suo giudizio. C’è da dire, ad onor del vero, che  l'acqua di mare, come ingrediente di cucina, figura storicamente nei manuali di gastronomia…  Ne sa qualcosa un certo Andy Inglis, scozzese ex-funzionario dell'Onu, che st’idea di imbottigliare l’acqua di mare, ma non siciliana doc, l’ha avuta una decina di anni fa, rifacendosi probabilmente proprio ai testi antichi di cucina… Oppure, stimolato dalla consueta pratica del famoso Ristorante Noma di Copenhagen, nominato tempo fa come migliore del mondo, che nel suo menù offre da sempre alcuni piatti cucinati con acqua di mare..., del Baltico però! Tuttavia, festose cerimonie, in cui si reggono vertiginose idee, come questa verso il mare, le esercitano anche altri. Per esempio esistono alcune aziende di vino che in acqua, tra pesci, coralli, conchiglie e alghe, hanno pensato di far maturare i loro vini. Magari pensando che sui fondali marini esistono le condizioni ambientali più ottimali..., come insegnai il ritrovamento di alcune bottiglie datate 1840 scovate nel 2010 sui fondali del Mar Baltico dentro un relitto di una nave affondata. C’erano casse e casse di Champagne Veuve Clicquot Ponsardin, Heidsieck e Juglar..., che a quella profondità, senza luce e a temperatura oceanica, ha permesso a sti vini di perfezionarsi… Dicono che siano vini unici per colore, perlage, bouquet, lunghezza di gusto, eleganza...! Così in Italia, per esempio, a 200 metri dalla spiaggia della Baia del Silenzio di Sestri Levante,  le cantine Bisson da alcuni anni hanno pensato di far maturare la produzione di Metodo Classico ricavata da uve liguri autoctone…  Ad Alghero invece la Cantina Santa Maria la Palma, a 30 metri di profondità, nell'area marina protetta di Capo Caccia-Isola Piana, fa maturare il suo spumante a base Vermentino... Mentre l’Adriatico custodisce bottiglie di Merlot, Albana, Cabernet e Sangiovese della Tenuta del Paguro di Brisighella! Per non far sembrare troppo "italiani" sti riti d’azione delle Cantine verso il mare, sappiate che anche alcune importanti aziende di vino francesi si sono ispirate alle profondità delle acque salate per affinare i propri vini…. Château Larrivet Haut-Brion, per esempio, nell'Oceano, ha inabissato uno dei suoi Bordeaux più pregiati! Tanta disinvoltura enogastronomica, che certamente non batte alcune altre formidabili stravaganze  di cui ogni giorno si riempie la nostra vita, fa sperare però che il mare non diventi sempre di più uno spazio inquietante, di trasandatezze diffuse, su cui grava la responsabilità di fornirci ad ogni costo qualche altro sapore "gustoso" del quale i nostri sensi potrebbero essere lusingati. Per non sbagliare, io rimango sui pesci..., ci metto pure le alghe per par condicio verso gli amici Vegani! Sennò, a sto punto, riprendendo una famosa citazione di Bana Yoshimoto, viene spontaneo chiedersi: “Nelle città senza Mare… chissà a chi si rivolge la gente per ritrovare il proprio equilibrio…?... forse alla Luna?...”.


