martedì 4 settembre 2018

Il Falò di Via Goito

Via Goito e dintorni è sempre stata una piccola Sicilia di cui ho nostalgia. È quella nostalgia che mi coglie di sorpresa e, soprattutto quando mi sembra di essere al sicuro, fuori dalla traiettoria, ricompare… L’8 settembre a Bra è la festa della Madonna dei Fiori. Questa festa mi evoca ricordi particolari della mia infanzia, quando non facevo differenza tra giorni feriali e festivi. Le sere a quell’epoca le passavo a far tardi per la strada, giocando ai mestieri coi miei coetanei, oppure attraversando Viale Risorgimento, priva dell’attuale sfrontata edilizia, per correre sui prati a perdita d’occhio e contare le carrozze dei treni che sfrecciavano da Bra verso Torino e viceversa. La Madonna dei Fiori però per me è soprattutto il fuoco. Fuoco intenso. Perché la vigilia della Madonna dei Fiori era la notte dei falò. A Bra e dintorni, se ne accendevano decine e decine, ma molto contenuti. Noi di Via Goito, invece, il Falò lo facevamo enorme, altissimo, a tal punto che, siccome la circonferenza era esagerata, per aggiungere sempre più materiale da incendiare, noi piccoli ci dovevamo arrampicare. La notte del Falò per noi di via Goito era una grande festa che durava tutta la notte fino alle prime luci dell’alba, con il fuoco che ardeva per ore, ore, disumano, gigantesco, con fiamme altissime. Quelle fiamme un po’ mi mancano. Era un modo per stringerci forte tra noi conterranei, un’occasione per fare festa, incontrarsi, stare assieme. D’altronde erano tempi, quelli, in cui, per noi del sud, l’accoglienza della cittadinanza braidese, non era propriamente calorosa. Ancor più di oggi, allora, alcuni concittadini vantavano orgogliosamente degli epiteti ostili nei nostri confronti, “napuli” su tutti, per far riferimento a soggetti anche solo come il sottoscritto, nato a Bra, ma di origini meridionali... Nel tempo il falò di via Goito per i grandi è diventato anche costruttore di ponti fra gli abitanti della zona: sapeva raccontare le tradizioni e i legami degli uomini, parlare di condivisione, di scambio, di superamento di rancori e pacificazioni, di dialogo. Sapeva scaldare i cuori. Per noi “gagni”, invece, il falò rappresentava una specie di rituale magico, l’ultima festa dell’estate, in cui poter divertirsi spensieratamente e rompere il tabù della notte senza dormire. Chissà perché si faceva il Falò...?!  Sta di fatto che si sentiva il dovere di farlo per festeggiare la "nostra" Madonna. Ogni anno era una sfida a farlo più grosso. Dovevamo battere tutti gli altri. Doveva essere un fuoco grande, visibile in tutta Bra e dintorni, tale da suscitare l’invidia nei coetanei che li avevano preparati in altri posti…. Il pomeriggio del 7 settembre sul campo di Viale Risorgimento, adesso violentemente antropizzato, preparavamo il nostro gigantesco falò. Se la data coincideva col mercato del venerdì era più facile che venisse ancor più grande perché in ultimo aggiungevamo, alle cataste di mobili, bancali, e ogni sorta di materiale infiammabile, i cartoni e le cassette della frutta e verdura che gli ambulanti mollavano sulla piazza e noi raccoglievamo con carriole e carretti di fortuna. All’imbrunire il falò veniva acceso con le fiamme che si alzavano in cielo, sprigionando una cascata di scintille. Per noi piccoli era quella la vera festa. Trascorrevamo tutto il tempo a giocare, a guardare il cielo e le stelle intorno al falò, mentre i più grandi si raccontavano ciò che gli bruciava nel cuore. Verso le prime luci dell’alba, quando le fiamme scemavano e restavano soltanto più i carboni, le nostre mamme ci cuocevano quintalate di peperoni da mettere via per l’inverno.

mercoledì 11 luglio 2018

CR7

Cristiano Ronaldo Dos Santos Aveiro, CR7, è della Juve. L’effetto Ronaldo alla Juve ha prodotto uno tsunami di messaggi sul mio telefonino che a paragone un fall-out è roba meschina. Tifo Juve, ma non sono sfegatato. Ho scelto da piccolo la Juve perché a Bra, dove sono nato e cresciuto, per la maggiore, o tifavi il grande Toro, oppure, come tutti quelli come me di origine meridionale, grazie agli Anastasi, Causio, Cuccureddu…, eri della Juve. Nell'età matura amo la Juve anche perché prima di essere squadra è un’azienda. E prendere Ronaldo secondo me è stato un capolavoro manageriale. La pubblicità ed il marketing stanno entrando su questa ossessione calcistica di inizio estate a gamba tesa. Il fine giustifica i mezzi. Chiunque accenderà d’ora in poi un qualsiasi dispositivo video, vedrà CR7, l’artista del dribbling, correre con un deodorante in mano, urlare in posa a petto nudo il nome di una bevanda energetica, a reclamizzare un’auto, una Finanziaria…, un cellulare, un checcaspitanesò, che a confronto le più super modelle più super pagate del mondo diventeranno fantasmi. L’effetto è rintronante e la Juve lo sa. Il sogno è partito e guai a chi lo ferma. Il giocatore che ha vinto più cose in assoluto, a squadre e da solo, che ha segnato un botto di gol a tutti, è da oggi il protagonista del romanzo popolare, nella stagione della distrazione superficiale. Credo, anche, non solo per tutti quelli che hanno invaso il mio cellulare di messaggi, per coloro che amano il calcio. Vero Gennarino, Franco, Marco, Gianpiero, Gianni, Francesco, Luca, Nicola, Giuseppe, Aldo…..?

