L’olfatto, l’ho già detto da queste pagine, http://morsidigusto.blogspot.it/2016/03/finche-cho-naso-vivo.html, è la mia guida sensoriale. Detto ciò, rimango
sempre sorpreso quando incontro odori che mi scatenano prepotentemente ricordi
legati al mio passato. L’altro giorno a Taste di Firenze ho assaggiato un Caffè
Verde dell’amico Massimo Bonini della Torrefazione Lady Cafè. L’odore di sto caffè mi ha colpito diritto al
cuore proiettandomi in un nostalgico tuffo nei ricordi della mia infanzia, (Sigh!). Per un po’,
dopo quella degustazione, sono stato ostaggio della "sindrome
proustiana" come nell'opera "La strada di Swann - Alla ricerca del tempo
perduto", nella quale il protagonista, percependo il profumo dei biscotti
e del the, compie magicamente un viaggio indietro nel tempo tra i ricordi della
sua infanzia. In sto caffè verde c’ho trovato dei particolari profumi di erbe che
mi hanno fatto salire in gola nostalgici momenti. Proiettandomi a quando il mondo di
noi terroni, emigrati a Bra, procedeva spedito, nonostante il
sentimento antimeridionale che sentivo serpeggiare e affiorare ovunque, a
scuola, all’oratorio, al campo sportivo, al cinema, alla Colonia Marina di Bra, (Sigh!)… E
il divario classista lo faceva soprattutto l’alimentazione. L’odore di sto
caffè, mi ha riportato all’odore di alcune erbe selvatiche di quando con mia madre e
mia sorella Elena, poco più grande di me, soprattutto nei pomeriggi primaverili
ed estivi, andavamo a raccoglierle nei campi vicini a casa nostra, arrivando,
per sentieri, fin quasi a Falchetto: cicoria, malva, asparagina, finocchietti
selvatici, tarassaco, silene,… Erano tempi in cui in casa mia si praticava una
dieta vegetariana monastica forzata, perché ogni cibo necessario allora era
scarso e, quindi, sacro. Sacri come, allora, tutti i beni primari necessari oltre il cibo,
l’acqua, la luce, il gas, i vestiti…Se il resto non lascia spazio a nostalgia,
il cibo, invece, mi scatena luoghi antropologici fatti di parole di memorie,
ricordi, storie, persone, relazioni. Il mangiare a quei tempi era operazione
anche rituale scandita sul doppio binario dei cicli stagionali e del
calendario liturgico. Orchestrata dalle lune e dai soli. Dalle vigilie e dalle
feste. Dai patroni e dai santi. Dalle nascite, dai matrimoni, dalle morti.., (Sigh!). Non eravamo mai soli a raccogliere erbe di campo... Ci trovavamo assieme a conoscenti, a bordo di sti campi, coi più grandi attrezzati
di coltello e borsoni di nylon. Alcuni di loro, che abitavano lontano da noi,
arrivavano fin lì imbucati a decine sulle mingherline utilitarie dell’epoca. Eravamo organizzati
a squadre di famiglie che si dividevano anche i figli, dove questi abbondavano
da una parte e scarseggiavano dall’altra..., (Sigh!). Battevamo i campi come perlustratori
specializzati, guidati dal rito per la vita, contro la fame, contro la miseria.
Ma quei momenti, in questo universo sobrio e severo, dove per i grandi non
esisteva il tempo libero, le nostre mamme sapevano mascherarli in svago, in mezzo alla natura. Tra gli intrecci di dialetti
delle mamme che si confrontavano a voce alta chinate a raccogliere nei campi... - gesto che per loro diventava in quel momento luogo di affermazione d’identità e costruzione etnicità di cui essere
orgogliose - noi picciriddi imparavamo col gioco a riconoscere le erbe buone da
raccogliere. Stando attenti alle ortiche, riempiendo le borse di quante più margherite potevamo, dando la caccia al quadrifoglio, correndo dietro ai soffioni, facendoci i timbrini dappertutto coi pistilli del papavero... Sentendo l’odore
di sto caffè, mi sono ricordato dei tempi in cui il palazzo di via Goito, dove
abitavamo, mandava suoni di vita già all’alba..., e a casa mia c’era la regola che
la sera dovevamo esserci a tavola tutti e otto se no non si mangiava…, (Sigh!).
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