domenica 14 giugno 2020

Tanti abbracci

Fra le più perfide e demoniache rinunce messe in circolo con raffinata malizia dal maledetto Coronavirus, spicca l’impossibilità di abbracciarsi. Questo dannato e subdolo infettante che stiamo vivendo, con conseguente sospensione e ribaltamento della nostra quotidianità, ci ha proibito della più clamorosa ed esplicita testimonianza materiale di affetto.  Ci ha disarmato del più bel gesto antico, di una delle più spontanee espressioni umane per dimostrare tenerezza, amore, gioia. Non esistono donatori e riceventi in questo gesto gratuito.  I giornali di ieri raccontano di un storia successa a Reggio Emilia: una mamma disagiata, dopo mesi di quarantena, al primo incontro protetto col figlio, esplode in  baci e abbracci; l’educatrice che assiste per i servizi sociali chiama l’Arma che rifila alla povera mamma 400 euro di multa. Venti giorni prima la stessa multa se l’è beccata un ventenne di Pavia colpevole d’aver abbracciato la sua fidanzata per strada….. Fisime igieniste da Covid!  Ma come si fa a limitare “l’ormone dell’attaccamento” che abita tutta la storia umana? Il primissimo contratto tra mamma e neonato! Quello che influenza e celebra i legami interpersonali, tra famigliari, tra amanti, tra amici…. La mia cara amica Paola, che colleziona immagini di abbracci, ogni volta che gliene mando qualcuna speciale che scovo da qualche parte, mi dice che l’abbraccio è il suo potere “curativo”. Abbiamo bisogno di sano realismo, di abbracci veri che ci fanno  sentire al sicuro, protetti, amati e non dell’emoji dell’abbraccio di Facebook, anche se ringrazio il social network per avercelo donato. L’abbraccio fisico, la cui dimostrazione d’affetto è intraducibile nel mio italiano, è necessario per il benessere psicologico, emotivo e corporeo, ancor più in questo scorrere spietato del tempo. Allena i figli alla vita,  apre i nostri cuori, aumenta il buonumore e la grazia delle persone e, più in generale, offre speranze alla società. Tanti abbracci!

domenica 31 maggio 2020

Lecca-lecca

Ognuno di noi possiede una vena immatura e giocosa nascosta nelle sfumature dell’inconscio, che ogni tanto sarebbe giusto liberarla e condividerla senza chiedere il permesso agli specialisti dell’anima e tantomeno a quelli del gusto. Una notizia uscita in settimana mi ha lasciato interdetto mentre la leggevo. Titolo: “Il lecca-lecca elettronico che ricrea qualsiasi sapore senza usare il cibo”. Sottotitolo: “Un ricercatore della Meiji University in Giappone ha inventato un particolarissimo dispositivo definito come un “taste display”, cioè con la capacità di ricreare artificialmente qualsiasi sapore andando a fare leva sui cinque gusti di base che sono riconosciuti dai recettori presenti sulla lingua”. Il lecca-lecca elettronico? Le molecole affettuose dei miei lecca-lecca, ripescate nell’archivio della memoria mi sono subito entrate in circolo, protestando contro chi stava deviando la risonanza emotiva della storia più edulcorata del mondo. Le mie immagini sono nitide come anche le sensazioni. l lecca-lecca ai miei tempi mi rilassavano gli sfinteri dell’anima oltre che sconvolgermi i punti cardinali delle dolcezze sicure! Talismani colorati, tondi, appiccicosi, dolcissimi, rossanosi, infilati su uno stecchino, che mi succhiavo con gesto voluttuoso e primitivo per godermi fino alla fine tutto il loro gusto magico. Ah, quante scene-chiave della mia vita sono legate ai lecca-lecca! I miei me li somministravano mettendomi in guardia dai malintenzionati: “non accettare mai caramelle dagli sconosciuti”…., un loro modo di dire, come di molti altri genitori di quei tempi, che vedevano le sostanze stupefacenti come insidie che potevano intaccare la mia integrità! Ogni periodo ha i suoi dottori però… Crescendo, nella disinvolta superiorità dell’età adolescenziale, quasi a tracciare un ideale arcobaleno di piacere nel mio cielo, il lecca-lecca di Lolita – che la ragazza Sue Lyon, armata di occhiali a forma di cuore, tiene tra le labbra nel manifesto dell’omonimo film di Kubrick – è stato terapeutico….., alludendo alla mia consapevolezza sessuale e alle nuove pratiche amorose. Crescendo, i lecca-lecca, si sono anche trasformati nella loro funzione piacevole e mi hanno svelato altri loro aspetti. Quelli antropologici, per esempio, riservati agli adulatori, ai signorsì, ai leccaculo insomma, totalmente organici al “potere”… Tempo fa, invece, appresi che i lecca-lecca avevano fatto milionaria una 14enne americana che si è ritrovata in un lampo a capo di un impero per essersene inventati certi tipi che evitano la formazione di carie gengivali. Mah…! Riprendendo la poetica del gusto, non voglio piangere sui lecca-lecca versati e dire che la tecnologia è malvagia…., ma credo che possiamo fare a meno dell’innovativo lecca-lecca elettronico! Per ridare al gusto naturale che ciascuno di noi esplora quotidianamente il suo posto di guida dei sensi, ma anche di paradigma del senso!

