martedì 23 maggio 2017

Robot-chef

L’altro giorno su La Stampa ho letto con una certa curiosità, ma anche con un po' d'angoscia, l’articolo “Il pranzo lo prepara il robot”,  a firma Paolo Mastroililli inviato a New York.  In un ristorante sulla Madison Avenue dal nome che è tutto un programma, “Eatsa”, un fottio di clienti ogni giorno mangiano quello che prepara una macchina, come quelle che distribuiscono merendine, sigarette, bibite..., è solo più grande! Metti i soldi, premi il pulsante di quello che desideri mangiare di una fantomatica lista e tempo cinque minuti ti esce il tuo pranzetto, alla modica cifra di 10 dollari e 15 centesimi più tasse. Senza che tu debba rivolgerti a qualcuno del locale che assomigli ad una persona… Che tristezza! Ora, lasciatemi dire… E’ pur vero che la tecnologia e i robot ormai vivono tra noi nel quotidiano e senza alcuni di essi ci sentiremmo persi..., ma farsi preparare e farsi servire pranzo da una scatola metallica, per favore, no! Il cibo è cultura, filosofia, storia… Così invece si accelera la società del surf come dice Baricco “… la superficie al posto della profondità, la velocità al posto della riflessione, le sequenze al posto delle analisi, il surf al posto dell’approfondimento…” Se è vero che la culinaria sta a metà strada fra l’arte e la fisica, sappiamo tutti che ci vuole qualcosa di più che la semplice tecnologia per combinare ingredienti, assemblare, mescolare, far reagire…. Sta cosa se entra in pista cambierà non solo in peggio la nostra società e la nostra economia, ma anche  il nostro midollo spinale. E poi? Sottinteso il valore della figura umana e professionale che serve a produrre una ricetta..., dove la mettiamo la dimensione temporale della cucina? Per cui l’attesa è necessaria per cuocere e per saltare una pasta, per far lievitare un dolce, per far scottare un pesce o le verdura al punto giusto?  Perché le cose da cucinare, hanno bisogno del tempo giusto per dirsi compiute e buone! A proposito di buono..., l’altra sera durante una cena in uno dei miei posti del cuore, si discuteva proprio sul valore del buono… Alcuni dei commensali al mio tavolo affermavano che il buono è buono..., indistintamente, per tutti, allo stesso modo! Quindi se sto robot fa cose buone, (Sigh!), secondo loro, sono buone, a prescindere, per tutti. Ho cercato con fatica di spiegare a sta gente come la penso sulla questione. E cioè che al di là del simbolo, come caso alimentare reale, per me il buono è qualcosa di molto più ampio oltre che essere un fattore molto soggettivo. E’ come il bello, come il gusto… Buono è intrinseco ai concetti di gusto e di bello, proprio all'origine dei piaceri. Come diceva Montesquieu nel suo "Saggio sul Gusto" , "... è bene conoscere l'origine dei piaceri di cui il gusto è la misura: la conoscenza dei piaceri naturali e acquisiti potrà servirci a correggere il nostro gusto naturale e il nostro gusto acquisito. Occorre partire dallo stato in cui si trova il nostro essere e conoscere quali sono i suoi piaceri per riuscire a misurarli, e talvolta perfino a sentire i suoi piaceri". Sto cibo di Eatsa, che mi fa incazzare solo a pensarlo, così miseramente esposto ineluttabilmente ai tempi e ai ritmi fisiologici di preparazione di un robot…, per me non può essere buono, nonostante!  Il "bello" è che il primo ristorante automatizzato di New York, diceva l’articolo di Mastrolilli, fa parte di una catena con succursali già a Berkeley e a Washington…. Mi fa rabbrividire pensare a sta moltiplicazione di un luogo del cibo vile, falso, antisociale…, a sto modello di ristorante turboglobalista fatto di precarietà delle professioni e di follia tecnologica applicata ad un bene primario come quello del cibo! Se va avanti sto andazzo, che segna senza ombra di dubbio, un moderno rito di passaggio e di distacco dalle penetranti delizie dei cuochi e delle attente coccole della sala, ci troveremo a percorrere un viaggio futurista nel buio verso contrade gastronomiche indescrivibili. Con un condizionamento perverso della cultura culinaria e dei comportamenti legati ad essa delle future generazioni. Saremo prigionieri di un potere irresponsabile che ci porterà a vivere in una cultura gastronomica impalpabile, parallela e falsa. Lo so che in Italia siamo abbastanza al riparo da sto scenario apocalittico..., ma bisognerebbe già pensare di tutelarci nel caso in cui qualcuno, con la testa da robot, possa pensare di installare in giro per l’Italia, sto marchingegno... Magari in nome di qualcosa che secondo lui ha a che fare col principio del buono..., di qualcuno!



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