sabato 7 luglio 2018

La Panchinona di Tino

E’ inutile illudersi di vedere la campagna come la vedono i contadini. Dubito, anzi, che esista un modo non industriale e insieme non turistico di vedere la natura, se non forse in qualche sperduto superstite che non consuma tivù e non cammina con le ruote… (anche se io uno lo conosco: https://morsidigusto.blogspot.com/2017/05/terre-della-montanina.html). Attorno a Bra, in collina, da un po’ di giorni è nato un nuovo osservatorio, molto particolare, della campagna circostante. Si tratta di una Panchinona realizzata totalmente con legname di recupero, da un mio amico, Tino Gerbaldo, fotografo di professione, un po’ creativo, un po’ pittore, un po' scultore, sicuramente molto romantico. Una Panchinona che elogia il “soggiorno” nomade e sedentario dove è possibile riposarsi, mangiare, aspettare, osservare, socializzare, comunicare, leggere, lavorare, oziare…, e anche selfarsi. Sì anche farsi il selfie, visto che la panchina è dotata di bastone-prolunga con apposita sede per applicarci qualsiasi cellulare e scattarsi la foto. Tino non ha neppure dimenticato di fornirla di sgabello-ceppo per permettere a tutti di salirci sopra. La Panchinona di Tino è un luogo di sosta particolare, un’utopia realizzata. E’ una vacanza a portata di mano. La struttura, molto semplice, la rende un’opera d’arte solo per quanto è grande, per come è composta, ma soprattutto per dove si trova in mezzo ad un campetto erboso sul bricco più alto della frazione Macellai. Un posto come questo è una droga leggera... Da stupefacenti consolazioni! Prima che Tino la installasse, qui, quando correvo per ste colline, mi fermavo spesso sul crinale per contemplare lo spettacolo del Monviso, di una parte delle Langhe, della piana degli orti di Bra... Mi davo il tempo di perdere il tempo…. Correvo da fermo a pensare agli sconfinati arcipelaghi delle emozioni che vivono in me. E recuperavo le forze così. Poi proseguivo di nuovo di corsa per chilometri, raccontandomi la mia vita, confermandomi quanto fossi fortunato anche solo per godere di questo straordinario spettacolo. Adesso, ancora più piccolo, seduto su sta Panchinona di Tino, sospeso da terra sul ciglio del mondo, mi alleno meglio a lasciare libera la mente di vagare e divagare...  Sono certo che la Panchinona di Tino diventerà luogo di sosta privilegiato non solo per selfisti scatenati, ma una sorta di rifugio per pensare.., per quanti vorranno far nascere o ricordare un amore, per lasciare un messaggio al mondo, per gridare la propria esistenza di vita. Spero diventi un’istituzione la Panchinona di Tino..., una necessità umana, una vetrina sulla realtà quotidiana..., sull’infinito che oltrepassa la nostra comune percezione della realtà... “Come la libellula, spesso, nel suo volare improvvisamente si arresta, e senza fare alcun movimento rimane sospesa nell’aria per alcuni secondi, così ci sono istanti nella vita umana nei quali il tempo si ferma, ci si sente liberati da ogni pesantezza e immersi in una condizione nirvanica…” - Etty Hillesum – Diario 1941-1942.
p.s.: Chi volesse vedere l'immagine della Panchinona di Tino, guardi "la mia storia" su Instagram.

lunedì 2 luglio 2018

La Tavola

La rapidità e la fretta sono tra i caratteri salienti di questo nostro tempo. Come noi corriamo da una parte all’altra, trascinati dall’ansante prestazione, come le nostre parole, scritte e parlate, volano veloci sull’etere, così tutta quanta la nostra vita morale e intellettuale precipita vertiginosamente Ci sono momenti in cui avverto più forte questo disagio – (sarà per l’avanzare degli anni)- e quindi ogni tanto amo ripercorrere, anche solo con la memoria, quei luoghi in cui ho vissuto esperienze, affetti, amicizie che mi hanno segnato. E’ una memoria silenziosa, ma capace di una gratitudine che non ha prezzo. La scorsa settimana sono tornato fisicamente in Umbria, a Montefalco, un luogo-rifugio di quiete sempre presente nella mia memoria. Sono stato invitato da Marco Caprai, per una rimpatriata tra amici nella sua splendida Cantina. Dal 2000 al 2003 – durante la mia esperienza professionale qui – con molte persone presenti lì quella sera, ho condiviso momenti speciali, intensi. Marco Caprai, da generoso anfitrione, con far suo, ha allestito, sul terrazzo fronte vigna Belvedere, una meravigliosa tavolata in ci si è consumato uno speciale rito della convivialità. Non era una tavola salotto…, ma un luogo che ha saputo nutrire i presenti di sapienza, di amicizia gratuita e di fiducia. Questo luogo, mangiare, parlare insieme, mi hanno dimostrato ancora una volta che condividere la tavola è un atto di fede, di profondo rispetto nell’altro: significa eleggerlo, distinguerlo…., significa confessare il desiderio di stare insieme, di ascoltarsi, di conoscersi meglio. Marco Caprai con la sua tavola quella sera, è stato capace di dimostrare quel che chi mi ha educato mi dice sempre...., che aprirsi agli altri, disporsi a lasciarsi arricchire dalla loro presenza, dischiude nuovi orizzonti. Al momento dei saluti, alla fine della cena, in questo speciale momento di umanizzazione, si è aperta in me una straordinaria consapevolezza: che la Tavola è il luogo della fiducia nell’altro!