mercoledì 27 maggio 2020

Vinum Vita Est

Le mutazioni dei modelli alimentari e la metamorfosi del gusto possono essere lente, diluite in cicli interminabili, oppure improvvise, ripide, tumultuose. Stavo cercando di dare alla mia gola e al mio ventre una più rigida disciplina dopo i giustificati stravizi della quarantena… Ma la notizia per cui 4 aziende di vino su 10, in Italia, sono a rischio chiusura per colpa di sto maledetto virus, spinto anche dalla mia mai sopita tentazione del gusto, ho deciso di virare la severità del mio fioretto dietetico verso l’indulgenza. I filosofi morali mi detesteranno….!  Allora, all’uomo sobrio e casto, voglio ricordargli che il vino è prima di tutto un "alimento energetico e complementare", come lo definiscono da sempre gli esperti della nutrizione…. Energetico in quanto contiene sostanze organiche alimentari in grado di fornire calorie; complementare in quanto, di per sé, non è in grado di coprire però completamente le esigenze vitali del nostro organismo. Ma è pur risaputo che il vino compie effetti fisiologici di notevole importanza sul nostro organismo. Come accentuare la secrezione salivare, quella gastrica e anche quella pancreatica. Inoltre stimola l’attività cerebrale e induce un vago senso di benessere…. Invece stiamo diventando un popolo di rinunciatari di questo bene alimentare naturale.... Stiamo diventando dispeptici divoratori di integratori! Stiamo sostituendo il vino, preferendo compresse e bustine liofilizzate! Certo, ci vuole sapienza nei consumi, ma se il vino ritornasse ad essere com’era, un alimento del nostro regime dietetico, assunto con la legge della moderazione, celebreremmo tutti meglio la vita.  E non si parlerebbe di distillazione per fra fronte agli attuali esuberi in cantina, rischiando così di  perdere, oltre il vino buono, anche il valore identitario delle nostre straordinarie produzioni ricche di funzioni e di significati. Se per un attimo alla vecchia grammatica volevo sostituire un discorso nuovo, una nuova inedita mia logica alimentare, dopo sta notizia delle cantine rimango quello che ero.  E vi dirò che preferisco anche essere un po' rubizzo per l’uso del vino piuttosto che pallido per quello dell’acqua.  Io l’acqua la bevo con distacco, con indifferenza. Il vino lo godo, lo medito, lo festeggio, lo condivido. Per me è terapeutico!  La disputa fra acqua e vino riflette da sempre il mio conflitto, ma anche quello di tutti.  Provate a togliere dal messaggio biblico il vino....! Non ci saranno più celebrazioni, feste, canti: “il pane dà forza, il vino rallegra il cuore umano” (sal. 104,15). L’uso immoderato dell’acqua, favorisce “splenem et hydropem”, mortifica ed estingue il calore dei visceri, inducendo “paralysim nervorumque defectus”.... Al contrario, “vinum bonum laetificat cor hominis"..... "Vinum vita est"!

domenica 17 maggio 2020

Oltranza Espressiva

I giochi di parole, le vertiginose cascate di cifre sonore, le opposte informazioni che da un po’ di tempo a sta parte scendono come un torrente dalla bocca di ministri, capi di stato, segretari, sottosegretari, consulenti e consulenti dei consulenti, stanno segnando questa stagione degli eccitati oratori della frenetica antisemantica dei significati.... In poche parole non si capisce una mazza di tutto ‘sto gran parlare. Si sa solo che i maestri della chiacchiera, a turno, ci stordiscono - noi poveri ascoltatori esecutori delle direttive - con la funambolica girandola di cifre, consigli, regolamenti, ricette. Che ci somministrano con la strategia dell’oltranza espressiva, con l’accelerazione della catena verbale e il loro memorabile repertorio di termini incomprensibili. I conversatori di turno, con il loro gioco della paronomasia, ci hanno confusi più di quanto lo siano essi stessi. I sogni terrorizzanti che a turno questi predicatori patentati vogliono collocare nel nostro inconscio collettivo stanno però moltiplicando i nostri “antidoti”, i nostri “protettori”, interni ed esterni. Nell’immancabile conseguenza del raggiungimento del gran caos dei “preservativi" farmaceutici, in questa danza di recipe - di mescolanze vitaminiche, aromatiche, curative - sono diverse le pratiche che stiamo mettendo in atto per esorcizzare il male attuale. A turno, con inusitata risonanza e disperato slancio, stanno emergendo le attitudine arcaiche del mondo popolare, della sua cultura, per combattere le ansie e le inconsistenti barriere razionali di una scienza medica, quanto mai labile e contraddittoria, che brancola ancora nel buio. Per esempio con le pratiche imbevute di riti magici con tutta una farmacopea di erbe, di antidoti, decozioni, elettuari, sciroppi, per proibire i sogni malinconici e spiacevoli del momento.... In questa concitata atmosfera c’è chi vuole invece frantumare la catena del male che ci attanaglia con l’intervento soprannaturale e gli aiuti prestati miracolosamente da Dio, ai suoi confidenti. O chi cerca di rifugiarsi in altri "paradisi" artificiali, consumando “pani” allucinogeni per smorzare, coi viaggi visionari, l’ansia e i morsi velenosi di questo Covid19. La mutazione che è in atto in noi è più di un cambiamento. Si sta definendo una trasformazione radicale, una vera e propria metamorfosi del nostro essere e agire. A sto punto ci sarebbe bisogno di una spinta lungimirante che sappia riscrivere completamente le regole della convivenza. Uno spirito ragionevole e cauto, che sappia migliorare almeno l’atmosfera delle tensioni sociali. Di un soggetto che - facendosi consigliare dall’uomo di marciapiede, dall’immenso serbatoio di professionisti, di persone, specializzate nella "sopravvivenza" - ci sappia indicare con poche parole la via per campare ancora un bel po’ se non da leoni, almeno non da pecore.

