martedì 25 ottobre 2016

Rituale guidaiolo

Non c’è nessun fenomeno storico impressionante come la nascita di una civilizzazione culturale. Quella moderna oggi passa anche dalla Gastronomica. E quindi anche per le Guide ai Ristoranti, uno degli estensori di questa voce. Ottobre-Novembre è il tempo in cui si presentano le nuove edizioni delle Guide dei Ristoranti. Ciascuna dicendo la sua sul variegato panorama. Alla fine, tutte, quasi la stessa. La Michelin, in ordine di tempo è però sempre l’ultima a dirla...  Così per non rimanere in ombra quando le Altre si mostrano, tenta il colpo a sorpresa… Quest’anno se n’è uscita con sta notizia: “Il prossimo 5 dicembre una “preziosa” collezione composta da 108 volumi della Guida Michelin sulla Francia, pubblicate tra il 1900 e il 2016, andrà in asta..! Da Christie's, a Parigi, partendo da una stima compresa fra 25 e 30mila euro”. (Sigh!!). Per chi non lo sapesse, la fama di questo monarca assoluto della ristorazione nasce allorquando - da vademecum per i primi automobilisti di Francia che li informava sullo stato delle strade, su dove rifornirsi di carburante, sugli indirizzi dei meccanici e ovviamente sui punti di assistenza Michelin -  la Guida crea una sezione dedicata ad Alberghi e Ristoranti “raccomandati”. Era il 1922. Nel 1926 fece il suo debutto una piccola Stella nera accanto al nome dell'hotel per indicare la presenza di una “tavola rinomata”. Il meccanismo di una, due, tre stelle, Michelin, oggi riferimento mondiale primario della ristorazione che "conta", arrivò nel 1931. Oltre 100 anni di storia, venduta in circa 90 paesi e disponibile ormai in 14 edizioni che coprono 23 paesi, la Rossa, come la chiamano tutti, è diventata l’onnipotente guida delle tavole. Mediatrice fra popolo di consumatori e cucinieri d'élite di mezzo mondo. Che decide ogni anno dell’eccellenza di ristoranti e di chef assunti a sacerdoti stellati officianti delle nostre mense felici... Nonostante sia palese che, per la Rossa, ma anche per qualsiasi altra Guida, giudicare le cibarie ogni anno è solo un pretesto per l’arrampicata verso il successo editoriale, entrando dalla porta della cucina (Sigh!!). Ma tant’è…! Gli chef e i ristoratori, hanno accettato da tempo l’edificazione della forza “critica”..., stretti alle Guide in un abbraccio economicamente fecondo, illudendosi anche di appartenere ad un mondo privilegiato. Soprattutto con la Rossa! Capace più delle altre, grazie alla sua capacità di parlare più lingue, di attirare l’attenzione mediatica e di consumatori mondiali. Favorendo ogni anno una stupefacente sontuosa sfilata esibizionistica di mirabolanti chef. Con le Stelle...! Che da corpi celesti sono state trasformate in gonfaloni! In titolo assoluto, anche ossessionante e oggetto di tortura, a volte, per qualcuno di questi! La più ambita simbologia del livello gastronomico raggiunto, obiettivo primario! Le Stelle....! Contese, discusse, ammirate, esaltate, cercate, esposte, tatuate, comunicate, invidiate... Anche rifiutate. Trasformate in divinità della tavola da anonime penne gourmet, patentate da non sappiamo chi, che ogni anno ci dicono quali sono i menu "stellari". Schiere (??) di gastronomi, fiduciari dell’editore francese, che raccontano ai nostri stomaci analfabeti i sapori delle patrie cucine. Che mettono nero su bianco il nuovo psicodramma collettivo della civilizzazione culturale moderna, la simulazione di felicità struggenti della tavola. Facendole diventare icone attraenti, con il pensiero e la filosofia d'oltralpe (Sigh!). Le Stelle...! Seppur francesi, detengono da sempre, da noi, il copyright di superiorità critica gastronomica. Estrosi “gioielli culturali”, dal tono rigidamente imperativo. Modelli inscalfibili, del “giudizio” culinario  nonostante i tentativi da parte di orgogliose penne critiche nostrane e vocate, di trovare un simbolo di elevazione più alto che potesse spodestarle dal patriottismo cucinario… Il grande compianto Gino Veronelli, rimanendo su un astro di pari luminosità, ma più vicino alla terra, ci provò con i Soli. La guida L’Espresso, fino a ieri ancorata ai Ventesimi, oggi ci prova con i Cappelli. Mentre il Gambero Rosso dispensa da sempre le Forchette. Ma c'è una cosa che rende tutte uguali le Guide dei Ristoranti! E’ il numero dei simboli inquisitori che distribuiscono in giro: 1-2-3. Dove il 3, per uno chef e un ristorante, è l’apoteosi, il gradino più alto...., della Rossa anche l'internazionalità del mito. L'1 invece è il maglioncino di cachemire su misura, cercato a tutti i costi, che avvolge e ripara..., la soglia di ingresso nel panorama che conta, ma guai tornare a zero. Il 2 invece è il meno urlato e anche quello meno ambito. E' il desolante limbo infelice da cui si vorrebbe solo passare velocemente, e mai sostare più di un paio d'anni, per arrivare al 3. Se no tanto meglio rimanere all' 1..., che spaventa meno i clienti! 