martedì 30 maggio 2017

Confessioni private

Mi piace viaggiare in treno. Quando viaggio in treno leggo, consulto internet, scrivo mail, telefono e ricevo telefonate… Ah…, le telefonate! Sul treno, si racconta un’Italia interessante al telefono. Un mio amico attore, volto noto, un paio di settimane fa me lo aveva fatto notare recitandomi, mentre eravamo a tavola, una sua brillante parodia sulla questione… Raccontandomi, col far suo, la differente dialettica telefonica dei passeggeri che viaggiano sul treno che percorre la stessa tratta, ma in direzione opposta..., da Torino a Salerno era  il suo esempio. Così, l’altro giorno, visto che in giornata mi è toccato andare e tornare in treno da Torino a Firenze, proprio su quello che va a Salerno e viceversa, ho fatto più attenzione a sta cosa. Ho provato a seguire le conversazioni  dei diversi passeggeri che man mano salivano su sta tratta. E mi sono ritrovato letteralmente catapultato in un film di neorealismo..., di uno  spaccato d’Italia fatto di rituali e virtuosismi sorprendenti, di detti, di confidenze, di gestualità, di folklore, di…! Le telefonate dei passeggeri partiti con me dal vecchio Regno Sabaudo, per esempio, hanno un tono sommesso… quasi da riunione di lavoro. Quelli di Torino non parlano quasi.., annunciano! Conversano al telefono attraverso monosillabi…  “Si, no, mah… ”.  “Certo, va là neh, e forse”, sono le parole più lunghe che gli escono! Quelli che salgono invece a Milano, al telefono, comunicano per lo più strategie... I più, emettono sistemi matematici…, conti, statistiche, dati… e inglesismi  “Si, si, il Business Plan è pronto... Ce la possiamo fare…, Si, si,,. direi un discreto Target… Certo che con un altro Budget a disposizione….”. Ahh , ahh, ahha! E’ tutto vero! Fateci caso appena potete… Al ritorno da Firenze verso Torino regna invece un’aria più leggera… I viaggiatori hanno sguardi benevoli e compiaciuti, affascinati e stupiti, smarriti e incantati, meravigliati e anche increduli. Sulle carrozze che dal sud vanno al nord c’è tutta un’altra atmosfera…., più originale, meno artefatta. Qui le conversazioni telefoniche dei viaggiatori, che sono saliti alle stazioni precedenti…, Salerno, Napoli e Roma, diventano puro spettacolo… I toni sono più accesi come anche le gesticolazioni..., più pittoresche. Il treno per sta gente diventa il luogo privilegiato per manifestarsi…, anche di confessioni private…  Ho colto una tipa che al telefono senza controllare troppo il suo tono della voce confidava a chissà chi le sue vicende più intime… Peccato che c’era anche tutto l’intero vagone che ascoltava…. La telefonata più bella però l’ho sentita da Reggio Emilia verso Milano… E’ durata quasi tutta la tratta, tra la linea che cadeva e le richiamate. Sul treno una signora sui 30 anni, dal forte accento campano:  “pronto mammà….si, si, sto sul treno... si si..., ho preso tutto. No.., non ho mangiato… Siiiii, stai tranquilla….Tra un po’ mangio quello che mi hai fatto tu…Tu stai bene? Hai preso le medicine…, si? Brava! Il tempo lì com’è? Qui sembra buono... I bambini sono in strada? Mi raccomando falli mangiare e poi mettili subito a letto…! Ma noooo…, gli basta una frittata di Scammaro….! Apriti cielo… Da sta frittata di Scammaro in poi, si è scatenata una diatriba infinita fra le due al telefono. La contesa, l'idilliaco equivoco, ai due capi, riguardava gli ingredienti dei uno dei capisaldi dell'arte culinaria partenopea di fare necessità virtù… Ne è venuto fuori un vero saggio di economia domestica di come si doveva cucinare sta ricetta degli avanzi. Ma in particolare la disputa-siparietto fra le due donne riguardava le acciughe… Una voleva mettere quelle sotto sale, l’altra quelle fresche appena saltate in padella con un filo d'olio… Su sta acciuga, così o cosà, da mettere nella frittata di Scammaro, mi sono goduto uno dei più bei momenti di fervore culinario… 

martedì 23 maggio 2017

Robot-chef

L’altro giorno su La Stampa ho letto con una certa curiosità, ma anche con un po' d'angoscia, l’articolo “Il pranzo lo prepara il robot”,  a firma Paolo Mastroililli inviato a New York.  In un ristorante sulla Madison Avenue dal nome che è tutto un programma, “Eatsa”, un fottio di clienti ogni giorno mangiano quello che prepara una macchina, come quelle che distribuiscono merendine, sigarette, bibite..., è solo più grande! Metti i soldi, premi il pulsante di quello che desideri mangiare di una fantomatica lista e tempo cinque minuti ti esce il tuo pranzetto, alla modica cifra di 10 dollari e 15 centesimi più tasse. Senza che tu debba rivolgerti a qualcuno del locale che assomigli ad una persona… Che tristezza! Ora, lasciatemi dire… E’ pur vero che la tecnologia e i robot ormai vivono tra noi nel quotidiano e senza alcuni di essi ci sentiremmo persi..., ma farsi preparare e farsi servire pranzo da una scatola metallica, per favore, no! Il cibo è cultura, filosofia, storia… Così invece si accelera la società del surf come dice Baricco “… la superficie al posto della profondità, la velocità al posto della riflessione, le sequenze al posto delle analisi, il surf al posto dell’approfondimento…” Se è vero che la culinaria sta a metà strada fra l’arte e la fisica, sappiamo tutti che ci vuole qualcosa di più che la semplice tecnologia per combinare ingredienti, assemblare, mescolare, far reagire…. Sta cosa se entra in pista cambierà non solo in peggio la nostra società e la nostra economia, ma anche  il nostro midollo spinale. E poi? Sottinteso il valore della figura umana e professionale che serve a produrre una ricetta..., dove la mettiamo la dimensione temporale della cucina? Per cui l’attesa è necessaria per cuocere e per saltare una pasta, per far lievitare un dolce, per far scottare un pesce o le verdura al punto giusto?  Perché le cose da cucinare, hanno bisogno del tempo giusto per dirsi compiute e buone! A proposito di buono..., l’altra sera durante una cena in uno dei miei posti del cuore, si discuteva proprio sul valore del buono… Alcuni dei commensali al mio tavolo affermavano che il buono è buono..., indistintamente, per tutti, allo stesso modo! Quindi se sto robot fa cose buone, (Sigh!), secondo loro, sono buone, a prescindere, per tutti. Ho cercato con fatica di spiegare a sta gente come la penso sulla questione. E cioè che al di là del simbolo, come caso alimentare reale, per me il buono è qualcosa di molto più ampio oltre che essere un fattore molto soggettivo. E’ come il bello, come il gusto… Buono è intrinseco ai concetti di gusto e di bello, proprio all'origine dei piaceri. Come diceva Montesquieu nel suo "Saggio sul Gusto" , "... è bene conoscere l'origine dei piaceri di cui il gusto è la misura: la conoscenza dei piaceri naturali e acquisiti potrà servirci a correggere il nostro gusto naturale e il nostro gusto acquisito. Occorre partire dallo stato in cui si trova il nostro essere e conoscere quali sono i suoi piaceri per riuscire a misurarli, e talvolta perfino a sentire i suoi piaceri". Sto cibo di Eatsa, che mi fa incazzare solo a pensarlo, così miseramente esposto ineluttabilmente ai tempi e ai ritmi fisiologici di preparazione di un robot…, per me non può essere buono, nonostante!  Il "bello" è che il primo ristorante automatizzato di New York, diceva l’articolo di Mastrolilli, fa parte di una catena con succursali già a Berkeley e a Washington…. Mi fa rabbrividire pensare a sta moltiplicazione di un luogo del cibo vile, falso, antisociale…, a sto modello di ristorante turboglobalista fatto di precarietà delle professioni e di follia tecnologica applicata ad un bene primario come quello del cibo! Se va avanti sto andazzo, che segna senza ombra di dubbio, un moderno rito di passaggio e di distacco dalle penetranti delizie dei cuochi e delle attente coccole della sala, ci troveremo a percorrere un viaggio futurista nel buio verso contrade gastronomiche indescrivibili. Con un condizionamento perverso della cultura culinaria e dei comportamenti legati ad essa delle future generazioni. Saremo prigionieri di un potere irresponsabile che ci porterà a vivere in una cultura gastronomica impalpabile, parallela e falsa. Lo so che in Italia siamo abbastanza al riparo da sto scenario apocalittico..., ma bisognerebbe già pensare di tutelarci nel caso in cui qualcuno, con la testa da robot, possa pensare di installare in giro per l’Italia, sto marchingegno... Magari in nome di qualcosa che secondo lui ha a che fare col principio del buono..., di qualcuno!