martedì 5 giugno 2018

Bouganville

Ma come si fa? Ad ogni viaggio in Sicilia mi perdo nelle emozioni. L’ultima volta che ci sono andato, un paio di settimane fa, mi sono promesso di non concedermi ai sentimenti. Così in partenza, come il protagonista americano de “Il Giardino dell’Eden” di Hemingway, mi sono detto: “volterò le spalle a tutto il pittoresco”….  Macchè..! Stavolta più di tutti mi ha ciulato l’entusiasmo bucolico. La mia insostenibile leggerezza agreste mi ha preso per tutto il periodo in cui sono stato lì, con gli occhi che si riempivano da soli dei colori della natura... Soprattutto di quelli delle Bouganville color rosso estremo. In ogni dove di sta benedetta terra ne ho viste a iosa macchiare il paesaggio che già di per sé è un mare di luci. Senza tante storie, le Bouganville, lì, galleggiano come sugheri su superfici improbabili…., splendono rigogliose come se nulla potesse loro... Tappezzano, anche tra il cattivo gusto del possesso, un muretto mal intonacato, cornici di fossi malconci, cancelli inutili e reti inspiegabili… "La Bouganville - come recitano i testi di giardinaggio - è una pianta rampicante a crescita rapida… Esistono molte varietà che comprendono ibridi di colori che variano dal bianco, al giallo, al rosso acceso. Questa pianta ama il caldo e l’esposizione soleggiata…. Coltivarla al nord è difficile, mentre al centro e al sud cresce con vigore in piena terra senza bisogno di cure particolari…". Ecco…, appunto! Al nord, nisba…, non si riesce a "macchiare" il paesaggio con la Bouganville...! Perché quest’ingiustizia.? La Bouganville rimane il mio sogno bucolico impossibile..., la mia dolcezza incoltivabile. Al sud cresce come la gramigna, mentre a Bra, testardamente, io ne avrò “bruciate” dal freddo almeno una decina….Mi appello ai Floricoltori, ai Florovivaisti, alle Associazioni Ambientaliste, ai Parchi Nazionali, ai Collezionisti....: "procuratemi una Bouganville che sopporti le gelate. Parlate coi Biotecnologi: brevettatene una O.G.M...!". Perché in futuro, qui al nord, possa riprodurre almeno in parte i miei sogni siciliani. 

domenica 29 aprile 2018

Ciao Maestra

La mia Maestra è in viaggio verso la Luce Celeste. Aveva 94 anni. Il tempo passa e con l’andare del tempo anche le persone cambiano… Lei no. La Maestra Ravera conservava ancora una sovranità antica, elegante e nobile come anche il suo aspetto. Era magica, bella, con un’aura carica di umanità. Quando la incontravo a passeggio, di tanto in tanto in Bra, ci prendevamo sempre un caffè insieme... Ogni volta che le parlavo, percepivo le mie infantili commozioni, rivivevo le piccole grandi scoperte dell’età pubere quando lo stupore e l’incanto del vivere mi accompagnavano ad ogni passo. Sento di dover molto alla mia Maestra. Il suo tratto educativo era di rigore, ma con dolcezza. Mi ha insegnato a imparare tutto da tutti, sempre… A non smettere mai di provare piacere nell’apprendere! Non la dimenticherò mai Maestra! Ora la immagino al riparo dall’urgenza della vita, immersa di luce e del suo inconfondibile profumo di lavanda, ricongiunta all'anima di suo marito che amava tanto.



mercoledì 25 aprile 2018

Pedalata Assistita

Malgrado le 55 primavere che gravitano sulle mie spalle devo ammettere che mi sento giovane. Spesso credo che la mia età anagrafica non mi corrisponda. Mi sembra quasi ingenuo e commovente pensarlo, (e scriverlo…!), ma non so perché mi vedo ancora giovane, nonostante i capelli bianchi e le rughe sul mio volto. Auto-illusione? Triste distorsione di una realtà evidente? A consolidare questo pensiero del mio giovanilismo eterno, dell’essere ancora in forma, scattante, sano, vigoroso… ci ha pensato stavolta Federica Cudini, Marketing Manager Bosch eBike Sistems Italy, che, lunedì scorso, mi ha invitato a pedalare tra le vigne di Langa e Monferrato in sella ad una sua Mountain eBike. L’iniziativa è stata promossa dalla Cantina Michele Chiarlo di Calamandrana che produce grandi vini in Langa e in Monferrato, in collaborazione con Monferrato Active Ebike, una realtà tutta al femminile fondata da Fabrizia Forno, Simona De Paoli Chiarlo e Valerie Frea. Tutti e tre, Bosch, Chiarlo e Monferrato Active Ebike, hanno un unico obiettivo: portare sempre più persone in sella ad una eBike per promuovere le Colline Patrimonio dell’Umanità, come destinazione ideale per praticare un turismo attivo, eco-sostenibile e di alto livello. Alle 10 del mattino, rendez-vous dei partecipanti, un gruppo di variegata fauna umana, all’ Art Park La Court di Castelnuovo Calcea. Cielo azzurro e temperatura estiva. Dopo le dovute indicazioni di ciascuno degli organizzatori, su dove siamo, come si sta in sella e cosa faremo, pronti e via. Prima pedalata sulle Terre della Barbera e del Moscato. Chi va in bici come me conosce la fatica di inerpicarsi su queste sode e rassicuranti colline, percorrendole su strade asfaltate. E’ dolcezza difficile! Prenderle dal versante interno, addentrandosi nei vigneti, tra pendii aspri che solo a guardarli da sotto ti sfidano esplicitamente ad un confronto spietato, è un sogno. Inimmaginabile anche per uno come me che vive ancora la stagione delle avventure... Invece già i primi chilometri, in mezzo ai vigneti del Monferrato percorsi in sella ad una bici con pedalata assistita, mi hanno dimostrato che l’èBike è soprattutto divertente… Che l’eBike brilla di buoni propositi…. Che pedalare su salite vertiginose non è  solo materia per i maschi Alfa... L'eBike è un mezzo democratico..., ti apre al godimento condiviso di entusiasmi bucolici... , non ti fa vedere le difficoltà! Neanche se pensi ai chilometri di dislivelli sterrati che devi fare dopo che hai tirato giù grandi vini abbinati alle succulenti preparazioni gastronomiche confezionate dai sorrisi del fantastico Relais Villa del Borgo di Canelli. I chilometri percorsi in sella dell’Ebike in terra del Barolo, a La Morra, sono stati invece l’elisir della mia eterna giovinezza... La conferma che tutto è possibile! Sarà stato anche per l’atmosfera e la sinfonia del gustoso pranzo, in comfort zone all'aperto con vista sui vigneti di Palas Cerequio della famiglia Chiarlo, ma qui la mia fantastica eBike è stata monumentale. Una straordinaria complice capace di farmi rispondere con performante grinta alle sollecitanti sfide degli austeri Bricchi del famoso Cru… Mi sono divertito un casino, a cavalcare ste solenni vigne! E scoprire, con lo stesso entusiasmo di un bambino sulle giostre, il gusto di arrampicarmi dove non potrei mai se non stando in sella ad un'eBike... Il risultato è stato una strana perfezione..., come la frizzante primavera che mi sento ancora addosso a 55 anni.