martedì 18 ottobre 2016

Maledetto sud

Ahh, ahh, ahh! Sti burloni di inglesi ne hanno combinata un’altra. Parlo dei moduli di iscrizione alle loro scuole in cui chiedono ai candidati stranieri, tra le altre cose, la nazionalità. E per l’italiana hanno inserito tre distinte voci per schedare gli studenti compaesani: "Italiani", "Italiani-Siciliani", "Italiani-Napoletani" (Sigh!). Mi immagino l’ambiguo burocrate inglese che ha redatto il questionario…Un nazionalista nostalgico dell'età vittoriana, dotato del famoso humor. Un fondista dei lord inglesi. Uno che edifica nella sua mente imperi eterni (per fortuna destinati a diventare polvere). Un divulgatore teorico dell'inferiorità razziale dei meridionali. Che quando è stata l'ora di redigere il modulo s’è voluto vendicare…Manipolando il pezzo di carta in questione, inventando distinzioni e tipizzazioni, in modo da farlo diventare un documento offensivo ed ostile con la potenza degli stereotipi della razza maledetta che ha nella sua testa, mangiaspaghettiepizza, nullafacenti, sudici, mafiosi.... Per l’onta subita dal suo paese quando la dinastia dei Borbone regnava il Regno di Napoli e il Regno di Sicilia. In particolare ricordandosi dello sgarbo che Ferdinando II° fece all’Inghilterra quando salì al trono! Allorquando Ferdinando II° decise che il suo regno doveva essere un organismo politico nelle cui faccende nessun altro Stato avesse da immischiarsi…! Per l’Inghilterra, che era stata la protettrice e dominatrice della sua dinastia nel ventennio della Rivoluzione e dell'Impero, quello fu un vero e proprio atto di insubordinazione! Anzi, qualcosa di più, il desiderio del Regno delle Due Sicilie di elevarsi, affrancandosi da antiche subalternità, al rango di medio-grande potenza. Tant’è che da quel momento l’Inghilterra iniziò a tramare per destabilizzarlo… Con un crescendo di ostilità che contribuirono  a porre fine, una volta per tutte, alle velleità di autonomia del più grande "Piccolo Stato" della Penisola. Sto galantuomo di funzionario "moderno", s'è però legato al dito lo sgarbo....Usando il suo "sarcasmo" come fosse una medicina per guarire dal male che il Regno delle Due Sicilie gli ha fatto patire per tutto sto tempo.. Mettendo, pure, nel suo modulo dai contenuti razziali, sotto la voce “italiani”, tutto il resto: il Regno Sabaudo, il Gran Ducato dei Medici, i Principati Padani......Anche la Roma Papale (Sigh!). Facendo incazzare così, anche Salvini e "salviniani"...! Ma si sa….! Gli inglesi, da un po’ di tempo a sta parte, sono sempre alla ricerca di un pizzico di ironia per ravvivare la giornata! Alla provocazione di cotanto stile inglese, m'immagino come avrebbe risposto al questionario il compianto Dario Fo (di cui conservo uno speciale ricordo di una bellissima giornata passata assieme anche con la sua Franca Rame a Torino, dietro le quinte del mio vecchio Mondo, tra cibo, farsa e favola….). Che, prendendo spunto dalla letteratura carnevalesca di cui andava ghiotto, immedesimandosi in Bertoldo quando Alboino gli chiese  “Chi sei tu, quando nascesti e di che parte sei?”, rispose, “Io sono un uomo, nacqui quando mia madre mi fece, e il mio paese è in questo mondo”.