martedì 16 maggio 2017

Attivisti globali

“Verba volant”, dicevano gli antichi Romani. Ma poche parole dette a caldo, sull’onda emotiva di un avvenimento vissuto in diretta, incidono sulla massa più di milioni di libri..., devono aver pensato quelli che la scorsa settimana hanno sganciato 850,00 euro per ascoltare Barak Obama a Milano in occasione di Tutto Food! 3500 persone… (Sigh!).  Nulla contro l’ex inquilino della Casa Bianca, anzi…  Però, caspita, anche se rimane un pezzo da 90, mi pare una somma spropositata per sentirlo parlare… Soprattutto  se si considera che per visitare il Seeds&Chips di euro ne bastavano 50 e che un pass di quattro giorni per le conferenze ne costava 450,00… L'altro giorno c'ero anche io lì, a Tutto Food…, a due passi da Lui! Però me lo sono perso..., diciamo per raggiunti limiti di budget culturale! Ma cosa  mi sono davvero perso? Tra quello che ho letto in giro, alla fine, credo ben poco di cui non abbia già sentito.…  Obama, infatti, a sta folla dorata, per un’ora e mezza, dal palco di 'Seed&Chips', ha parlato di alimentazione, sostenibilità, ambiente, lotta agli sprechi, ruolo delle nuove generazioni, tecnologia, futuro, agricoltura…  Da uno come lui che ha avuto a che fare coi potenti del mondo, per onori e oneri mondiali…, mi sarei aspettato qualcosa di più. Soprattutto, tenuto conto che la premessa  di Obama è stata quella di voler parlare ai giovani, “un discorso per i 20enni” ha dichiarato, (Sigh!). Peccato che ad ascoltarlo c’erano i soliti politici e una folla di matusa col portafoglio gonfio. Ma tant’è, si sa, viviamo in un mondo di superficiali illusioni e di crescente ebetismo….  Mi ha colpito invece la boutade secondo cui nei prossimi dieci anni Obama, con la sua fondazione, insieme a Matteo Renzi, farà un lavoro di scouting in giro per il mondo per far crescere leadership giovani…, per mettere in piedi “un network di attivisti globali”. Evviva! Credo che a sto mondo serva una moltiplicazione delle intelligenze..., una moltiplicazione dei ragionamenti, delle ipotesi, delle osservazioni, degli studi....! Spero però che sti giovani non si mettano solo passivamente dietro una guida…, ma osservino, riflettano, pensino, percorrano…. Con la stessa etica della scienza, (e non quella della politica), che ha nella verità l'unico imperativo fondamentale. E spero anche che sto network consideri  bene il fatto che il controllo umano ormai si è esteso talmente…, che tutto è diventato artificiale. A tal punto che non esiste più una natura esterna all’uomo..., (Sigh!).  Pensateci bene! Stiamo perdendo il patrimonio della vita…. Tutte le specie viventi, un tempo temute e cacciate, il leone, il lupo, la balena, sono tenute in vita perché l'uomo ha deciso di proteggerle. Oggi non ci sono più foreste vergini, ma solo zone protette, parchi naturali....  E un parco naturale è in realtà artificiale come una serra, come un supermercato…


