venerdì 20 maggio 2016

Estasi artistica

Ho un amico fidentino - gourmet, ambasciatore del gusto, cercatore di tartufi, con la passione per i cavalli, Piropì fra tutti che ama, ma di tutti gli animali in genere accolti nella sua casa di campagna - che dipinge. Per diletto per ora, sperando che prima o poi prenda coraggio. Con Beppe Siliprandi, siamo amici da una quindicina di anni. Generoso di suo fino alla dissipazione, vagabondo dei boschi, portatore di storie tratte dalla sua sconfinata esperienza in natura, Beppesili è un personaggio poliedrico, dall’ironia affinata, quando vuole anche tagliente, con un sacco di amici ovunque. Ne condivido con lui alcuni, oltre i tanti interessi comuni. In primis il gusto della tavola, della campagna. E dell’arte. Credo che se abitassimo più vicini, Beppesili sarebbe per me un “dannato” tentatore del vagabondare ludico spensierato. Una sera della scorsa settimana, dopo una vita di insistenze, finalmente mi ha portato a conoscere un pittore delle sue parti di cui mi parlava sempre e mi aveva fatto vedere anche dei lavori. Una specie di mentore per lui. Un riferimento importante per Beppe. Non solo per lo stile artistico, ma anche umano. L’artista si chiama Gianfranco Asveri, con una storia infinita di sofferenze alle spalle. Si percepisce bene nei suoi lavori di qualche tempo fa dove i colori sulla tela erano tetri, anche se d’effetto, con  sporadiche macchie di colore, soprattutto rosso, solo qua e là. Nell’età matura Asveri, pianate le sofferenze, ha cominciato a dipingere con colori più vivi, seppur forti.  Con tratti marcatamente bambineschi però rispetto all’informale di prima. Ed è questo il suo stile di adesso. Mi piace della sua pittura, oltre che il bagliore dei principali colori, anche il gesto spontaneo e sproporzionato delle figure: cani, cavalli, gufi, galli, persone, fiori, casette, alberi, soli, lune, stelle, …. Tratti e gesti mai precisi, anzi.  Mi piace anche perché i suoi quadri, sono più quadri nello stesso quadro. Voglio dire che alcuni particolari della stessa tela, potrebbero essere già di per sé, da soli, dei quadri. Beppesili ed io finalmente siamo andati a trovarlo, dicevo. Arrivati nella casa-rifugio- studio, avvolta dalle colline tra Parma e Piacenza, Asveri ci ha accolti come si fa con gli amici di vecchia data. C’ha messo tre secondi a capire con chi aveva a che fare, oltre il suo discepolo che conosce bene. Abbiamo dialogato a 360°, trovandoci subito sugli argomenti. Così che, poco dopo, Asveri mi ha portato al piano superiore della casa in cui lavora e mi ha aperto la stanza dove dipinge. Il gesto più intimo di un artista che solo poche volte concede. Se prima ero stato emozionato nello scorrere le sue tante opere sparse per la casa, fissando gli oggetti del mio desiderio con gli occhi fuori dalle orbite, qui, dove dipinge Asveri, vado in estasi. Sono in pochi metri, di quella che era prima una stanza, limitati dalle montagne di barattoli, tubetti e residui plastici di colore consumati, ammassati in ogni parete dal pavimento al soffitto. Il suo piano da lavoro, messo lì nel poco spazio centrale rimasto, è già un’opera d’arte che ruberei. Ho respirato estatico, con avide annusate, l’odore di quella stanza rapito anche dall’atmosfera. Un’atmosfera da girone dantesco degli artisti. Dove il cangiare della luce e dell’ombra che sprigionavano le migliaia di residui dei colori consumati, e il loro profumo intenso che ho respirato a pieni polmoni, mi hanno rapito per un bel po’. Al congedo Asveri mi ha omaggiato un papiro con la lettera dal capo Sealth della tribù dei Pellerossa Dywanish al Presidente degli Stati Uniti Franklin Pierce, nel 1855. Una lettera in cui si spiega perché il Capo Tribù non voleva cedere le sue terre. Un inno alla natura, che la dice lunga anche sull’affinità elettiva che si è stabilita tra noi. Per questioni di spazio sintetizzo con le righe finali: “….Quando i bisonti saranno stati tutti sterminati, i cavalli selvaggi tutti domati, quando gli angoli segreti delle foreste saranno invasi dall’odore di molti uomini, e la vista delle colline sarà oscurata dai fili che parlano, allora l’uomo di chiederà: dove sono gli alberi e i cespugli? Scomparsi. Dov’è l’acqua. Scomparsa! E cosa significa dire addio al rondone e alla caccia se non alla fine della vita e l’inizio della sopravvivenza?”. 

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