domenica 10 maggio 2020

Movida indoor

Il fragile congegno mentale di molte persone inquiete è stato travolto dalla macchina del lockdown. Il dolce tempo peccaminoso è stato cancellato dall’aridità di questo tormentato periodo esistenziale a cui corrisponde una particolare sterilità di rapporti ravvicinati. Ma il vuoto non esiste. Da una settimana, da quando le maglie della restrizione covidiana si sono allentate, si ripropone il gusto delle passate voluttà che sono appartenute al limbo tormentato dei cupi macinatori di ansie. L’ingurgitamento compulsivo della decrescita felice, sta richiamando il tema delle ore liete. I sensi oltraggiati si stanno facendo rivoltosi contro il congegno proibizionista di cui sono stati per tutto sto tempo vedette, antenne, avamposti. I sensi non si sono mutati!  Sull’onda d’insidiose memorie stanno cedendo all’entusiasmo dell’incontro modaiolo in preda ai puri sentimenti dell' happy hour. Un’illuminazione repentina si sta muovendo nel loro animo come un uragano di emozioni: è la mai dimenticata Movida. La profonda mutazione antropologica di questo periodo produce però nuovi miti e nuovi riti per la bisboccia tribale. La moderna cerimonia sociale di food&drink per conciliare gli animi, infatti, sta diventando indoor. Tentativi che nascono in contropiede. Con le case che stanno diventando lounge, bar diffusi, luoghi collettivi insperati, o disperati, nel folle tentativo dei visionari contemporanei di far risorgere l’occasione emulando le più scenografiche serate outdoor... Il modello tradizionale di focolare domestico sta subendo una grande trasformazione. Stanno dilagando modelli cool di case come oasi esoneranti! Dove riassaporare un vivere spensierato, acceleratore di particelle relazionali. Gli intraprendenti della nuova Movida indoor, che confondono i tempi con le ore, ne stanno facendo piattaforme euforizzanti tra relazioni face to face e contatti social iperconnessi  to smartphone…. Al format aggregante di una scenografia glamour, fra divani, poltrone, piante e luci, in atmosfera effervescente e liberatoria, stanno rispondendo alla grande in tanti. Sì balla, si bevono aperitivi delivery, si chiacchiera - rigorosamente in compagnia dei “congiunti” - presi dai ritmi della disco music di professionisti improvvisati della console casalinga. Solo tra un po' sapremo se, in questa privazione totale di rapporti outdoor, l’illusione della Movida indoor diventerà paesaggio urbano....

domenica 3 maggio 2020

Intervallo gourmet

Il richiamo della libertà risuona insistente. Il grande nemico occulto della convivenza sociale sta ponendo le sue regole. Il Paese del bengodi è ad una svolta. Si sta estinguendo l’intinto d’implicazione sociale dell’andare al ristorante. Il banchetto collettivo popolare, la festosa “bombance” del fuoricasa, il rito comunitario della tavola aperta a tutti che ci appartiene da sempre, sta cedendo il passo al progressivo distanziamento sociale. Consumare un pasto in un luogo, con l’ossessione di essere contagiato, tiranneggia nell’umore dei consumatori eccitati. Covid19 sta ricodificando lo stile di vita, omologandolo ad un sistema che si scaglia violentemente contro ai principi del piacere conviviale. E quindi agli ambienti che hanno finora creato i naturali comportamenti sociali intorno al cibo! Il ristorante in primis, luogo in cui, oltre che la comunione dei cibi, si consuma la socializzazione della gioia anche fisica. Il piacere, il benessere mentale e corporale, la sua logica antica, la sua sacralità, la sua “religio”. La tragica dicotomia sociale, fra chi vuole e chi no, un sistema nel quale anche il banchetto nuziale si deve celebrare sotto la regia del distanziamento sociale, ci porterà su un territorio misterioso e ad una conversione di molti esercizi della coscienza esigente del gourmet. Che, sconcertato, molto probabilmente si servirà, con estrema disinvoltura, dell’intelligenza graffignante, astuta, di trucchi, di espedienti, di tecniche per aggirare l’ostacolo, esplorando un certo sistema clandestino che gli funzionerà come psicofarmaco… Sono curioso di conoscere quali invenzioni verranno celebrate, in questo intervallo gourmet, per sedersi al tavolo di un ristorante e consumare un pasto con chi si vuole, senza l’angoscia di essere individuato, scannerizzato, bonificato, schedato. Quanti ingegni golosi e picareschi illumineranno l’Italia per mettere in campo tutti gli artifici necessari per far fronte alla dura lotta contro il menu morale voluto dal distanziamento sociale! Confido in una tolleranza romantica, piena di comprensione verso i vizi e le virtù umane della tavola, da parte dei controllori.