martedì 9 maggio 2017

Terre della Montanina


Mi è difficile sottrarmi alla suggestione antropologica della vita contadina. Ancor più quando a sensibilizzarmi sul tema è un caro amico come Carmelo Chiaramonte, chef colto ed eclettico, siciliano di Modica, che giovedì sera mi ha fatto percorrere un’altra formidabile tappa di queste mie piacevoli esplorazioni. Nei giorni precedenti in cui ci siamo sentiti per fissare l’appuntamento di lavoro, che avremmo consumato a Bergamo da Pentole Agnelli, Carmelo mi aveva avvisato: “dopo ti porto in un posto originale, per incontrare persone speciali, amici miei”. Meta San Ponzo Semola, quattro case e una chiesa nel cuore dell’Appennino Pavese, difficile da scovare tra le classiche mappe geografiche. Per me, fino a giovedì scorso, la zona del Pavese era sempre stata una terra piatta, noiosa, invasa da acque e dedita alla produzione di riso e poco altro, (Sigh!). Invece…! L’altro pomeriggio, percorrendo i posti che da Pavia tagliano verso Varzi e poi verso la meta, i luoghi incontrati mi hanno sorpreso per la loro ricchezza di colline coltivate di ogni cosa che si arrampicano anche alte verso il cielo. Strada facendo sono stato adescato e attratto da più ariosi e meno calpestati paesaggi dove il turista gastronomico di oggi, credo come me fino all’altro giorno, non mette di solito piede... Arrivati a destinazione, nel cortile di una  strana cascina, che poi ho scoperto essere stata un tempo una suggestiva caserma di Lanzichenecchi, (soldati mercenari di fanteria arruolati da Legioni tedesche del Sacro Romano Impero che combatterono tra il XV° e il XVI° secolo), ci accolgono Lino Verardo con la moglie Mariangela e il giovanissimo figlio Luca, con fare e sentimento d’altri tempi! Mi rendo subito conto di trovarmi in un luogo quasi fiabesco…, felice! Appena dentro casa mi sento in un mondo che già conosco, ma ancora più vero e remoto. Un mondo ormai scomparso. Nella umile, ma ben sicura cucina col camino d’epoca, la tavola è già imbandita in attesa di cibi veri da consumare per spegnere le fatiche contadine. Un poster di Che Guevara e alcune foto di Fidel Castro, appesi qua e là, testimoniano le simpatie politiche del padrone di casa…, come anche il libro sul “Sessantotto genovese”, appoggiato sulla credenza, lascia intendere che una volta sbrigate le cose di campagna, in questa casa, qualcuno ama darsi alla lettura impegnativa… Dopo aver preso confidenza ci siamo seduti alla tavola dei Verardo, allestita come una specie di altare sul quale cibi veri occupavano il maggior spazio... Salame contadino, fave fresche di Leonforte portate dall’amico Carmelo, un piatto enorme colmo di tranci di una specie di torta pasqualina, formaggi misti capra-vacca- pecora, vino, bianco e rosso locale, e pane scuro fatto in casa... Un pane che sormonta tutti i sapori che contengono le cose gustose e mi riempie subito l’anima di una gioia inesplicabile... Rimango rapito dalla bontà di sti prodotti, ma soprattutto dalla conoscenza di questa famiglia... Tra un muggito e l’altro di vitellini e mucche, separati, che si chiamano a vicenda nella stalla vicina, ascolto estasiato la loro storia e quella personale di Lino Verardo, 62enne dalla barba lunga e un bosco di capelli sale e pepe disordinati, che me la racconta.  “Lino il genovese”, per quelli di qui, mi racconta che da giovane partiva da Genova alle cinque di mattina per raggiungere Voghera dove si è diplomato perito agrario. Poi un periodo di lavoro a Reggio Emilia e l’ approdo in questa fattoria sperduta per amore e passione verso alcune razze di bovini autoctoni che stavano scomparendo: la Montanina e la Cabellotta o rossa di Varzi! Mucche che producono al massimo 30 quintali di latte all’anno, ma molto digeribile…. Mentre mangio ste squisitezze, mi appassiono sempre di più alla passione di Lino. Di questo grande contadino, indisciplinato, fantasioso, ribelle, originale…, maestro di un mestiere diverso da quello che i più conoscono. Uomo competente, di grande capacità contadina. Forse uno dei pochi del nostro Paese rimasti liberi, Lino ha un’altra qualità che diventa preziosa se si accompagna all’intelligenza e alla bontà d’animo: è allegro! I suoi prodotti superano qualsiasi tipo di denominazione., biologico, ecosostenibile, biodinamico, naturale, per rimanere unicamente unici, “fatti come si deve”. Produzioni che non hanno mai risposto a corteggiamenti e proposte pseudo istituzionalpopolari, come nemmeno ai presidi o simili… Oltre le mucche, la famiglia Verardo, nella sua fattoria, alleva anche capre, pecore, maiali, e asini, di razze poco conosciute. Le bestie qui crescono al pascolo e si nutrono solo con foraggio prodotto dalle terre coltivate dai Verardo che garantiscono il latte con cui loro producono ottimi formaggi e vendono in un piccolo spazio della casa adibito a negozio o quando abbonda anche a qualche fedele gruppo d'acquisto. Il resto serve a sfamare la famiglia…. Di colpo, nel colloquio generale, sono tornato ad essere quello che vuole assolutamente sapere di storie e tradizioni andate. E così domando di sti effetti meravigliosi… Scoprendo questo incredibile personaggio, capace di adattarsi assieme alla sua famiglia alle situazioni più difficili, senza l’ingombrante meccanizzazione moderna, in accordo con la natura e conservando intatti i suoi principi. Lino mi racconta con generosità e commozione, che da poco ha fondato un’associazione, “Terre della Montanina”, per far conoscere le razze bovine della zona e acquistare uno storico mulino ad acqua per tritare le granaglie antiche reimpiantate nei campi di una ventina di vicini contadini, complici… Un progetto che vuole trasformare i grani antichi della terra in preziosi beni commestibili…. L’ interesse al Mulino è genuino. “Ci vogliono 200.000,00 euro…, li vorremmo raccogliere con il sistema Crowdfunding”, mi dice Lino con la sua umanità. Il fine è nobile, come la neo Associazione..., come pure la tenacia e la fierezza di propositi che sono la caratteristica più spiccate di quelli aperti di mente. Per questo gli prometto di impegnarmi per dargli una mano almeno facendo conoscere sto progetto. Carmelo Chiaramonte ed io ce ne andiamo l’indomani mattina dopo aver aver goduto di una ricca e gustosa colazione contadina, preparata da Mariangela con la sua squisita gentilezza oltre che con grazia raffinata. Nell’aia, bagnata dalla pioggia del giorno prima, razzolano oche, galli, chiocce e pulcini, nonostante cani e gatti, mentre le bestie da latte dei Verardo girano libere al pascolo dietro la stalla…. In 12 ore sono riuscito a respirare una buona boccata d’aria…, diversa, più ricca di ossigeno. Ho fornicato con la storia alimentare, con i manuali agricoli, con l’economia umana, con le culture dei campi e degli allevamenti…, con i metodi contadini di una volta! Ho conosciuto persone straordinarie, vere! Ho assistito ad una bella lezione di umanità, di dignità e di forza. Che storia! Grazie Carmelo! Grazie Lino, Mariangela e Luca! Ci rivedremo presto…, promesso!

