Cantè j’Euv, Cantar le Uova, è una rappresentazione pagana notturna che si consuma, dove vivo, nel periodo quaresimale. E’ una goliardica mescolanza di sacro e
profano, memore di rituali antichi... Una tradizione che un tempo qui
annunciava l’arrivo della Pasqua e della primavera. Le uova sono simboli
di rinascita nella primavera risorgente e attraverso il loro dono ci
si propiziava la salute e soprattutto un buon raccolto…. Un
rituale del mondo contadino strettamente connesso con il ciclo calendariale
dell’anno agricolo, rivelato anche da Fenoglio e Pavese… La tradizione racconta
che nella settimana di Pasqua dopo il tramonto, un gruppo di giovani partiva a
piedi dal paese, capitanati da un falso fraticello elemosiniere, e andava
vagando per la campagna di cascina in cascina, bussando alle porte per chiedere
le uova in cambio di una canzone ben augurale! I prodotti ricavati dalla questua
servivano poi per riempirsi la pancia al pranzo di Pasquetta…, (Sigh!). Erano
rare le volte in cui il padrone di casa non voleva saperne di uscire e far
contenti i questanti. Se succedeva, questi, gli maledicevano la cascina, gli
animali, il raccolto, la famiglia…. Cantè j’Euv, era soprattutto un modo per
socializzare, un momento di condivisione, un’occasione per
incontrarsi, una “scusa” per ragazzi e ragazze di stare insieme dopo il lungo
inverno…. Così col pretesto della questua, venivano fuori dei bei festini... Lo stesso adesso! So di certi matrimoni combinati proprio grazie ai Cantè
j’Euv …, (Sigh!), e anche di divorzi per certi intrallazzi che vengono
fuori lì…. L'attuale Cantè j’Euv quindi si muove sulla stessa falsa riga… Solo
che oggi si va prima a cena al ristorante..., e le cascine dove si vanno a
chiedere le uova sono diventate invece le accoglienti cantine dei produttori di vino. Si
canta, si balla, si mangia, si beve, si fanno cose...! La
punta massima del Cantè j’Euv la si raggiunge dopo mezzanotte, illanguidendo
lentamente fino all’alba. Di uova, manco l’ombra…, (Sigh!). Le
poche raccolte, nell’ultima tappa, vengono consumate in una bella frittata mattutina. In
passato ho partecipato a parecchi Cantè j’Euv nei fine settimana quaresimali. Quelli più
genuini, indelebili nella mia mente, li ho vissuti attorno agli anni ’90. Vi era
tutto un rito portato avanti dalla mia "compagnia"... Si invitava gente di fuori, da tutta Italia, gente
altolocata, con ruoli importanti nella società che conta, ignari del teatrino
che noi gli montavamo dietro con commedianti sgamati pronti a recitare! Il falso frate, il
falso invalido, il falso bandito, il falso mendicante... A sti ospiti gliene facevamo credere di ogni sorta…
(Sigh!). Succedeva un po’ di tutto a sti Cantè j’Euv… Ho visto persone per
bene trasformarsi e fare cose impensabili…. Altre che rimanevano
allibite per quel che vedevano e sentivano… Increduli di trovarsi allo stesso
desco, tutti insieme, in animata e strampalata discussione! Mescolavamo al cibo
e al vino ricordi e storie, dei personaggi, impressionanti… Con il "Solito" che prendeva in mano il mazzo e gestiva la partita sollecitando a turno... L’invalido che per la
sua condizione da disgraziato lasciava in giro per tutto il tempo una scia infinita di bestemmie e
maldicenze…, il galeotto dallo sguardo mineralizzato fisso sul bicchiere di vino che cercava complici per i suoi intrallazzi…, il mendicante, figlio di partigiano giustiziato dai fascisti, che
elemosinava soldi per pagare i debiti, incolpando anche le donnine che lo avevano mandato
a ramengo…, il frate che con tono spazientito benediceva chiunque, bofonchiando a suo
modo…, (Sigh!). Il tono della sceneggiata al ristorante era più o meno questo... La bagarre notturna, con noi in simulata indifferenza
e gli ospiti visibilmente impressionati e allucinati che abboccavano, poi, procedeva di corte in corte coi canti... “Suma
partì da nostra cà, ca i-era n’prima seira, per venive a salutè, devè la
bun-ha seira…”. Il mio corpo a corpo col dialetto piemontese era sempre duro, come sa chi mi conosce bene…, (Sigh!). Così mimavo la cantata con le labbra, mentre mentalmente, col cervello intorpidito, cercavo di tradurre:
“siamo partiti dalle nostre case che era da poco sera, per venirvi a
salutare e darvi la buona sera…”. Si ballava, dappertutto, sopra i tavoli, e sotto anche, col fazzoletto
rosso che ogni cantore, a turno, passava di donna in donna, sfiorando i loro
corpi, sulle note di “Amalia Amaliella, tu sei la più bella, e dammi la tua
vita, e dammi la tua vita". Patatìn e patatàn...!
Davvero divertente!!! Ma ci sono state poi rappresaglie da parte degli ospiti quando hanno scoperto il vostro gioco?
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