So che ci
avete fatto caso da un pezzo anche voi. Il mosaico culinario nazionale, durante i mesi
estivi, tende fatalmente a polverizzarsi capillarmente in migliaia di Sagre, incontrollabili, per promuovere prodotti tipici e ricette della tradizione. La
scena, solitamente, è quella della rappresentazione del tipico, della cucina
popolare, esercitata da variopinti gruppi sociali, di etnie, di varietà
municipali, di genealogie dialettali, che fanno la gara a chi ha più fantasia
ad inventarsi un qualche appuntamento ciboso in una qualsiasi Piazza d'Italia. No so a voi, ma da un paio di mesi a sta parte a me sono arrivate una cifra
infinita di news letters, mi sono passati fra le mani non so quanti depliant o
comunicazioni similari, che riportano programmi di feste o sagre inneggianti al
tipico e alla sua cucina. Programmi il cui frontespizio è già irto di slogan, di messaggi programmatici, di titoli, di grafica, inneggianti il gusto. In ognidove, il cibo è messo lì a catturare consensi, oltre
che celebrare l’orgoglio delle radici. E’ l’uso estivo sociale del cibo…! La gastronomia italiana del prodotto tipico, che degenera il più delle volte in banalissima solennità conviviale popolare, quasi di derivazione carnevalesca...Alcuni
favorevoli alle situazioni di destra, altri indirizzati piuttosto a sinistra. Alcuni
promossi come conservatori, altri dichiarati innovatori… In un gioco quasi
rituale, uguale. Dove, però, non sfugge anche l’elemento economico per chi organizza e
gestisce! Che ha un ruolo di rilievo non indifferente, nonostante, alla maggior parte
delle Sagre, lavorino a ciclo continuo, furiosamente, per tutta l’estate,
pure nel giorno del Signore, associazioni di variegata fauna, politico-religioso-assistenziale-nostalgica….Così rendono le Sagre più "democratiche", più "umane"..., più “pulite”. La scusa è quella di voler soddisfare, orgogliosamente, la
frenetica domanda del popolo vacanziero, della cucina dialettale,
popolare, municipale, locale….Con un'offerta "buona-sfiziosa", low cost! Nella “sacralità” di questi rituali culinari
estivi si consuma freneticamente l’esaltazione del tipico a tutti costi. Cascando, il più delle volte però, nel
cerimoniale del “vale tutto”... Basta che si mangia e si beve. Dove non c’è il tipico, manco se lo inventano, si punta sul classico che non delude mai: la Sagra del prosciutto, melone e bruschetta, la Sagra degli spaghetti, la Sagra del fritto misto, la Sagra della cozza, la Sagra della pasta cu l’agghia e sasizza arrustuta…..Alle Sagre però va anche in
scena, mascherata, la manipolazione “politica” del consenso…..Il prodotto tipico, usato come persuasore occulto, di sinistra o di destra, consacrato a
paladino del “Vota Antonio” di turno del territorio. Il tipico a tutti costi, mito trionfante e influenzatore,
al servizio dei consensi e dei profitti facili anche. E’ questo l’effetto
morale 2.0 degli alimenti "local" che salta agli occhi d'estate. Comunque sia, potessi, io non mi perderei le sorprese della Sagra della "Ficamaschia dorata", (il merluzzetto fritto), il valore lustrale della "Sagra dei Ciammaruchigli", (le lumachine di
terra), la magia della "Sagra dei Cecapreti", (la pasta tipo gli strozzapreti), l'alchimia della "Sagra dei Fasul scucchiularèdda", (i
fagioli salernitani)...Ma nemmeno le vertigini della Sagra “Te c'hanno
mai mannato a stò paese?”…
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