martedì 2 maggio 2017

Spreco

Mi ha sempre colpito il fenomeno dello spreco. Per la sua entità, per la sua complessità, per la sua assurdità..., (Sigh!). Spesso letteralmente, si butta via. Spesso, consapevoli o no, si lasciano inutilizzate risorse già esistenti, mentre la formazione di nuove risorse è trascurata... Negli ultimi anni il fenomeno dello spreco ha raggiunto proporzioni colossali, specie nell’ambito del consumo, dove si registra un 54% di alimenti che vanno sistematicamente perduti, per un costo complessivo che ammonta a circa 12,5 miliardi di euro, (Sigh!). Un tempo non era così! Oggi, nel mondo, ogni anno, muoiono 36 milioni di persone per carenza di cibo e 29 milioni per il suo eccesso. In Italia da circa un anno c’è una Legge, la 166/16, che ha come obiettivo quello di ridurre gli sprechi, redistribuendo le risorse così ottenute tra le fasce della popolazione più bisognose... Nonostante questo, lo spreco persiste... (Sigh!). Nonostante, da noi, imperversino anche paradossalmente le diete del no, le diete del senza...,  senza glutine, senza lattosio, senza zuccheri, senza grassi, senza... Togliamo, per mangiare..., anzi, pardon, per non mangiare! Alla fine sprechiamo di più e spendiamo pure di più, riempendo i carrelli fino all’orlo di cibi modificati e privati di qualche cosa... In cambio, gli obesi sono il doppio degli affamati... Mahh!... Sono i paradossi del mondo del cibo, (Sigh!). In Italia, fatichiamo ancora a smuovere le cattive abitudini che ci portano a sprecare cibo. Sono sincero, a me chi spreca, soprattutto il cibo, mi fa girare i maroni…! Continuiamo a sprecare e a buttare cibo nella pattumiera. Ma lo spreco non è solo una questione domestica. Esiste un problema strutturale di sovrapproduzione alimentare che in molti casi conduce all’eliminazione di cibi perfettamente commestibili prima ancora del loro accesso ai canali di distribuzione. E' una responsabilità delle leggi di mercato..., (Sigh!). Rappresentata dalla concorrenza di prodotti provenienti dai mercati esteri  e venduti a prezzi inferiori a quelli considerati remunerativi… Pensate alle arance o ai pomodori…, distrutti o lasciate marcire nei campi…(Sigh!). Poi però se andiamo ad ordinare al bar una spremuta di arance, quando va bene, ce la fanno pagare 3 euro e 50! Il fatto è che si è passati dal niente al troppo…, di tutto!  E il troppo non lo si usa mai bene… Colpa anche dei tempi della modernizzazione che ci hanno portati a realizzare forme moderne, ma scomposte..., senza senso. Si esagerava col cibo..., si esagerava col cemento… Fateci caso..., oggi si toglie al cibo, come si toglie anche al cemento, (Sigh!). E così crollano i ponti!


