mercoledì 14 febbraio 2018

Stinco di santo

Sono appena rientrato da Francoforte dov’ero impegnato in una Fiera. La Germania sembra tutto fuorché una società di buon gusto, di bon ton, nel mangiare. Ogni volta che ho a che fare con questa cultura alimentare devo dar ragione a Ludwig Feuerbac, il filosofo tedesco che conosco solo per la famosa frase che sentiamo spesso ripetere, “Mann ist, was er isst”, l’uomo è ciò che mangia. Il mangiare per me, lo sapete, non è un’occupazione superflua… Anzi! Esiste in me una vera cultura della distrazione culinaria. Mentre mangio provo godimento materiale! Quando mi trovo in un paese straniero, quindi, cerco di mangiare quello che mangiano loro... In questo caso come i tedeschi. Non come mangiano loro però…! I tedeschi riescono nell’impresa di trasformare un pranzo in uno sfondamento di panza, col gioco dell’esagerazione e del cattivo abbinamento... Se durante il mio soggiorno lì, di giorno, in Fiera, riuscivo a mettere poche cose nello stomaco, di sera, invece, complice anche la fame, senza farmi influenzare dai sensi di colpa e senza lasciarmi mai impressionare da certi ingredienti, mi buttavo sui menu tipici degli storici locali del centro. Prevedo che vegetariani e vegani non saranno d'accordo..., ma per tutto il tempo a Francoforte non mi sono sottratto al ménage culinario locale: grasso, unto e con spiccata vocazione al piacere della carne. Senza curarmi delle minacce di dannazione eterna da colesterolo…, la sera, mi sedevo a sontuose tavolate tedesche coperte di salsicciotti, di ogni qualità e colore, wurstel, crauti, patate al forno, patatine fritte, stinchi, costolette di maiale, salse, salsine e birra a manetta. Per cinque giorni, però, il mio piatto preferito è stato lo Stinco: una delle vette della gran cucina calorica, che ha il merito di costringermi alla resa dopo la sua fine… Lo Stinco per cinque giorni è stato un balsamo per gli emboli del mio piacere. Lo sfoggio culinario di sontuose mangiate e laboriose digestioni..., lunghe come il lavoro paziente di un artigiano. Un piatto virtuoso e gustoso, ma anche un mosaico di ricordi. Di quando da gagno mi sentivo dire - in senso ironico e scherzoso, giocata anche sul cognome che porto - “... però non sei proprio uno stinco di santo...!". O quando, la domenica andavo al cinema Sant’Andrea di Bra - luogo puro di trepidazioni – e con 100 lire mi compravo un pacchetto di figurine, i pop corn, una manciata di “butun da preve”  e mi guardavo anche un film. Nel "Lo credevano uno stinco di Santo", uno dei gringo protagonisti era un mio mito: Anthony Steffen, al secolo Antonio Luis de Teffè von Hoonholtz. Vantavo, ma forse è meglio dire ambivo, una certa somiglianza con Anthony, il Django degli spaghetti-western... Se ve lo ricordate, potete abbandonarvi all’immaginazione...

Nessun commento:

Posta un commento