domenica 26 aprile 2020

Microbo preservativo

Nella poliespansa e farcita tavola contemporanea che si fa largo nella moltitudine delle cucine, nella moltitudine delle case italiane, si profilano paradisi di cibi asettici, confezionati più da rituali di laboratori medicali, in sale operatorie, piuttosto che da artigiani agro-alimentari esperti e rispettosi delle tradizioni. Il fenomeno di massa va collegato alle attuali circostanze e presiede l'ineliminabile scansione della pandemia che ci ha travolti. In questa dimensione equivoca, di momenti intensamente dolorosi, densi di una profonda e vissuta coralità, nella testa di noi italiani si sta facendo strada un pungente desiderio di una cucina anti batterio. Irreparabilmente si sta cercando di far fuori il microbo buono, quello sano. E invece il microbo buono deve poter continuare la sua lunga e gloriosa esistenza, gareggiando con successo contro l’asettico imposto dai gusti prefabbricati. L’idea positiva di cibi sterili, privi di quei microbi che anche nella fermentazione volgono al positivo la putrefazione negativa, riuscendo a controllare un processo naturale di putrefazione, facendo nascere per esempio formaggi e salumi unici, non la posso sostenere.  Il microbo buono che intendo significa il sapore che hanno i cibi che lo contengono, quello che si fonde nell’ebrezza erotico-sentimentale del palato. E’ il campo nudisti delle emozioni della gola. Un narcotico consentito. In questo mio pensiero di uomo dallo stomaco gagliardo, abituato ai piaceri della tavola, per cui persino le polpette hanno un’anima, non c’è posto per il cibo artificiale. Rinunciare al gusto che dà ai cibi il microbo buono, che rigenera i trilioni di microbi che abitano nella nostra pancia e si battono per la difesa del nostro organismo, è come fare a meno dell’amore: non se ne vede il motivo. Il microbo buono è un esercizio della fantasia, una raccolta di ricordi. I cibi implicano diversità, senza diversità sarebbero un controsenso, sarebbero impersonali. Non potrei sopportare una dieta incolore e inodore fatta più per soggetti malinconici, per caratteri privi di agilità e vivacità, che non si adattano allo spirito mutevole e al corso imprevedibile della vita. Sono convinto che il grande preservativo della salute rimane il microbo buono. Quello che arricchisce di temperamento il cibo, e non solo.

giovedì 23 aprile 2020

Educazione Morale Diffusa

La rapidità e la fretta sono stati tra i caratteri salienti del nostro tempo prima di questo stop forzato. D'altronde senza bussola il pensiero umano naviga qua e là, secondo se il vento soffia da una parte o dall’altra…. In questo periodo fortemente rallentato l'attenzione è rivolta soprattutto della nostra amata Terra, a cui ieri è stata dedicata la giornata mondiale. Oggi, non c’è habitat sulla terra che non sia stato gravemente danneggiato dall’uomo…., oggi l’universo è in pezzi... Nei vari discorsi escono fuori questi pensieri. Di colpo, emergono i nostri bisogni di salute, di cibo naturale, di riparo, di relazioni, di attenzione e rispetto verso la Terra. Questo maledetto, o forse per alcuni versi benedetto, virus ce li espone davanti agli occhi ogni volta per convincerci a scriverli nel nuovo libro della vita. Per farci percorrere una nuova stagione di consapevolezza ecologica in cui abbiamo la possibilità di sanare la nostra relazione con la Terra. Partendo da un’ecologia della mente, da un’ecologia del cuore, dove riusciamo a controllare il nostro istinto aggressivo, di esclusione, di distruzione e favorire invece la dimensione della solidarietà, della collaborazione, dell’armonizzazione dei rapporti tra di noi e con gli esseri che sono intorno a noi. In questo nostro tempo di colore oscuro - pieno di gemebondi predicatori della sciagura universale e irreparabile, di cogitabondi solutori di problemi insolubili, di critici dilettanti ed impotenti - spero in una Educazione Morale Diffusa. Feconda, pratica di risultati e confortatrice anche. In una sterzata che dia almeno l’illusione e la speranza per una nuova forma di sperimentare il mondo e dire, anche se tardi, ma in tempo, di aver finalmente trovato la strada. Io non vedo l’ora di uscire all’aperto. Per passare di nuovo del tempo a raccogliere suoni, odori, visioni, contatti. Li ho sempre considerati come la comunicazione della Terra vivente che mi circonda e mi abbraccia. Non vedo l’ora di rigenerarmi così. Di respirarla profondamente e assorbire di nuovo tutto.

