venerdì 27 dicembre 2019

Angeli custodi

Greta Thunberg, svedese, 16 enne, viso dolce stralunato, trecce bionde, sembra sia diventata l’angelo custode dell’universo. Sia chiaro: ben vengano paladini, e con essi forme, capaci di sensibilizzare il mondo sul tema della tutela della natura e quindi di un universo più ecologico…., però sto movimento guidato da un’adolescente, che sembra “tellurico” , ma invece è “terrestre”, mi fa un po’ sorridere. Non ce l’ho con Greta, sia chiaro! Ce l’ho col fatto che non si riesce mai a fare una vera rivoluzione razionale. Noi italiani, inoltre, abbiamo il monopolio della lamentazione con il gusto della rivolta, opposta all’altra nostra metà che è il conformismo. Per cui “non si muove foglia che Dio non voglia”. Il problema che ci troviamo ad affrontare oggi è vecchissimo…. Ci siamo sentiti sempre tutti superiori alla natura, insensibilmente, al di là di tutto. Ogni volta aggredendola, sottomettendola, dominandola, realizzando un nostro sviluppo economico a lei contrario. Io dico da sempre, ancor prima che rientrasse negli ultimi proclami politici, che serve l’educazione civica! Educare fin dall’asilo! Si può combattere sta fine del creato solo con la crescita della coscienza ecologica e la sua assimilazione culturale da parte di tutti. C’è bisogno di insegnare e sostenere uno sviluppo in armonia con la natura, di formare un nuova coscienza dell’umanità che si responsabilizza per il destino comune di tutti noi e del mondo che abitiamo. L’ecologia non abbraccia solo la natura, ma anche la cultura e la società. Non possiamo continuare a dimostrare ogni anno che siamo cresciuti di P.I.L. più dell’anno precedente a discapito di tutto! Anche se due titolati dementi dicevano il contrario. Francesco Bacone infatti, uno dei fondatori della filosofia della scienza, affermava che “sapere è potere” e “il potere è dominazione”, per cui secondo lui il potere sopra la natura significa incatenarla al servizio dell’uomo e farla nostra schiava…. Della stessa misura il pensiero di Cartesio, filosofo della modernità, sosteneva, nella sua teoria della scienza, che “….la vocazione dell’essere umano in relazione alla natura è possederla, al di là di tutto, affinché intera ed estenuata sia ai nostri piedi...”. Ecco, basterebbe far tesoro dell’imbecillità di sti due tizi, che stanno pure in bella presenza sui libri di storia, per trovare l’equilibrio col creato. O imparare invece bene le teorie di Josuè de Castro, famoso scienziato brasiliano, che diceva “… la povertà è il nostro maggior problema ambientale”. Bisogna vivere l’ecologia come una nuova alleanza che l’essere umano deve stabilire con il suo habitat, con il suo simile e con lui medesimo. Sviluppare una solidarietà con le generazioni che ancora non sono nate, col diritto di esistere anch’essi olisticamente, di respirare aria pura, di bere acqua pulita, di guardare le nuvole, il cielo, le stelle, il sole, la luna… come stiamo facendo, (forse ancora per poco), noi. Per questo è importante un’ecologia della mente, ma anche un’ecologia del cuore. Le risorse naturali sono limitate e non rinnovabili! Mettiamocelo in testa. Facciamo tesoro delle parole di Ghandi: “La terra è sufficiente per sfamare il mondo intero, ma non è sufficiente per la voracità del capitale”. Buon 2020 e grazie, comunque, a tutti gli angeli custodi! Compreso Greta, il vicino di casa, internet, i libri, i giornali…., che ogni giorno ci ricordano alcune fondamentali regole ecologiste!