martedì 25 aprile 2017

Liberi di vivere

Nascere, essere, stare, è uno sforzo che assorbe gran parte delle nostre intelligenze e delle nostre energie. E’ uno sforzo benedetto! E’ la vita. Ma che cos’è la vita? Io so solo che “la vita è un miracolo”! Mi illudo di aver clonato questo pensiero nel momento in cui è nato mio figlio Enrico l’8-8-2008.... Ma ne sono sempre più consapevole di sto fatto perché ricevo ogni giorno testimonianze che me lo confermano. Stamattina ero quasi tentato di saltare l’appuntamento col mio Morsi di Gusto…(Sigh!), perché credevo che  in un giorno in cui si festeggia la Liberazione, ogni pensiero, ogni parola, ogni scritto, sarebbero stati banali difronte ad una ricorrenza così importante. Così ho fatto un giro al mercatino delle pulci che proprio nel giorno della Liberazione invade ogni anno le vie del centro cittadino di Bra…, (Sigh!). Tra le bancarelle ho incontrato Gianfranco, un coscritto mio caro amico con cui, tra un caffè ed una passeggiata, abbiamo ragionato sull’importanza di questo Giorno, del lavoro, della società attuale…, dei valori che sono rimasti ancorati alla libertà, (Sigh!). Nel salutarci, a Gianfranco che mi sollecitava il mio Morsi di Gusto, ho confessato che non so se lo avrei scritto per i motivi di sopra.., (Sigh!), ma se avessi deciso lo avrei fatto collegando il tema della Liberazione alla storia personale di una mia cara amica... Così ho ho fatto. Questo post lo dedico a Vatinee Suvimol, ed al suo libro che ha presentato ufficialmente pochi giorni fa a Tempi di Libri, la fiera di Milano. Si intitola “ La mia storia Thai” e secondo me rappresenta al meglio il valore straordinario della Libertà e il modo per conquistarsela. Nel suo libro l'autrice racconta la sua vita, dalla nascita ad oggi. Un vita di tribolazioni, di negazione degli affetti, di ferite profonde…. della sua esperienza lacerante di non essere riconosciuta come figlia. Ma anche di come è riuscita liberarsi da un certo sistema di società egoista e diventare la donna e la mamma felice che è oggi, oltre che un avvocata professionista affermata. Vatinee nel suo libro scrive di ansia e di solitudine, di relazioni famigliari, di fatti crudi. Senza remore, senza segreti, mettendo in luce le cose più intime..., difficili, per i più, da raccontare. Esorcizzando così la sofferenza e la banalità del male che ha subito. Liberandosi da pesi eccezionali che se fossero rimasti silenti, lei ne avrebbe portato le stigmate a vita. Vatinee col suo  libro, che ho letto d’un fiato, mi ha offerto lo spunto per parlare  di Liberazione, da questo mio angolo, in maniera non banale. Rafforzando in me l’idea che la Libertà è la legge della nostra esistenza e la condizione stessa del vivere! Se si vive, si è liberi! Se si è liberi si vive!

martedì 18 aprile 2017

Foto di famiglia

Domani è il mio compleanno..., e anche quello di mia sorella Iole. Io però ne faccio solo 54…, (Sigh!). Nel mio ufficio, sulla parete davanti alla mia scrivania, c’è appesa una foto d’epoca a colori della mia famiglia. Ci siamo tutti e 8 rigorosamente in posa. Io, il più piccolo della nidiata, sono in braccio a mia mamma… In sta foto avrò avuto manco 3 anni. Nella circostanza siamo tutti vestiti da festa. Ne vado orgoglioso di sta foto…, (Sigh!). Tanto che, anni fa, quando la scovai tra gli album di famiglia, ne feci fare 6 ingrandimenti che in una certa occasione regalai a ciascuno dei miei fratelli e sorelle. I ritratti di famiglia sono stati un genere artistico di incontrastata fortuna nei secoli passati, fino agli anni 70…, (Sigh!). Era nel ritratto di gruppo che la famiglia si rappresentava e si autocelebrava... Credo fu così anche per noi! La foto di famiglia era un modo dei miei per farci scoprire di essere protagonisti anche oltre le mura di casa. E credo, anche, una sorta di esorcizzazione della nostra appartenenza sociale. Ricordo che a Pasquetta nell’immancabile appuntamento con la storica rassegna della Fiera zootecnica di Bra, mio padre e mia madre, con sta scusa, ci portavano a fare lo scatto di famiglia. Si andava tutti dal fotografo che si trovava alla fine di via Umberto, dalla parte opposta al Politeama. Ne ho viste parecchie di foto che ritraggono famiglie di amici e parenti sullo stesso stile di questa... Tutti rigorosamente in posa. Ma mentre in ste foto le persone ritratte mostrano con disinvoltura il proprio status sociale… (Sigh!), con lo sguardo verso l'obiettivo che li ritrae con orgogliosa partecipazione e ostentazione del nucleo cui appartengono, in questa foto leggo in ciascuno dei componenti della mia famiglia un porsi discretamente in penombra..., (Sigh!). L’unico fuori dal coro sono io…, (Sigh). Forse perché mi trovo lì senza ancora sapere bene il perché…  Con sto sguardo infantile, quasi di sfida, con una faccia da pirla pazzesca... Uno sguardo che mi emancipa dal contesto narrativo di sta foto e rafforza in me l'idea di consegnarsi all'innocenza dei bambini per aggirare le barriere convenzionali e i tabù opprimenti della società degli adulti. Mi sconcerta quest'eccesso di realtà che comunica sta foto. Ogni volta che la osservo meglio è sempre più sorprendente….. Quasi un monito a trarne insegnamento.., (Sigh!). E diventa per me anche un pretesto per riflettere meglio sui rapporti interpersonali…, più intimi. Per pensare quanto la famiglia sia per eccellenza il luogo fisiologico e concettuale della memoria individuale e collettiva. E a domandarmi, ogni volta, a che cosa ci riferiamo quando parliamo di famiglia... 