mercoledì 15 aprile 2020

Anti-melanconici

A Palermo, per celebrare la recente Pasqua, è stata organizzata una vera e propria festa con grigliata sul terrazzo condominiale. In puro stile far west, viste anche le restrizioni vigenti. Non intendevo proprio questo con il mio precedente post sulla rinnovata alleanza tra condomini…. Però....! Sfido chi non ha dell’Italia e degli italiani un’immagine festosa. E ancor più dei meridionali. E’ una formazione sociale che ci accomuna ai brasiliani. E' una sorta di patologia endemica: il caos gradevole è la nostra aspirazione. Quanto successo a Palermo non è, come è stato descritto, l’infernale meridione italiano. Il tetto del palazzo per quelle famiglie palermitane (magari erano solo due nuclei, ma numerosi….), per un giorno è diventata una passerella. Una galleria, un bar, una sala da ballo, una palestra, un ristorante, un mercato…. Che da tempo non si possono frequentare come invece si fa sempre in tempi normali. Un antidepressivo sociale, insomma. D'altronde si sa, noi del sud amiamo il rito collettivo e tutti i suoi aspetti barbarici. Per noi i giorni di festa non sono fatti per riposare, ma per partecipare. Probabilmente perché la storia, antica e moderna, ci ha lasciato profonde cicatrici. Intendiamoci, non intendo giustificare quanto accaduto a Palermo. Ma non si può nemmeno negare che tra i miei conterranei le restrizioni non sono ben recepite, se pensiamo anche solo alle cinture di sicurezza che lì sono considerate camicia di forza! Perché noi meridionali, più di tutti, conosciamo gli effetti nefasti di un ambiente melanconico…, e così ne fuggiamo. Siamo anti-melanconici! E come affermava il filosofo del 16° secolo Tommaso Campanella,“... gli abitanti de’ La città del Sole aborrono e sconfiggono le ombre, vestono una camisa bianca di lino e rifiutano il colore nero”.

lunedì 6 aprile 2020

Il condominio, avvicinatore sociale

La vita di tutti è cambiata, o per lo meno sta cambiando. Il male della nostra epoca è che siamo arrivati ad un punto in cui il contenuto è più voluminoso del contenitore. Il troppo stroppia, come si dice. Il vaso della società politica e civile ha esondato e si sta sgretolando. Si è alterato l’equilibrio su cui si reggeva il fragile “castello di carta” del sistema delle libertà, spostandone l’area, in cui esse si esercitano, su due piani falsati: quello globale, dove libertà economiche e informazione agiscono senza controlli, e quello nazionale, locale, dove sopravvivono - ma più deboli ed indifese - tutte le altre libertà. Per fortuna, noi italiani, nella tragedia che ci sta attraversando, ci stiamo riscoprendo un popolo unito anche nella convivenza, forzata, che limita la nostra libertà fra le “quattro mura”. Penso a quelle persone che vivono in un condominio, in un palazzo, in uno stabile, chiamatelo come volete. Che io, da ex pentito, ho sempre considerato un luogo istruttivo. Il condominio oggi ha ammorbidito i cuori, si è riscoperto il luogo dove si sta bene con gli altri, la piazza civile dove ritrovarsi. Il durismo condominiale è morto. Se prima il condominio era il luogo in cui ci si chiudeva per non vedere nessuno, per sospettare, per protestare, dove la vicinanza con gli altri diventava una fonte di irritazione, oggi è cambiato. La convivenza in condominio non è più incubatrice di deliri. Ha ripreso la sua carica sociale emotiva. Non danno più fastidio i rumori oltre il muro, gli ascensori che non arrivano, lo sgocciolio dei balconi, i cigolii della notte. Il condominio non è più un luogo del controspionaggio. Ci si saluta, ci si parla di nuovo fra condomini: c’è connessione, c'è complicità d’intesa, anche. Gli animali d'appartamento, cause di diatribe infinite, sono diventati complici di alleanze tra vicini per uscire a turno in cortile e prendere una boccata d’aria. Da palestra di diffidenza il condominio si è trasformato in palestra di confidenza. Avamposto per scambiarsi informazioni e, alla bisogna, anche alcuni beni primari come sale, zucchero, pane, farina, uova, latte, caffè…. Il condominio si sta dimostrando un esemplare interessante di solidarietà continuata, con i gesti naturali che riempiono la vita delle persone. In questo momento particolare c’è senso di appartenenza, si fa squadra. Spero vivamente però, che nessuno pensi di liberare il proprio ego creativo per inventarsi delle mascherine col logo del condominio, come tendenza vuole, per dare al prossimo un maggiore segnale di esistenza e di presenza all’interno di questa giostra.