mercoledì 21 marzo 2018

La resilienza

Come diceva Norbert Elias, una delle più grandi figure della sociologia del secolo scorso, ma poco considerato, “…mai come oggi gli uomini sono morti così silenziosamente e igienicamente e mai sono stai così soli…”. Da un po’ di tempo mia mamma si trova in una struttura d'accoglienza per anziani. Una scelta “obbligata”, dettata da una serie di problemi e malattie che la devastano. Non cammina da quando ha rotto il femore, ha il Diabete alle stelle, ha il Parkinson che galoppa, ha la Disfagia, ha il catetere fisso, ha la flebo in vena ogni mattina…., prende un sacco di medicine. Dal punto di vista clinico è messa male, e quindi per questi problemi, com’è ovvio, ha bisogno di assistenza sanitaria specifica H24. In 'sto luogo, in questa convivenza obbligata, oltre mia mamma, anche io ho creato una rete di relazioni… E’ strano come persone che incontri casualmente nel corso della tua vita, poi, a forza di frequentarli, giorno dopo giorno, diventino i tuoi confidenti, i tuoi amici, la tua famiglia. Da quando mia mamma è qui ho conosciuto persone di ogni tipo: soli, disorientati, saggi, perfidi, trascurati, curati, generosi, tristi, musoni, burloni, stanchi, energici…. Anche tipi che normalmente vengono definiti matti. Spesso alcuni di essi mi servono delle confessioni. Con parole che si possono toccare e toccano. Conversazioni senza segreti, libere, che, stranamente, procedono pacate su temi del futuro, su ricordi senza nostalgie. Di un gruppo, personale e residenti, che deve continuamente fare fronte a nuove incertezze, che impara a convivere, a collaborare, che ogni giorno è costretto a risolvere nuovi problemi. Da alcuni di essi, soprattutto da coloro che sono più soli, ormai compagni di vita di mia mamma, e quindi di famiglia, durante le giornate che in 'sto posto si assomigliano tutte ho imparato la resilienza. Il termine "resilienza" in origine proveniva dalla metallurgia e indica, nella tecnologia metallurgica, la capacità di un metallo di resistere alle forze che vi vengono applicate. In psicologia la resilienza è una parola che “indica la capacità di far fronte in maniera positiva a eventi traumatici, di riorganizzare positivamente la propria vita dinanzi alle difficoltà, di ricostruirsi restando sensibili alle opportunità positive che la vita offre, senza alienare la propria identità...". Li ringrazio tutti..., anche per avermi insegnato che chiedere aiuto non è una forma di debolezza, ma di forza.

venerdì 16 marzo 2018

Mangiarsi le parole

La scuola e i libri io li ho amati tardi. Da “gagno” erano la mia ossessione. Ero poco persuaso dai due. La scuola, con le sue ristrettezze morali che solo a ricordarle si diventa rossi, coi voti maledetti, con gli esami senza senso…, mi metteva a disagio. I libri invece, che a casa mia mancavano, mi facevano pensare ad un modello sociale che non mi piaceva…, da tipi intellettuali snob. Insomma..., fino a quasi vent'anni, mi trovavo più a mio agio in mezzo alla strada che in una biblioteca. Nella maturità invece i libri sono diventati la mia passione. Ne ho dappertutto e appena ne inizio uno devo subito legger anche quello dopo, e quello dopo ancora, e così via, in una spirale di passione letteraria dalla quale non ne esco più. Intendiamoci…, non sono un fanatico, uno che i libri li divora, ma quando sono a casa in meditazione, o al lavoro che mi porta a destra e a manca - molte volte in solitudine - il libro rimane il mio “riposo" preferito. Come, è anche il regalo che apprezzo di più. Dei libri che posseggo molti parlano della mia terra d’origine, la Sicilia, di gente, di neorealismo…, molti altri di cibo, di vino, di cucina, di antropologia del mangiare e del bere. L’altra settimana ho avuto il piacere di conoscere il professor Luca Clerici dell’Università degli Studi di Milano, grazie ad un altro professore suo collega, Riccardo Guidetti, docente nella stessa Università, con cui per lavoro collaboro ogni tanto. Mi ha omaggiato “Mangiarsi le parole”, un volume di ricette di alcune delle penne più importanti della letteratura italiana compresi dall’Unità nazionale ad oggi. Per citarne alcuni, Leonardo Sciascia, Dacia Maraini, Carlo Emilio Gadda, Umberto Eco, Alberto Moravia, Giuseppe Ungaretti, Mario Soldati, Gianni Brera, Luigi Veronelli, Andrea Camilleri…. Alcuni di essi sono miei miti... Il testo è un'antologia gastronomica di piatti, che si possono cucinare, che il professor Luca Clerici ha curato personalmente attraverso un’ approfondita e importante ricerca storica sull’argomento. Il libro parla di cibo sognato, desiderato, cucinato. Dello stare insieme, dei luoghi, dell’identità. In questo tempo in cui siamo tutti immersi nella cucina, e la cucina ci sovrasta, questo libro esce dagli schemi di quelli che ormai sul cucinare hanno difficoltà a pensare e a comunicare qualcosa di originale. E' un'opera che fa parte di quella “comunità di senso”, ormai defunta, della comunicazione intelligente sul mangiare. Uno strumento di conoscenza e coscienza che elabora una forma culturale di resistenza, all’omologazione in atto sul tema. Diversa dalla comunicazione odierna che allena solo più incoscienza, praticata da gruppi chiusi, settari, sapientoni e classificatori della cucina globale che produce solo contrapposizioni e eresie…, (leggi eventi e congressi sul tema in cui ci vado ormai solo per sentire chi la spara più grossa)... Mannaggia a cos'ho detto! Me lo suggeriscono in tanti che delle volte dovrei imparare a mangiarmi le parole…


