domenica 26 aprile 2020

Microbo preservativo

Nella poliespansa e farcita tavola contemporanea che si fa largo nella moltitudine delle cucine, nella moltitudine delle case italiane, si profilano paradisi di cibi asettici, confezionati più da rituali di laboratori medicali, in sale operatorie, piuttosto che da artigiani agro-alimentari esperti e rispettosi delle tradizioni. Il fenomeno di massa va collegato alle attuali circostanze e presiede l'ineliminabile scansione della pandemia che ci ha travolti. In questa dimensione equivoca, di momenti intensamente dolorosi, densi di una profonda e vissuta coralità, nella testa di noi italiani si sta facendo strada un pungente desiderio di una cucina anti batterio. Irreparabilmente si sta cercando di far fuori il microbo buono, quello sano. E invece il microbo buono deve poter continuare la sua lunga e gloriosa esistenza, gareggiando con successo contro l’asettico imposto dai gusti prefabbricati. L’idea positiva di cibi sterili, privi di quei microbi che anche nella fermentazione volgono al positivo la putrefazione negativa, riuscendo a controllare un processo naturale di putrefazione, facendo nascere per esempio formaggi e salumi unici, non la posso sostenere.  Il microbo buono che intendo significa il sapore che hanno i cibi che lo contengono, quello che si fonde nell’ebrezza erotico-sentimentale del palato. E’ il campo nudisti delle emozioni della gola. Un narcotico consentito. In questo mio pensiero di uomo dallo stomaco gagliardo, abituato ai piaceri della tavola, per cui persino le polpette hanno un’anima, non c’è posto per il cibo artificiale. Rinunciare al gusto che dà ai cibi il microbo buono, che rigenera i trilioni di microbi che abitano nella nostra pancia e si battono per la difesa del nostro organismo, è come fare a meno dell’amore: non se ne vede il motivo. Il microbo buono è un esercizio della fantasia, una raccolta di ricordi. I cibi implicano diversità, senza diversità sarebbero un controsenso, sarebbero impersonali. Non potrei sopportare una dieta incolore e inodore fatta più per soggetti malinconici, per caratteri privi di agilità e vivacità, che non si adattano allo spirito mutevole e al corso imprevedibile della vita. Sono convinto che il grande preservativo della salute rimane il microbo buono. Quello che arricchisce di temperamento il cibo, e non solo.

giovedì 23 aprile 2020

Educazione Morale Diffusa

La rapidità e la fretta sono stati tra i caratteri salienti del nostro tempo prima di questo stop forzato. D'altronde senza bussola il pensiero umano naviga qua e là, secondo se il vento soffia da una parte o dall’altra…. In questo periodo fortemente rallentato l'attenzione è rivolta soprattutto della nostra amata Terra, a cui ieri è stata dedicata la giornata mondiale. Oggi, non c’è habitat sulla terra che non sia stato gravemente danneggiato dall’uomo…., oggi l’universo è in pezzi... Nei vari discorsi escono fuori questi pensieri. Di colpo, emergono i nostri bisogni di salute, di cibo naturale, di riparo, di relazioni, di attenzione e rispetto verso la Terra. Questo maledetto, o forse per alcuni versi benedetto, virus ce li espone davanti agli occhi ogni volta per convincerci a scriverli nel nuovo libro della vita. Per farci percorrere una nuova stagione di consapevolezza ecologica in cui abbiamo la possibilità di sanare la nostra relazione con la Terra. Partendo da un’ecologia della mente, da un’ecologia del cuore, dove riusciamo a controllare il nostro istinto aggressivo, di esclusione, di distruzione e favorire invece la dimensione della solidarietà, della collaborazione, dell’armonizzazione dei rapporti tra di noi e con gli esseri che sono intorno a noi. In questo nostro tempo di colore oscuro - pieno di gemebondi predicatori della sciagura universale e irreparabile, di cogitabondi solutori di problemi insolubili, di critici dilettanti ed impotenti - spero in una Educazione Morale Diffusa. Feconda, pratica di risultati e confortatrice anche. In una sterzata che dia almeno l’illusione e la speranza per una nuova forma di sperimentare il mondo e dire, anche se tardi, ma in tempo, di aver finalmente trovato la strada. Io non vedo l’ora di uscire all’aperto. Per passare di nuovo del tempo a raccogliere suoni, odori, visioni, contatti. Li ho sempre considerati come la comunicazione della Terra vivente che mi circonda e mi abbraccia. Non vedo l’ora di rigenerarmi così. Di respirarla profondamente e assorbire di nuovo tutto.