lunedì 30 marzo 2020

Instagram cuisine

Secondo Bertoldo – eroe contadino – il giorno più lungo è quello che” si sta senza mangiare”, perché il ventre vuoto dilata la misura del tempo indefinitamente, allargandola come una vescica mostruosamente rigonfia. In poche parole: a pancia vuota il tempo non passa e si soffre pure. Di questi giorni “più lunghi”, sembra che del cucinare in diretta Instagram, più che del mangiare, non si possa fare a meno. Sembra che ciò di più bello ci possa esserci al mondo in sto momento, sia affondare le mani in qualche impasto, sbucciare patate e cipolle, affettare ortaggi in genere, sbattere le uova…. E cuocere, infornare, spadellare, preparare ricette insomma. Diciamo che in questo modo si sta apprendendo la dimensione temporale per cui l’attesa è necessaria solo per far lievitare un impasto, riscaldare l’olio al punto giusto per friggere, per fare il bagnomaria…. Ogni giorno su Instagram, unico strumento social che io riesco, in qualche modo, a “interpretare”, assisto a preparazioni culinarie in cui la gente si sente finalmente felice. Il tempo le scorre. Nel cucinare su Instagram la gente ritrova quella saldezza che le impedisce di essere turbata. In queste "cucine a cielo aperto", in cui primeggiano certi attrezzi che appartengono alla sfera del meraviglioso, del magico, e altri che oscillano tra il vintage da rottamare e l’inutilità, si consuma il rito delle ore felici. A metà tra contemplazione narcisistica ed esaltazione dionisiaca. Si consuma un processo di umanizzazione del ”cucino come sono” e si dimostra che siamo i maggiori produttori mondiali di sensazioni. La cucina di Instagram sembra sia rimasto il luogo dove si parla di sentimenti, di tempi e abitudini che innovano anche gli “spazi “sociali”. Dove a fare da mattatore sono il numero dei “mi piace”, che riscrivono le mitologie della socialità e diventano la giusta ricompensa dell’Ora et labora quotidiano per i protagonisti. Le preparazioni, quella della gente comune, non degli chef, parlano di ricette della nonna, della mamma, della cucina tramandata. Cucinare, come chi ti ha dato le origini, contribuisce in un certo modo a placare i morsi di questo periodo e della nostalgia, come se, insieme al cibo e alle tecniche di preparazione tradizionali, si tenesse con se, in questo “nuovo mondo” delle quattro mura, anche gli affetti, i famigliari, gli amici…. D'altronde la nostalgia, uno dei termini e dei concetti più belli e affascinanti coniati in epoca moderna, racconta l’inquietudine e lo spaesamento, evoca esplosioni e frantumazioni di tempi e di luoghi, lacerazioni e dispersioni, individuali e collettive, partenze, fughe, ritorni, abbandoni, perdite, rinascite.

lunedì 16 marzo 2020

L'ordine giusto

Si sa com’è un racconto: niente in esso è vero e tutto è vero. Cose della vita vissuta, fatti accaduti, gesti e parole di persone conosciute prendono un ordine diverso e si mischiano con altro. Ci penso mentre lo sto scrivendo, in piena emergenza Covid19, (mai avrei pensato di dedicargli un ulteriore spazio su Morsi di Gusto…), e la luce del giorno comincia a filtrare per la vetrata del mio studio. Da 20 giorni questa scena la inquadro in maniera diversa rispetto al passato: spero, ogni volta, che la nuova luce non sia foriera di nuove paure. Anche se questo sentimento dura poco. Fino a quando, con gli occhi, attraverso il giardino, scruto gli orti di Bra, la Langa, il Monviso, e lo sgomento iniziale si tramuta in emozione felice. L’anomalia del Coronovirus con la complicazione pratica, capace di sommovimenti profondi, radicali, della nostra vita, mi sta insegnando che è importante non farsi disarcionare dalla paura e a non cavalcare il caos dei pensieri. L’Italia è un paese di gente che ama stare insieme, abbiamo facilità di relazione che usiamo per stabilire rapporti. Ma esiste un bene superiore al quale è legittimo sacrificare qualcosa: è la nostra vita e quella degli altri. Lo so che le regole possono essere giudicate pedanti e le infrazioni attraenti. Ma in questo tempo falsato e costretto dal Covid19, non si deve pensare di prendersi una vacanza dagli impegni, soprattutto morali. Questa Italia imprevedibile, deve continuare ad essere un luogo speciale. Invito quindi quei professionisti spavaldi dell’anarchia, che schifano e sfidano le regole, di mettere da parte l’orgoglio dell’intelligenza che li spinge a cercare inutili circonvallazioni e non sottrarsi alle virtù nazionali. Rimanete a casa. Proteggetevi e proteggete i vostri cari.