venerdì 2 marzo 2018

Runner’s Selfie

Sono un runner di quelli che pensano che il momento dedicato alla corsa è un tempo dedicato a se stesso. Mentre corro innalzo il mio personale grado di autostima… Per questo il cellulare, di solito,  lo lascio a casa tagliando i ponti con il mondo esterno e vivere appieno le emozioni legate a questo momento. Quando invece vado a correre in luoghi suggestivi, unici, “meritevoli” di un Runner's Selfie, il cellulare me lo porto dietro..., per dar sfogo ad un mio vezzo irrinunciabile: immortalare la mia corsa in quel posto e mandare la prova agli amici. E’ successo anche martedì scorso. Mi trovavo per lavoro ad Agrigento al Congresso Regionale dei Cuochi Siciliani. Più precisamente ero a Porto Empedocle, posto reso famoso per la casa natale di Luigi Pirandello, a due passi dalla Valle dei Templi patrimonio dell’umanità. Nel mosaico di culture del Mediterraneo, questo pezzo di terra, fronte africano della Sicilia è il numero 1 del milieu storico culturale nazionale. E’ un posto magico, incredibile, se si tiene anche conto che lunedì mattina il clima che ho trovato lì corrispondeva più o meno a quello di una primavera inoltrata del nord, prati verdi e alberi in fiore! Forte anche di questo, quindi, martedì mattina, decido di raggiungere di corsa, in sospirata tenuta runner primaverile, il sito della Valle dei Templi per farmi il mio “Runner’s Selfie”. Il posto è seducente. Lo avevo visitato già altre volte, ma solo sempre in abiti “borghesi”. Il percorso, in tutto, A/R dal mio albergo, è di 13 km, quasi la metà in salita. Mentre mi avvicinavo immaginavo già la faccia degli amici alla ricezione del mio Runner's Selfie coi Templi. Alle otto meno un quarto, circa, ho raggiunto l’ingresso del Sito. Il personale della reception era nel tran, tran della biglietteria ancora chiusa. Senza pensarci troppo, con gesto impavido e anche un po’ incosciente, ma secondo me legittimo per un Runner's Selfie, salto i tornelli e mi infilo dentro proprio mentre il cancello principale si apre per far passare una macchina di un addetto. Senza ansia catastrofista supero la macchina e corro verso i monumenti per il mio Selfie imperdibilie.... Peccato che a dieci metri dal Tempio di Giunone, mentre cercavo di sfoderare il cellulare dalla tasca, il tipo in macchina mi raggiunge e con tono incazzoso mi dice che me ne devo andare... L’audacia si sa non mi manca e più la meta si fa difficile, più la sfida mi piace. Con la faccia da culo che mi distingue faccio finta di non capire e gli recito un “I’m sorry, I don’ t understand”, cercando di avvicinarmi ancora di più al Tempio.... Cosa ho mai fatto!?!....  Da sto momento in poi si consuma una delle più incredibili sceneggiate alla Totò... Con sto tipo che voleva buttarmi fuori in tutte le maniere gridandomi "out!out! out! e io che da ebete interdetto, in inglese, cercavo di fargli capire che volevo solo farmi un Selfie davanti al Tempio.... Al mio ennesimo provocatorio “I’m sorry I don’ t understand”, questo, ancora più incazzatissimo, fa cadere la mia maschera: “...calma" - gli dico in italiano - " tranquillo, voglio solo farmi un Selfie….”.  Ormai sgamato, sto tizio, ancora più disturbato, mi chiede con tono ancora più minaccioso i documenti, sventolandomi in faccia il "Tesserino dei Tesserini", mentre al cellulare chiama anche una pattuglia... Nei minuti successivi, un po' per sdrammatizzare e un po' per esorcizzare il peggio, non ce l'ho più fatta..., e cercando di convincere il tipo che la sua reazione mi pareva esagerata, con simulata indifferenza, cellulare alla mano, gli ho chiesto: “... scusi, mentre aspettiamo i suoi colleghi, visto che sono già qui, posso farmi sto benedetto Selfie?... Oppure me la fa lei una foto con il Tempio…?"...



venerdì 23 febbraio 2018

Vamos a la Piada

Ho saltato non so quanti lunedì, dicendo ogni volta che era quello buono per rallentare col mangiare e bere. Quasi ogni fine settimana mi prometto che dal prossimo lunedì devo andarci piano…. Ora che siamo in periodo di quaresima, anche con sta scusa, un po’ d’astinenza volevo davvero praticarla. Non però come forma di penitenza e segno di avvicinamento alle ragioni dello spirito! Per me non esiste alcun rapporto tra il cibo e l’immortalità dell’anima…! Ma niente da fare... Non ce l’ho fatta neanche sta volta. Non resisto al “prurito della gola”. Sono sprovvisto di vergogna gastronomica... Mi metto in solenne disposizione quando la gola mi prude… Due giorni di Campionati della Cucina Italiana, durante “Beer Attraction” di Rimini, hanno ancora una volta debellato tutte le mie buone intenzioni... Ma poi…, come si fa a pensare di fare dieta proprio lì? La Costa Adriatica rappresenta il centro di uno dei miei miti culinari…. Lasciamo perdere tutto il classico menu romagnolo..., ma volete mettere la Piadina? Sul suo carattere peccaminoso di cui molto si potrebbe dire…, anche solo per quel suo bel modo di farsi riempire…?!? La Piadina, anzi, senza diminutivo, la Piada è un cibo magico, provocazione per gente di ogni età, condizione sociale e sesso…, senza tempo né spazio definiti. La Piada si adegua al nord come al sud, a mezzogiorno come alle due di notte. La metafisica di questo cibo si basa soprattutto sulla sua non solennità... E' un cibo democratico! Si addice ai romagnoli, agli italiani, agli occidentali quanto agli orientali. Sono un così accanito seguace e sbavante divoratore della Piada, che nei due giorni passati lì ogni momento era buono per divorarmene una. La Piada che mi piace però è causa ed effetto di un sottile artigianato... E' un raffinato macramè al servizio del palato. Cerco leggerezza, fragranza, golosità in una Piada…, nel suo gusto ancor prima di essere farcita. Amo scoprire e assaporare, prima, la virtù allettante dei suoi ingredienti. Tra i diversi modi di mangiarla, la mia preferita - la “Piada del Chiosco” del laboratorio artigianale Fresco Piada di Riccione che le produce come una volta con le azdore che le cuociono a mano una ad una - la farcisco con squacquerone in piena foresta di rucola e prosciutto crudo tagliato a coltello. Senza sensi di colpa, anzi, nella mia permanenza lì, ogni volta che mi veniva voglia, andavo alla ricerca della mia Piadina filosofale, intonando un bel refrain dei mitici Righeira appena appena modificato..., “Vamos a la Piada..., ohh, ohh, ohh, oohhh..."...