martedì 11 ottobre 2016

Regia della Tavola

L’eccessiva voracità creativa e vitalistica della cucina di oggi, chiamata a divenire ragionata filosofia di vita di molti giovani grazie ad un’esposizione mediatica mai vista prima, dimentica spesso il valore intero dell'ospitalità. Nel furore mediatico il ristorante è diventato un luogo somatico dove la creatività del cuoco si insedia e si transunstanzia in icona pura. Il cuoco, anche un sex simbol del nostro tempo! Sembra che sopra le nostre teste si sia abbattuto un incantesimo, narcotizzandoci. Offrendoci la sacralizzazione di un principio per cui il cuoco, e solo lui, assurge a supremo sacerdote delle liturgie dei commensali. Siamo tutti preda di una colossale vertigine cuochista.Vittime di un instupidimento collettivo che ci porta a disertare le altre importanti professionalità e le competenze che concorrono a fare “grande” un luogo del cibo, oltre lo Chef. Parlo di Maître, Sommelier e Camerieri. Persone capaci di far diventare un pasto un momento culturale, di piacere, di relax, di intimità… di quello che vuole l’ospite insomma. Parlo di coloro che, grazie alla loro professionalità sono capaci di ristabilire, con l’incantesimo delle parole, con la prudenza dei gesti, con la prontezza dei modi, la sovranità della Cucina. Venerdì scorso a Milano, ho partecipato, ad un’interessante ed animata tavola rotonda/talk dal tema “Perché la Sala è fondamentale”, organizzata dalla rivista Artù e moderata dal suo deus ex machina Alberto Paolo Schieppati, oltre che un Professionista, un Amico che stimo molto. Al tavolo dei relatori illustri rappresentanti del Mestiere: Luca Cinacchi, Roberto Brioschi, Nicola Ultimo, Guglielmo Miriello, Ermanno Gafforini, Oscar Cavallera. Da anni sostengo che le figure professionali di Sala meriterebbero più attenzione..! Lo dico soprattutto agli amici dalle penne giudici e a quell’esercito di predicatori che oggi tuonano nel web. Dico che è limitativo, che non è cronaca, scrivere schede sontuose di ristoranti parlando solo di chef e di piatti. Così facendo il ristorante è diventato un’oasi di ricreazione dei furbi oltre che un santuario per la direzione strategica della poltroneria giornalistica organizzata..! Un professionista della Sala è uno che conosce bene il proprio mestiere. Maestro nel donare all’ospite…, manovratore di menu e carte dei vini.. L’uomo di Sala sa esercitare anche riti di riparazione alle magagne della Cucina, oltre che prendersi cura dei commensali. E' capace pure di ripristinare al tavolo, energia addomesticata e servile. Il suo talento però non consiste nell’inventare, anche se è mago, a volte, quando sa mutare la realtà…, ma bensì nel rendere manifeste ciò che si realizza in Cucina. Crea unioni e legami! Trasformando, col suo saper fare, un pasto in antologia. Impreziosendolo al punto di farci gustare, oltre il cibo e il vino, l’incanto del luogo, del momento conviviale che vanno ad arricchire la nostra biblioteca dei ricordi. In questa Italia che il più delle volte non riconosce il valore delle professioni, il professionista di Sala però continua a rimanere un semiemarginato…(Sigh!). Ma sono fiducioso! La precaria cultura dell’ospitalità può finire! Anche se di questi tempi, per attenuare il senso di smarrimento, possiamo solo sperare in gente come Luca Chinazzi - Luchino, il Maître e volto televisivo la cui sua massima, “Il cliente ha sempre ragione.., ma non ditelo allo Chef!”, ne ha fatto una icona. Luchino, per mio figlio Enrico è il nuovo mito della tavola da imitare. Luchino è riuscito, almeno per ora, almeno per Enrico, a rovesciare dal podio la schiera di showchef che oggi ingrassano i folti palinsesti tivù! Il futuro della Sala è un mare aperto….