mercoledì 26 febbraio 2020

Riprendiamoci la nostra vita

Stavamo di nuovo viaggiando a mille. Almeno così sembrava. Invece il percorso si è infranto. La testa degli italiani, adesso, al tempo del Coronavirus, si può dichiarare a tutti gli effetti disturbata, persa. Si sa, noi italiani abbiamo sempre avuto il timore di scoprire verità scomode, ma mai come oggi abbiamo abbandonato qualsiasi reazione come se fossimo telecomandati da una regia esterna che ci guida in manovre assurde. Siamo in pieno periodo d’allarmismo ansioso. La paura dell’epidemia Coronavirus sta fissando delle regole demenziali: della strada, del lavoro, dell’ufficio, della scuola, del supermercato, dei treni, degli aerei, dei teatri, dei cinema degli eventi, delle manifestazioni, dei ristoranti, delle cure, e dell’amore pure. Niente è più come prima. Pazienza avessimo almeno l’esclusiva europea! Invece a quanto pare no, anche se gli altri ce la vogliono affibbiare. La solitudine degli stadi e delle chiese, due totem opposti di aggregazione sociale, è inquietante, purtroppo, e rende la realtà attuale. Uno spettro si aggira per l’Italia. Ci ossessiona un virus straniero di cui si sa che è pericoloso, ma non si sa quanto perché non esiste ancora il vaccino. Siamo ossessionati dall'incontro. Di un anonimo, forse ben conosciuto, potenziale untore. Col paradosso, di più, incredibile, che oggi è il sud che non vuole il nord. Vorremmo fare tutti il tampone, perenne! Ci sono migliaia di persone impegnate, a turno, a presidiare territori infettati e infettanti, rendendoli invalicabili da internamente ed esternamente. Medici al lavoro che sognano da giorni casa propria e gente che lavora a casa propria, sognando l'ufficio! Mentre la maggior parte del paese svaligia supermercati per fare scorte di cibo e disinfettanti. Mah…! Nel 2020 siamo stati catapultati indietro di 100 anni. Quando nel 1918 il mondo fu pervaso dall'influenza Spagnola. Il ricordo della Spagnola scatenato da alcuni media, ma non ce n’era bisogno visto che solo la storia lo può raccontare, ha rimesso in pista paure ataviche…. So che è difficile pensarlo e farlo. Ma riprendiamoci la fase dell’ottimismo italiano distratto e della preoccupazione affettuosa che ci ha sempre distinto. Consapevoli che l’Italia è nostra. Teniamo conto di questo! Ritorniamo a quell'atmosfera, felice e leggera, alle attività, alle abitudini che formano la nostra vita. Mantenendo la nostra solita forma di privatizzazione sentimentale che alla fine è il nostro senso di responsabilità.

lunedì 27 gennaio 2020

Corona's days

In questo universo sobrio e severo, non sono consentiti svaghi prolungati. In una settimana è successo l’inferno. Per colpa della “corona”, anzi di due corone ben distinte. Due casi allarmanti. Quello inglese, gonfia di umori giovanili, con Harry e Megan che si sono dimessi dalla Corona Reale e hanno traslocato in Canada, e quello cinese col caso del Corona Virus che sta mortificando la Cina…, se non altro per come la malattia si è trasmessa all’uomo, (prima dicevano da un serpente che ha mangiato un pipistrello che a sua volta a deiettato su qualche cinese, ora, ancora più imbarazzante, si dice per colpa di esperimenti chimici a scopo militare). Ma andiamo per ordine. Il vecchio impero inglese sta agonizzando. La sua fine è segnata. Il lungo romanzo britannico è arrivato all’ultimo capitolo. La notizia che l’ex principino Harry intende mollare la Nonna e tutti i suoi sudditi ha immalinconito mezzo mondo e rallegrato l’altra metà. Sto nipote di Elizabeth, impettito, irrequieto, disancorato, che ha dato di testa licenziandosi da Buckingham Palace senza una vera causa, se non quella di farsi gli affari suoi, ha riempito per giorni i palinsesti dei media che cercavano, ciascuno, di farne una ragione. Io mi sono fatto la mia e ve la spiego, ma non pretendo che la pensiate allo stesso modo. Il principino Harry, nazionalista inglese, è innanzitutto un romantico. Non solo attaccato alla corona e a Megan con tutto ciò che lei rappresenta. Sto pezzo d’uomo, infatti, che è stato anche un rappresentante militare del Regno Unito, ad un certo punto, approfondendo la storia del suo paese, scopre che il Canada fu dominio inglese fino alla sua indipendenza avvenuta nel 1931 e che durante la guerra Anglo-americana, la colonia canadese fu una pedina importante della Gran Bretagna nella guerra contro gli Stati Uniti… Harry, a sto punto, assillato dal ruolo del fratello, futuro regnante senza far niente, ha avuto un’impennata di orgoglio e ha pensato di fare invece lui qualcosa di epico per il Regno Unito, (che tanto unito non è più: leggi anche Bretix), e andarsi a riprendere quel che quasi un secolo fa gli era stato tolto! Vedremo come finirà. Mentre si consumava sto patetico quadretto della corona inglese, siamo stati fiondati nel dramma più tragico e micidiale dell’altra corona, la Corona Virus cinese. Dalla Corona epica si è passati alla Corona epidemica. Si sa: la Cina è un paese che conosciamo poco, ma che consumiamo molto. Un Paese indaffarato a produrre di tutto e di più e ad esportare a più non posso. Sappiamo però che primeggiano anche per i virus mortali epidemici, oltre sto Corona Virus anche la Sars. Ve la ricordate? Drammatica e dirompente, fu causata da piccoli animali mammiferi e invase il mondo qualche anno fa! Dei cinesi si dice di tutto come anche dei meridionali, altra razza maledetta (per alcuni, anche molti): sudici, spietati, malavitosi, briganti…. Non oziosi, però, come invece si pensa ancora dei terroni. Mi ricordo che in un mio soggiorno di qualche anno fa a Pechino, quando arrivai in albergo mi affacciai alla finestra della mia stanza al 15° piano e vidi un fazzoletto di terra, grande come 4 campi da calcio, cosparso di putrelle di ferro con uomini e gru, come formiche, che stavano lavorando. Dopo una settimana su quel terreno erano già stati tirati su 4 piani di quello che doveva diventare un grattacielo. Per questo non mi sorprende che a Wuhan, il luogo della “peste”, abbiano deciso di costruire in una settimana un ospedale specializzato in malattie virali. Se penso che il nuovo ospedale Alba – Bra è in costruzione da oltre dieci anni e non si sa ancora quando lo finiranno, nonostante la montagna di soldi spesi, mi sa che anche al nord qualche esame di coscienza sulla terronità diffusa bisognerebbe farsela……!?!? Ma torniamo a Corona Virus che è riuscito a far evaporare i festeggiamenti del Capodanno cinese, chiudere la Muraglia Cinese e fatto emergere diavoli inquietanti e malefici. Il drammatico e dirompente fenomeno epidemico è ormai mondiale. Il cinese in sti giorni è diventato ancora più inquietante, dappertutto. Come anche quelli che arrivano dalla Cina e cinesi non lo sono. Se li conosci li eviti. Siamo al paradosso che le posizioni razziali vengono affermate anche senza razza. Propongo, per alleggerire il momento del Corona's Days, sia inglese che cinese, una sbronza felice. Dove trionfano i campioni dello spasso, della trasgressione bonaria, del giro di vite in leggerezza, per arrivare con tutto il cuore, una volta smaltita la sbronza, ad essere pari e patta con tutti.