mercoledì 14 febbraio 2018

Stinco di santo

Sono appena rientrato da Francoforte dov’ero impegnato in una Fiera. La Germania sembra tutto fuorché una società di buon gusto, di bon ton, nel mangiare. Ogni volta che ho a che fare con questa cultura alimentare devo dar ragione a Ludwig Feuerbac, il filosofo tedesco che conosco solo per la famosa frase che sentiamo spesso ripetere, “Mann ist, was er isst”, l’uomo è ciò che mangia. Il mangiare per me, lo sapete, non è un’occupazione superflua… Anzi! Esiste in me una vera cultura della distrazione culinaria. Mentre mangio provo godimento materiale! Quando mi trovo in un paese straniero, quindi, cerco di mangiare quello che mangiano loro... In questo caso come i tedeschi. Non come mangiano loro però…! I tedeschi riescono nell’impresa di trasformare un pranzo in uno sfondamento di panza, col gioco dell’esagerazione e del cattivo abbinamento... Se durante il mio soggiorno lì, di giorno, in Fiera, riuscivo a mettere poche cose nello stomaco, di sera, invece, complice anche la fame, senza farmi influenzare dai sensi di colpa e senza lasciarmi mai impressionare da certi ingredienti, mi buttavo sui menu tipici degli storici locali del centro. Prevedo che vegetariani e vegani non saranno d'accordo..., ma per tutto il tempo a Francoforte non mi sono sottratto al ménage culinario locale: grasso, unto e con spiccata vocazione al piacere della carne. Senza curarmi delle minacce di dannazione eterna da colesterolo…, la sera, mi sedevo a sontuose tavolate tedesche coperte di salsicciotti, di ogni qualità e colore, wurstel, crauti, patate al forno, patatine fritte, stinchi, costolette di maiale, salse, salsine e birra a manetta. Per cinque giorni, però, il mio piatto preferito è stato lo Stinco: una delle vette della gran cucina calorica, che ha il merito di costringermi alla resa dopo la sua fine… Lo Stinco per cinque giorni è stato un balsamo per gli emboli del mio piacere. Lo sfoggio culinario di sontuose mangiate e laboriose digestioni..., lunghe come il lavoro paziente di un artigiano. Un piatto virtuoso e gustoso, ma anche un mosaico di ricordi. Di quando da gagno mi sentivo dire - in senso ironico e scherzoso, giocata anche sul cognome che porto - “... però non sei proprio uno stinco di santo...!". O quando, la domenica andavo al cinema Sant’Andrea di Bra - luogo puro di trepidazioni – e con 100 lire mi compravo un pacchetto di figurine, i pop corn, una manciata di “butun da preve”  e mi guardavo anche un film. Nel "Lo credevano uno stinco di Santo", uno dei gringo protagonisti era un mio mito: Anthony Steffen, al secolo Antonio Luis de Teffè von Hoonholtz. Vantavo, ma forse è meglio dire ambivo, una certa somiglianza con Anthony, il Django degli spaghetti-western... Se ve lo ricordate, potete abbandonarvi all’immaginazione...

martedì 6 febbraio 2018

Ombrelline

La Formula1 e il Moto Gp dicono basta alle signorine seminude. Se ne vanno  le Ombrelline, un’icona del circo dei motori. Basta minigonne, tacchi a spillo e scollature da paura in griglia. Se ne va l’allegoria di un mito classico, quel che abbiamo imparato in anni e anni di Grand Prix: apprezzare il modello formato dal binomio auto-gnocca e sostenitore del famoso detto “donne e motori, gioie e dolori”. Per decenni abbiamo creduto in commercianti di sogni, di potenti e spregiudicati magnate, abili a trasformare una gara di motori in spettacolo, abbellendo le sterili piste asfaltate con le Ombrelline in pose più o meno tintobrassiane. Astutamente, ci hanno imposto il predominio delle signorine seminude sull'asfalto.., curando la malinconia dell’ambiente, alleggerendo le nostre vite. Sottraendoci anche alla depressione puberale, alle pagine dell’intimo di Postalmarket, all’inibizione cronica…, facendoci vivere per anni a bagnomaria nella bellezza..., nell’eccitazione perenne. Da tempo siamo stati abituati male da sti tipi...! Ma dal 2018 si cambia registro: da format ludici, i GP, diventano pudici. Voi direte: normale evoluzione umana. Rispondo: mossa politica, invece. Quella di voler togliere le “Ombrelline” è la storia esemplare di quel che sta accadendo oggi. La rappresentazione della bigotteria perenne, terra di opportunità e conversioni. Fateci caso: cambia sta vecchia usanza perché resa indegna dal caso Weinstein. Mossi dall’interesse e dal falso orgoglio social-moderno diffuso, dall'inizio dei mondiali motori 2018, sulle piazzole di partenza, prima dello start, ci faranno vedere qualcos’altro. Molti applaudono. Ho letto da qualche parte che spettatori e piloti sulla griglia, prima della gara, come un momento di celebrazione, invece che ammirare procaci signorine, assisteranno alla promozione di paesi e prodotti ospitanti. Forse anche cuochi indigeni che, attraverso il nuovo format “show-cooking d’asfalto”, delizieranno i palati presenti e non.  Le ragazze formose lasceranno il passo alle solite, noiose e invadenti tavole imbandite. Grazie Ombrelline. Riposate in pace.