martedì 11 aprile 2017

Traliccio Verdiano


Qualcuno, (Sigh!), ha scritto..., che un viaggiatore americano ha scritto: “Italy is the land of human nature”, l’Italia è la terra della natura umana… Grazie, ma non è che sta cosa ce la doveva certificare l’americano... La scorsa settimana mi trovavo per lavoro a Polesine Parmense, ora Polesine Zibello, nella campagna rigogliosa delle Terre Verdiane che tiene ancora vivo il ricordo di Giuseppe Verdi. Come pure di Giovannino Guareschi, il papà di Peppone e Don Camillo… (Sigh!), che dalla vicina Fontanelle di Roccabianca si recava spesso a Polesine, dove le memorabili battaglie fra il parroco don Davighi e il sindaco Carini gli avrebbero dato lo spunto per creare i suoi personaggi. Terra bella, fertile, ma dura, questa. Paesaggio color verde e ocra, campi sodi sterminati, gente meravigliosa. Col Po che non concede confidenza, anche se gli argini “sentinelle” dovrebbero rassicurare…, (Sigh!). Qui a Polesine Zimbello si trova il più importante giacimento italiano di salumi eccezionali. E l’Antica Corte Pallavicina dei Fratelli Spigaroli ne è la realtà più rappresentativa. Una roccaforte garbata affacciata sul Po, vocata alla produzione e alla trasformazione di Culatelli da maiali di ogni razza, compresi quelli dell’Antica “Nera Parmigiana”. Messi a stagionare nel loro habitat più naturale, in meravigliose antiche cantine… Chi non le ha mai viste non si può rendere conto della loro straordinarietà. Ogni volta che arrivo a Polesine Zibello, però, mi rendo anche conto che la campagna italiana, a volte, è anche violentemente italiana, … (Sigh!). Nel senso che ci sono posti in cui il cattivo gusto prevale e riassume preciso l’equivoco italiano. Infatti, appena poco prima di arrivare alle storiche cantine dell’Antica Corte Pallavicina, dove il Culatello riposa per trovare la sua massima espressione colla maturazione naturale, giace un gigantesco traliccio elettrico... Ad un palmo da una delle meraviglie di sto Paese…, uno gira l’angolo, alza la testa, e si trova davanti uno degli sfregi dell’età dell’inurbamento, (Sigh!)... L’eco mostro alto come un palazzo di dieci piani, è lì a inquietare…, sui pascoli, a due passi dal grande fiume. Sto elettrodotto è imbarazzante, ingombrante, mette a disagio. Deturpa il paesaggio rurale, fiabesco, di campi frequentati da mucche, da maiali, da galli, da galline, da lepri, da pavoni, che si rincorrono allo stato brado. Io ogni volta lo soffro st’intruso di ferro messo lì…, (Sigh). E’ fortemente interferente a quel che c'è attorno, non solo per le spropositate dimensioni… E’ un insulto ai campi felici di sta Bassa! Mi fa strano come certe associazioni ambientaliste, impegnate a difendere certi posti dai nemici del paesaggio, non si siano ancora fatti sentire per cancellare sto obbrobrio da qui. Chissà come reagirebbero i due nemici storici del Guareschi, che molte volte hanno lottato fianco a fianco per gli stessi ideali, ad un simile scempio. Credo che nessuno dei due lo porterebbe come trofeo morale del benessere… Forse, però, loro, avendolo ereditato, magari cercherebbero perlomeno di farlo diventare un ulteriore attrazione magica di sto posto… Chessò..., per esempio, facendolo trasformare da qualche architetto del paesaggio in una sorta di simpatico faro totem del culatello…, (Sigh). Sono sicuro che Don Camillo e Peppone, d’accordo, lo darebbero almeno in mano a qualche Istituto Europeo del Design per un progetto che potrebbe trasformare sto pugno in un occhio in un esempio del bello… Per ridare, soprattutto, la giusta soddisfazione ad un patrimonio unico ed inestimabile di sto territorio come l'Antica Corte Pallavicina... Ma anche ai duri sacrifici della famiglia Spigaroli che quotidianamente cura sto speciale fazzoletto di terra con la passione e l'orgoglio d'altri tempi...