martedì 14 gennaio 2020

L'oratorio, smartphone di un tempo

Le doglie della modernità mi fanno riemergere ricordi indelebili e anche sorridere. Se oggi l’icona dei più giovani è il cellulare, con tutto ciò che contiene, social, giochi, informazioni, scuola, immagini, chat, amici, quando io ero ragazzino- e le materie di studio all’epoca erano italiano, matematica, storia e geografia – c’era l’oratorio che conteneva tutto questo. L' oratorio a quel tempo si apprezzava in tre stagioni della vita: quando si era bambini, quando si avevano i bambini e quando non si sopportavano più i bambini. L’oratorio metteva tutti tranquilli e al riparo. L’oratorio di Bra, dove sono nato e cresciuto (poco, a dire il vero), era quello di San Giovanni dove nella chiesa dello stesso santo ho fatto anche il chierichetto 7 giorni su 7, tutte le sante mattine, per 5 anni. A quel tempo si può dire che la vita era soprattutto di matrice cattolica, nel senso che tutti andavano a messa e dicevano convinti di credere in Dio, salvo qualcuno che si dichiarava comunista, ma che in realtà gli altri definivano “strana gente”. Quando io andavo all’oratorio i genitori non avevano bisogno di assumere le tate o iscrivere i figli a calcio, a basket, a judo, a karate, a nuoto, a inglese, a musica, a tennis, a equitazione...! Il “Don” dell’oratorio era la tata e il “maestro” di tutti. Tutti lo temevamo perché ogni tanto ci menava pure. L’oratorio era un narcotico naturale che i miei usavano per far sì che la sera me ne stessi tranquillo a fare i compiti, tanto ero stanco. Che gioia l’oratorio di San Giovanni! C’era di tutto: il campetto da calcio, il ping pong, il calcio balilla. Mi ricordo che il campo da calcio era piccolo, ma proporzionato, in terra battuta, con due porte di ferro grezzo. Ci giocavamo anche in 30 su sto campo, a turno tutti i bambini dai 6 ai 13 anni - e a anche più - che frequentavano come me San Giovanni. Tutt’intorno al campo, sulla linea del fallo laterale, in fila, come fossero spettatori, c’erano frigoriferi, cucine da gas, lavatrici, in disuso, raccolti da un laboratorio confinante che le ritirava per ricavarne pezzi di ricambio prima di rottamarli. Conservo ancora una foto che mi ritrae, in piedi sopra un frigorifero per sembrare più alto, insieme ad alcuni amici. Era istruttivo l’oratorio. Lì ho imparato la gerarchia sociale, la convivenza, a giocare, a confrontarmi, a prenderle e a darle. In quei pezzi di pomeriggio all’oratorio si consumavano trovate a raffica e girandole di fantasia. C’era naturalezza, indulgenza, abitudine, sollievo, fiducia, orgoglio, realismo, testardaggine, esibizionismo, divertimento. Dove la semplicità e la fantasia, si univano al buon senso civico. Durante le feste pasquali, mi ricordo che nel centro del campo da calcio veniva issato l’enorme palo della cuccagna, alla cui sommità veniva posto il cerchio con un casino di doni, roba da mangiare, soprattutto, di ogni sorta: prosciutto, salami, formaggi, biscotti, pasta…. Ed io, un po’ mosso dalla fame e un po’ per esibire la mia forza, nonostante fossi minutino, mi iscrivevo sempre per conquistare gli ambiti premi posti in alto sul cerchio. Tentavo di salire sull'albero della cuccagna nonostante il grasso copioso con cui veniva cosparso il palo. Ogni volta che scivolavo e precipitavo a terra nella lordura totale, ritornavo a chiedere al Don di risalire nonostante la faticaccia. Imparai subito dai più grandi a non avere fretta, ad aspettare tra una salita e l'altra, ma soprattutto a rotolarmi sul campo, prima di salire, cospargendomi il corpo di terra per non scivolare. Così, fiero e agile, con le gambe strette a tenaglia intorno al palo e con la forza di braccia e di gambe, andavo su come una scheggia per prendermi i miei premi e per diventare - nelle settimane successive - uno degli eroi dell'oratorio di San Giovanni