martedì 4 ottobre 2016

(Il)logica produttiva

Ci sono dei cibi che esercitano su di me una discreta seduzione. Il Porro di Cervere, il lungo d’inverno, è uno di questi. La scorsa settimana mi sono imbattuto nel prezioso ortaggio già esposto in vendita presso alcuni punti della grande distribuzione, locali. Caspita – mi son detto – possibile?... siamo solo ad inizio autunno…che ci fa il mio amato Porro sui banconi del supermercato? Possibile che ‘st’anno sia così in anticipo? Iimmaginate anche il mio sconforto, avendo da tempo un fedele pusher del Porro di Cervere... Si chiama Gabriele, ha pochi anni più di me, ma ne dimostra un sacco... tanto il suo corpo è segnato dal mestiere. Con le mani corrose dal lavoro e la pelle lacerata dal sole. Gabriele è un ortolano esperto, rispettoso del modello agrario. Uno che nella sua vita esercita l’obbligo del rigore, mai negoziabile, nella considerazione della natura..., della Madre Terra. Gabriele è un contadino che apprezza i doni di Pomona, come unici benefici dell’indulgenza della vita (Sigh!). Ha un micro campo, a Cervere, proprio a bordo del fiume Stura, che lo bagna, arricchendo così ancor più il terreno sabbioso di cui è composto…Tutto quel che ci vuole per produrre ottimi Porri! Ogni volta Gabriele, mi chiama per dirmi che è l’ora della mia delizia! Il mio pusher del Porro di Cervere, così puntuale e preciso, invece stavolta non si è fatto sentire! Non mi ha chiamato, come fa sempre, per dirmi che avrei già potuto ritirare la sua speciale produzione… Lo chiamo io. “Oh, Maurizio” – mi risponde dall’altra parte Gabriele con un filo di voce come quando le sue labbra riarse stringono un minuscolo mozzicone di sigaretta rollata a mano – “che piasì d’senti! Che diau?!?”. Gli spiego il problema… “Eh, car Maurizio – mi risponde – me strinss el coor…..ma ormai si a’s capis pi niente….I Porr sun cu’nen prunt… Lòn ch'à fas mi, ti tu sei. Sunne cu'nen bun i porr c'as trovu adess...Ma la gent 'speta pi' nen….Voru tut subit… Stei tranchil….a’ttelefun mi quandi che alè ura… ma fate cunt…, nen prima del des d’nuvember…”. Stacco e penso. A questa frenesia di divorare anzi tempo i prodotti della terra. Dei  barbarici banchetti perpetrati sulla pelle dell’ennesimo prodotto tipico…Messo lì sui mercati, anche se non ancora pronto, grazie alla forza della Grande Distribuzione Organizzata....., al suo imponente apparato promozionale! Della sua spinta commerciale e della sua penetrazione suasoria. Che spinge, sempre di più, così, sui vertiginosi mutamenti agricoli ma anche alimentari, favorendo pure la metamorfosi del gusto…., sputtanando anche le caratteristiche che rendono unico un prodotto tipico! Madre Terra, in ‘sti tempi confusi e pasticciati da mode improvvise, in un panorama dominato dal culto del tipico, sempre, a tutti i costi, e per tutti, sta subendo l’oltraggio dell’estremismo produttivo sempre più di moda. Si spreme Madre Terra, dimenticando la saggezza della ruralità! Mungendo a più non posso i raccolti! Per un'ossessione collettiva di avere quel prodotto, all'infinito e sempre più in anticipo. Facendolo diventare, così, nel circuito del gusto, cibo da Kermesse popolare! Credo si debba riflettere tutti su questo… Bisognerebbe rimettere in funzione, in certe teste di rapa, la catena dei saperi agricoli! La sua perorazione sarebbe oggi, nell’imperversare del caos dei prodotti tipici, un valore esemplare su cui riflettere! Invece, così, purtroppo, alla vecchia grammatica si sostituisce un discorso nuovo..., una nuova e inutile (il)logica produttiva.