martedì 4 aprile 2017

Cantar le Uova

Cantè j’Euv, Cantar le Uova, è una rappresentazione pagana notturna che si consuma, dove vivo, nel periodo quaresimale. E’ una goliardica mescolanza di sacro e profano, memore di rituali antichi... Una tradizione che un tempo qui annunciava l’arrivo della Pasqua e della primavera. Le uova sono simboli di rinascita nella primavera risorgente e attraverso il loro dono ci si propiziava la salute e soprattutto un buon raccolto…. Un rituale del mondo contadino strettamente connesso con il ciclo calendariale dell’anno agricolo, rivelato anche da Fenoglio e Pavese… La tradizione racconta che nella settimana di Pasqua dopo il tramonto, un gruppo di giovani partiva a piedi dal paese, capitanati da un falso fraticello elemosiniere, e andava vagando per la campagna di cascina in cascina, bussando alle porte per chiedere le uova in cambio di una canzone ben augurale! I prodotti ricavati dalla questua servivano poi per riempirsi la pancia al pranzo di Pasquetta…, (Sigh!). Erano rare le volte in cui il padrone di casa non voleva saperne di uscire e far contenti i questanti. Se succedeva, questi, gli maledicevano la cascina, gli animali, il raccolto, la famiglia…. Cantè j’Euv, era soprattutto un modo per socializzare, un momento di condivisione, un’occasione per incontrarsi, una “scusa” per ragazzi e ragazze di stare insieme dopo il lungo inverno…. Così col pretesto della questua, venivano fuori dei bei festini... Lo stesso adesso! So di certi matrimoni combinati proprio grazie ai Cantè j’Euv …, (Sigh!),  e anche di divorzi per certi intrallazzi che vengono fuori lì…. L'attuale Cantè j’Euv quindi si muove sulla stessa falsa riga… Solo che oggi si va prima a cena al ristorante..., e le cascine dove si vanno a chiedere le uova sono diventate invece le accoglienti cantine dei produttori di vino. Si canta, si balla, si mangia, si beve, si fanno cose...!  La punta massima del Cantè j’Euv la si raggiunge dopo mezzanotte, illanguidendo lentamente fino all’alba. Di uova, manco l’ombra…, (Sigh!). Le poche raccolte, nell’ultima tappa, vengono consumate in una bella frittata mattutina. In passato ho partecipato a parecchi Cantè j’Euv nei fine settimana quaresimali. Quelli più genuini, indelebili nella mia mente, li ho vissuti attorno agli anni ’90. Vi era tutto un rito portato avanti dalla mia "compagnia"... Si invitava gente di fuori, da tutta Italia, gente altolocata, con ruoli importanti nella società che conta, ignari del teatrino che noi gli montavamo dietro con commedianti sgamati pronti a recitare! Il falso frate, il falso invalido, il falso bandito, il falso mendicante... A sti ospiti gliene facevamo credere di ogni sorta… (Sigh!). Succedeva un po’ di tutto a sti Cantè j’Euv… Ho visto persone per bene trasformarsi e fare cose impensabili…. Altre che rimanevano allibite per quel che vedevano e sentivano… Increduli di trovarsi allo stesso desco, tutti insieme, in animata e strampalata discussione! Mescolavamo al cibo e al vino ricordi e storie, dei personaggi, impressionanti… Con il "Solito" che prendeva in mano il mazzo e gestiva la partita sollecitando a turno... L’invalido che per la sua condizione da disgraziato lasciava in giro per tutto il tempo una scia infinita di bestemmie e maldicenze…, il galeotto dallo sguardo mineralizzato fisso sul bicchiere di vino che cercava complici per i suoi intrallazzi…, il mendicante, figlio di partigiano giustiziato dai fascisti, che elemosinava soldi per pagare i debiti, incolpando anche le donnine che lo avevano mandato a ramengo…, il frate che con tono spazientito benediceva chiunque, bofonchiando a suo modo…, (Sigh!). Il tono della sceneggiata al ristorante era più o meno questo... La bagarre notturna, con noi in simulata indifferenza e gli ospiti visibilmente impressionati e allucinati che abboccavano, poi, procedeva di corte in corte coi canti... “Suma partì da nostra cà, ca i-era n’prima seira, per venive a salutè, devè la bun-ha seira…”. Il mio corpo a corpo col dialetto piemontese era sempre duro, come sa chi mi conosce bene…, (Sigh!). Così mimavo la cantata con le labbra, mentre mentalmente, col cervello intorpidito, cercavo di tradurre: “siamo partiti dalle nostre case che era da poco sera, per venirvi a salutare e darvi la buona sera…”. Si ballava, dappertutto, sopra i tavoli, e sotto anche, col fazzoletto rosso che ogni cantore, a turno, passava di donna in donna, sfiorando i loro corpi, sulle note di “Amalia Amaliella, tu sei la più bella, e dammi la tua vita, e dammi la tua vita". Patatìn e patatàn...!