giovedì 1 febbraio 2018

Io sono Tosto

Domenica ero a pranzo ad Atri, un piccolo borgo ordinato, con un dedalo di viuzze che hanno conservato l'antico aspetto medievale, a ridosso delle colline Teramane. Oltre che rappresentare uno dei centri storicamente ed artisticamente più significativi dell'Italia centro-meridionale, Atri è famoso per il suo pecorino, la liquirizia, gli arrosticini, il miele... E, lo dico io, anche perché Gianni Dezio, giovane cuoco di origini abruzzesi nato in Venezuela, è ritornato nel 2014 nella terra delle radici per aprire il suo ristorante "Tosto". La sicurezza nei giudizi alimentari per me è legata alla naturalezza con cui ho sempre affrontato l'argomento.... Ho col cibo nel piatto lo stesso rapporto che alcuni vecchi contadini hanno con il cielo: un'occhiata e so cosa mi aspetta. Per arrivare a sto livello c'ho messo del tempo, ma forse anche l''attenzione che ho per ciò che è bello mi aiuta a scegliere ciò che è buono. Così, senza quella boria critica di alcuni del settore, ma col solo desiderio di parlare del mio piacere di mangiare, mi è facile dire che Gianni Dezio, 32 anni, occhi scuri che brillano tra la coppola calata in fronte e i baffetti d'altri tempi, educato e gentile, è un fenomeno..., un cuoco formidabile.... Ho mangiato divinamente qui a Tosto! Chi mi conosce sa che quando sono al ristorante, davanti ad un cuoco, non riesco a mentire per cortesia o per convenienza.... Così gliel'ho detto a Gianni..., che non avevo mai conosciuto prima: "Devi aumentare i prezzi!". "Non puoi offrire un menu gourmet, che diventa un'apoteosi culinaria, a 37,00 euro!". Sono cibi orgasmici, i suoi, che avvolgono il palato in un indicibile balletto tostato, affumicato, acido, speziato... Come il Brodo al bicchiere di pane e cipolla, o il Polpo, fagioli e cipolla, o i Bottoni "cacio e ovo" in brodo di agnello, o i Tortelli di sfoglia tirata a mano ai carciofi con fonduta di pecorino di Atri e liquirizia grattugiata...., o il Fondo di lenticchia affumicata, manzo e maiale, rapa bianca e trippa..., o lo Sgombro laccato, senape selvatica e cagliata.....  "Non li devi fare così strepitosi per farteli pagare solo pochi euro....! Come se non bastasse fai pure pani e grissini esuberanti oltre che servire etichette di vini non scontati...". Lui ha replicato dicendomi che, per dov'è, il prezzo è giusto.... "Stiamo in centro Italia, stiamo in Abruzzo, stiamo a Atri, non stiamo sulla costa, ma a 430 metri sul livello del mare.....!". "E allora? Se sei davvero Tosto, devi alzare di un ventino... Se no, almeno di dieci....".  E fallo subito. Ti tengo d'occhio!

giovedì 25 gennaio 2018

Porco garage

Ieri pomeriggio, al telefono, di rientro dal Sigep di Rimini: "Pronto, Beppe?... Sto arrivando dalle tue parti... se sei in zona ci prendiamo un caffè....". "Si dai Mauri, però devi venire da Francesco, c' è anche Felice…, stiamo lavorando due maiali...". Ci sono rituali contadini che per me rimangono mitologici. E dalle poche parole di Beppe, uscite con tono parodistico, ho captato che non avrei potuto perdermi quel momento. Ho intuito che avrei vissuto l'eccezionalità dell'evento. Quando arrivo lì, la scena, lo spazio, le persone e i gesti, mi sembrano un sogno. Dentro un garage, tra morse, chiavi inglesi, e attrezzi vari, si stava consumando un modello arcaico, un traboccante folclorico rituale contadino d'altri tempi. Una celebrazione padana che le generazioni del Mac Donald’s non conoscono. Il film a cui stavo assistendo aveva il bianco e nero de’ “L’albero degli zoccoli”, nell’immaginario delle nuove leve che i salumi sono abituati a vederli belli pronti già imbustati. La liturgia del maiale si stava consumando proprio lì e non vi dico quanto avrei desiderato che con me, in quel momento, ci fosse anche mio figlio…. In un’atmosfera che sa d’epoca, ho visto esplodere sinfonicamente la grande cerimonia del suino. Il norcino che stava lavorando con precisione, Francesco, ha appena 32 anni, ma il suo livello di professionalità è di alta sapienza artigiana. Con ardente e fiero spirito, abilità e destrezza, aveva già realizzato 4 prosciutti e 4 pancette stesi su delle lunghe ante di legno. Tutti fuori misura, di dimensioni giganti. Cose che per le produzioni industriali non hanno senso e che invece qui, grazie  a lunghissime stagionature le rendono uniche. “Devono frequentare almeno il secondo anno dell’asilo prima di essere consumati”, mi dice Felice, uno dei grandi cerimonieri, mentre stappa una bella bottiglia di vino rosso che consumiamo con pane della Bassa, Strolghino, Lardo e Pancetta. Me ne vado sconsolato da sto luogo mitico, anacronistico, naturale, compatto, amicale, che mi ha visto testimone di quel rito magico. Ho dovuto rinunciare all’invito di oggi per il festeggiamento del maiale. Oggi Francesco e la sua compagna Chiara, in sto garage, con alcuni amici insaziabili gourmet, alla faccia del maiale, consumeranno tutte le “porcherie” consentite: salsicce, sanguinacci, ciccioli, salami, lardo, pancette,… e vini superesclusivi.. Me li sto immaginando….! Mannaggia!! Senza essere antropologo so che oggi, in via La Gatta, in sto garage di campagna della Bassa Parmense, andrà in scena la festa più trasgressiva con la bestia più allusiva. Alla salute del porco, simbolo di una natura sessuale particolarmente calda e di desiderio insaziabile…   


