mercoledì 18 dicembre 2019
Orecchiette da mercante
La vicenda del sequestro di orecchiette fatte in casa a un
ristoratore di Bari, ha animato la cronaca italiana ed internazionale della
scorsa settimana: “Call it a crime of pasta” - “Chiamatelo un crimine di pasta” - è il titolo del lungo reportage che il New York Times gli ha dedicato. E ha messo
in subbuglio anche gli animi della Città vecchia dove questa pasta viene
quotidianamente preparata dalle massaie del quartiere, per essere poi venduta a
qualche ristorante della zona e soprattutto ai turisti. Per me che sono un fan della puglia e
di Bari in particolare, oltre che un fondista della pasta fatta in casa tirata
al mattarello, (taiarin, busiate, pappardelle, lasagne, ravioli, orecchiette, cappelletti…,
il mio principale food porn), ho dovuto compiere sforzi giganteschi per buttarmi
alle spalle tutto quel che ho letto e sentito sul mio amore alimentare. Recuperando dal
mio retrobottega culturale, una serie di inconfutabili certezze. La strada
delle orecchiette, a Bari vecchia, verso l’Arco Basso, in prossimità del
Castello Svevo, la conosco bene. Me la godo ogni volta che ritorno in questa
città. E’ una passerella, una galleria, un museo, un ristorante, un mercato, un
laboratorio, un luogo di meditazione, un posto magico dove il tempo si è
fermato. E’ il teatro dell’autosufficienza famigliare meridionale. Tutte le
volte vado lì per guardare lo spettacolo meraviglioso del rito delle
orecchiette che le massaie preparano con movimenti velocissimi, una dietro
l’altra, nelle loro case. Quasi con rituali propiziatori e con la mediazione di
spiriti. E tutte le volte chiedo il permesso di entrare nelle loro case, per
non perdermi niente di sto teatro. Lavorano su tavoli che sembrano degli
altari, con tutt’intorno, in disordine ordinato, una selva di cimeli, oggetti,
statuette, religiose, a santificare il loro rito e i loro gesti. Quasi tutte
accompagnano il loro lavoro col televisore o la radio accesa sintonizzata su
programmi di intrattenimento. Alcune pregano pure. Il sollievo etico ed
estetico, oltre che di gusto, che ne ricavo ogni volta che vengo qui è
principesco. Ora, ste signore delle orecchiette stanno passando giornatacce.
Questioni “europee” di tracciabilità del prodotto dicono. In più ci si mette
anche la polemica sui guadagni in nero…. Ma pensate cosa vanno a tirare
fuori…?! Dovremmo rinunciare a sto bendidio, confezionato alla buona,
considerato il non plus ultra da parte di consumatori, turisti, ristoratori…
Roba che ha permesso la nomina di Bari nella top ten delle migliori
destinazioni d’Europa per Lonely Planet…! Prelibatezze che sono entrate
anche negli spot di Dolce&Gabbana con le figlie di Sylvester Stallone
filmate proprio lì, mentre giocavano con ste creazioni di pasta fra le mani….! Dovremmo
rinunciare a sti gioielli gastronomici che un tempo saperli fare era anche
requisito necessario per trovare marito…! Per ragioni di rintracciabilità e di
miseri guadagni in nero, dovremmo perdere uno dei baluardi dell’identità
barese, pugliese, italiana? Ma neanche per sogno! Una cultura
dovrebbe servire prima di tutto a spiegare la realtà. Ve lo immaginate? Le
massaie baresi delle orecchiette, con indosso le cuffiette, a far le ricevute,
a vederle confezionarle in atmosfera modificata…? Qualcuno, schizofrenicamente,
ha suggerito a ste donne di mettersi insieme in cooperativa per vendere i loro
prodotti legalmente…. Ci mancano solo le orecchiette da mercante…! L'arte delle
orecchiette fatte in casa deve necessariamente sfuggire all'oblio. E neanche
diventare un’arte clandestina, proibizionista che alimenterebbe affari loschi.
Il valore culturale gastronomico deve
sopprimere tutti gli altri valori. In fin dei conti, di queste orecchiette
della Bari vecchia, senza etichette, tutti conoscono gli ingredienti: acqua,
farina e mani magiche. Lasciatemele godere ancora - almeno quelle fatte lì - così.
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