mercoledì 15 aprile 2020

Anti-melanconici

A Palermo, per celebrare la recente Pasqua, è stata organizzata una vera e propria festa con grigliata sul terrazzo condominiale. In puro stile far west, viste anche le restrizioni vigenti. Non intendevo proprio questo con il mio precedente post sulla rinnovata alleanza tra condomini…. Però....! Sfido chi non ha dell’Italia e degli italiani un’immagine festosa. E ancor più dei meridionali. E’ una formazione sociale che ci accomuna ai brasiliani. E' una sorta di patologia endemica: il caos gradevole è la nostra aspirazione. Quanto successo a Palermo non è, come è stato descritto, l’infernale meridione italiano. Il tetto del palazzo per quelle famiglie palermitane (magari erano solo due nuclei, ma numerosi….), per un giorno è diventata una passerella. Una galleria, un bar, una sala da ballo, una palestra, un ristorante, un mercato…. Che da tempo non si possono frequentare come invece si fa sempre in tempi normali. Un antidepressivo sociale, insomma. D'altronde si sa, noi del sud amiamo il rito collettivo e tutti i suoi aspetti barbarici. Per noi i giorni di festa non sono fatti per riposare, ma per partecipare. Probabilmente perché la storia, antica e moderna, ci ha lasciato profonde cicatrici. Intendiamoci, non intendo giustificare quanto accaduto a Palermo. Ma non si può nemmeno negare che tra i miei conterranei le restrizioni non sono ben recepite, se pensiamo anche solo alle cinture di sicurezza che lì sono considerate camicia di forza! Perché noi meridionali, più di tutti, conosciamo gli effetti nefasti di un ambiente melanconico…, e così ne fuggiamo. Siamo anti-melanconici! E come affermava il filosofo del 16° secolo Tommaso Campanella,“... gli abitanti de’ La città del Sole aborrono e sconfiggono le ombre, vestono una camisa bianca di lino e rifiutano il colore nero”.

lunedì 6 aprile 2020

Il condominio, avvicinatore sociale

La vita di tutti è cambiata, o per lo meno sta cambiando. Il male della nostra epoca è che siamo arrivati ad un punto in cui il contenuto è più voluminoso del contenitore. Il troppo stroppia, come si dice. Il vaso della società politica e civile ha esondato e si sta sgretolando. Si è alterato l’equilibrio su cui si reggeva il fragile “castello di carta” del sistema delle libertà, spostandone l’area, in cui esse si esercitano, su due piani falsati: quello globale, dove libertà economiche e informazione agiscono senza controlli, e quello nazionale, locale, dove sopravvivono - ma più deboli ed indifese - tutte le altre libertà. Per fortuna, noi italiani, nella tragedia che ci sta attraversando, ci stiamo riscoprendo un popolo unito anche nella convivenza, forzata, che limita la nostra libertà fra le “quattro mura”. Penso a quelle persone che vivono in un condominio, in un palazzo, in uno stabile, chiamatelo come volete. Che io, da ex pentito, ho sempre considerato un luogo istruttivo. Il condominio oggi ha ammorbidito i cuori, si è riscoperto il luogo dove si sta bene con gli altri, la piazza civile dove ritrovarsi. Il durismo condominiale è morto. Se prima il condominio era il luogo in cui ci si chiudeva per non vedere nessuno, per sospettare, per protestare, dove la vicinanza con gli altri diventava una fonte di irritazione, oggi è cambiato. La convivenza in condominio non è più incubatrice di deliri. Ha ripreso la sua carica sociale emotiva. Non danno più fastidio i rumori oltre il muro, gli ascensori che non arrivano, lo sgocciolio dei balconi, i cigolii della notte. Il condominio non è più un luogo del controspionaggio. Ci si saluta, ci si parla di nuovo fra condomini: c’è connessione, c'è complicità d’intesa, anche. Gli animali d'appartamento, cause di diatribe infinite, sono diventati complici di alleanze tra vicini per uscire a turno in cortile e prendere una boccata d’aria. Da palestra di diffidenza il condominio si è trasformato in palestra di confidenza. Avamposto per scambiarsi informazioni e, alla bisogna, anche alcuni beni primari come sale, zucchero, pane, farina, uova, latte, caffè…. Il condominio si sta dimostrando un esemplare interessante di solidarietà continuata, con i gesti naturali che riempiono la vita delle persone. In questo momento particolare c’è senso di appartenenza, si fa squadra. Spero vivamente però, che nessuno pensi di liberare il proprio ego creativo per inventarsi delle mascherine col logo del condominio, come tendenza vuole, per dare al prossimo un maggiore segnale di esistenza e di presenza all’interno di questa giostra.