martedì 16 gennaio 2018

Sci, sci, sci

E' successo domenica, in Austria, a Bad Kleinkirchheim, nella profonda Carinzia, sulla pista intitolata al leggendario Franz Klammer. Una pista difficilissima, tutta curve, ripidi pendii e soprattutto un fondo ghiacciato. Prima Sofia Goggia in 1.04.00, seconda Federica Brignone in 1.05.10 e terza Nadia Fanchini in 1.05.45. Grandi! Che spettacolo! Podio tutto italiano, tutte femmine! Giornata storica il 14 gennaio, senza precedenti per lo sci azzurro. Ho goduto come un mandrillo. Amo la montagna. La amo e la stimo, ma non la scio. Lo sci l’ho praticato veramente poco, giusto un paio di volte. Da giovincello spudorato, pensavo fosse semplice. Mi ricordo la prima volta. Pura improvvisazione. Andai ad Artesina con amici più grandi e sgamati. Con l’entusiasmo di voler sfoggiare sulle piste innevate il mio piumino G.A. a strisce rosse e blu, con sulle spalle una mega aquila…, talmente grande che inquietava persino… Giornata di sole splendido. Affittai scarponi e sci e decisi che avrei sciato coi jeans e il piumino col logo dell’Aquila. Indossavo anche i Cèbè a specchio, color arancio, che ancora conservo. Mi sentivo fighissimo! Pensavo di sfidare per la prima volta le piste, così. Intraprendenza, fiducia e fantasia non mi sono mai mancati. Il mio stile G.A. si rovinò alla prima presa dello skilift che avrò perso almeno 4/5 volte prima di arrivare con fatica e mezzo marcio alla prima cima. A scendere ancora peggio. Più che sciare scivolavo…, lanciato come un proiettile…, mentre imprecavo come un pazzo pista alla gente che sfioravo o centravo rovinosamente. Mi ricordo non so quanti  tuffi nel vuoto e drammatiche capriole sulla neve… Gli sci sparsi per la pista, la faccia piantata per terra… gli occhiali sbrindellati. Mi ricordo che testardamente però non mollai e mi abbandonai incondizionatamente agli eventi. In trance, sugli sciolinatissimi sci, continuai a scivolare, a cadere, a rialzarmi, ancora per ore e ore. All’ultima interminabile discesa, confuso, bagnato, distrutto, surgelato, mi precipitai dagli amici che mi avevano accompagnato e salii sull’auto coi brividi di freddo dappertutto. Una volta dentro, col riscaldamento acceso a manetta, mi spogliai di tutto. Rimasi anche senza mutande che misi  ad asciugare col resto, in ognidove dell'abitacolo, dopo averli liberati dai residui di ghiaccio…. Al casello autostradale di Mondovì e a quello di Marene, qualche casellante, (quello che rilasciava il biglietto all’ingresso e quello che riscuoteva all’uscita), dovrebbe ricordarsi quel penoso quadretto sulla 127 coi vetri appannati....


mercoledì 10 gennaio 2018

2018: anno del Cibo italiano

Il 2018 è l’anno nazionale del cibo italiano. La sfida di quest'anno dove si deve dimostrare che ogni parte d'Italia offre prodotti campioni mondiali del gusto, ed entusiasmi bucolici, è aperta. Da sto mese prenderanno il via manifestazioni, iniziative, eventi, legati alla cultura e alla tradizione enogastronomica del nostro bel Paese. L’ennesimo uso sociale del Cibo! Che sta scatenando, inevitabilmente, un notevole campanilismo da parte di chi, in ogniddove di questo straordinario serbatoio alimentare che è l’Italia, vuole far proprio l’appellativo in questione. Fateci caso. Dall'annuncio, ogni giorno, si fa a gara a chi indica come proprio il centro genetico del miglior Cibo italiano.... A chi ce l'ha più...., buono! Contemporaneamente si cerca di mettere in piedi, su questa vertigine offerta di Cibo italiano, un mosaico culinario che darà vita ad una varietà incontrollabile di iniziative, grandi e piccole, che, a confronto, il numero delle fiere paesane che si consumano ogni anno in lungo e in largo per l'Italia, sembrano il nulla. Sull'entusiasmo, assisteremo alla nascita di nuovi gruppi che, al coro di “è nostro il vero Cibo italiano”, innescheranno, inesorabilmente, imprevedibili lotte intestine... Avanzeranno, su sto inno, nuove ideologie culinarie e pratiche gastronomiche nutrizionali ispirate al tema….! Si amplificherà la già sostenuta filosofia che gravita intorno al tessuto culinario italiano, con ulteriori meditazioni e masturbazioni mentali intorno al gusto, alla qualità, all’unicità, del Cibo italiano.... Nel 2018, prepariamoci ancora di più, ci somministreranno allucinazioni olfattive e nuovi paradisi gustativi alla faccia di sto anno del Cibo italiano! Ormai è fatta…. In un momento in cui il cibo italiano di tutto avrebbe bisogno meno che un anno ad esso dedicato, i nostri governanti se ne escono con sta ingegnosa mossa seduttrice. E usano la “scienza della gola”, per somministrare labili e modestissimi piaceri, tentando di alleviare così le innumerevoli tribolazioni sociali moderne. Propongo per il 2019 l'anno del buon senso, magari anche civico!