mercoledì 18 dicembre 2019

Orecchiette da mercante

La vicenda del sequestro di orecchiette fatte in casa a un ristoratore di Bari, ha animato la cronaca italiana ed internazionale della scorsa settimana: “Call it a crime of pasta” - “Chiamatelo un crimine di pasta” - è il titolo del lungo reportage che il New York Times gli ha dedicato. E ha messo in subbuglio anche gli animi della Città vecchia dove questa pasta viene quotidianamente preparata dalle massaie del quartiere, per essere poi venduta a qualche ristorante della zona e soprattutto ai turisti. Per me che sono un fan della puglia e di Bari in particolare, oltre che un fondista della pasta fatta in casa tirata al mattarello, (taiarin, busiate, pappardelle, lasagne, ravioli, orecchiette, cappelletti…, il mio principale food porn), ho dovuto compiere sforzi giganteschi per buttarmi alle spalle tutto quel che ho letto e sentito sul mio amore alimentare. Recuperando dal mio retrobottega culturale, una serie di inconfutabili certezze. La strada delle orecchiette, a Bari vecchia, verso l’Arco Basso, in prossimità del Castello Svevo, la conosco bene. Me la godo ogni volta che ritorno in questa città. E’ una passerella, una galleria, un museo, un ristorante, un mercato, un laboratorio, un luogo di meditazione, un posto magico dove il tempo si è fermato. E’ il teatro dell’autosufficienza famigliare meridionale. Tutte le volte vado lì per guardare lo spettacolo meraviglioso del rito delle orecchiette che le massaie preparano con movimenti velocissimi, una dietro l’altra, nelle loro case. Quasi con rituali propiziatori e con la mediazione di spiriti. E tutte le volte chiedo il permesso di entrare nelle loro case, per non perdermi niente di sto teatro. Lavorano su tavoli che sembrano degli altari, con tutt’intorno, in disordine ordinato, una selva di cimeli, oggetti, statuette, religiose, a santificare il loro rito e i loro gesti. Quasi tutte accompagnano il loro lavoro col televisore o la radio accesa sintonizzata su programmi di intrattenimento. Alcune pregano pure. Il sollievo etico ed estetico, oltre che di gusto, che ne ricavo ogni volta che vengo qui è principesco. Ora, ste signore delle orecchiette stanno passando giornatacce. Questioni “europee” di tracciabilità del prodotto dicono. In più ci si mette anche la polemica sui guadagni in nero…. Ma pensate cosa vanno a tirare fuori…?! Dovremmo rinunciare a sto bendidio, confezionato alla buona, considerato il non plus ultra da parte di consumatori, turisti, ristoratori… Roba che ha permesso la nomina di Bari nella top ten delle migliori destinazioni d’Europa per Lonely Planet…! Prelibatezze che sono entrate anche negli spot di Dolce&Gabbana con le figlie di Sylvester Stallone filmate proprio lì, mentre giocavano con ste creazioni di pasta fra le mani….! Dovremmo rinunciare a sti gioielli gastronomici che un tempo saperli fare era anche requisito necessario per trovare marito…! Per ragioni di rintracciabilità e di miseri guadagni in nero, dovremmo perdere uno dei baluardi dell’identità barese, pugliese, italiana? Ma neanche per sogno!  Una cultura dovrebbe servire prima di tutto a spiegare la realtà. Ve lo immaginate? Le massaie baresi delle orecchiette, con indosso le cuffiette, a far le ricevute, a vederle confezionarle in atmosfera modificata…? Qualcuno, schizofrenicamente, ha suggerito a ste donne di mettersi insieme in cooperativa per vendere i loro prodotti legalmente…. Ci mancano solo le orecchiette da mercante…! L'arte delle orecchiette fatte in casa deve necessariamente sfuggire all'oblio. E neanche diventare un’arte clandestina, proibizionista che alimenterebbe affari loschi. Il  valore culturale gastronomico deve sopprimere tutti gli altri valori. In fin dei conti, di queste orecchiette della Bari vecchia, senza etichette, tutti conoscono gli ingredienti: acqua, farina e mani magiche. Lasciatemele godere ancora - almeno quelle fatte lì - così.


mercoledì 11 dicembre 2019

Il mio Bue Grasso

Cade sempre il secondo giovedì prima di Natale. La solita giornata d’inverno. Quando il freddo e la nebbia di dicembre avvolgono il basso delle colline, mentre i “bricchi” sbrinati emergono luccicanti baciati dal sole. In questo giovedì mollo tutto, ma proprio tutto: vado al Bue Grasso di Carrù, nella Langa monregalese, vicino alle zone del Dolcetto di Dogliani, un angolo del Patrimonio Unesco poco esplorato rispetto alle aree di qui più vocate al vino. Vado a Carrù vestito da alta montagna, armato del mitico bastone dei "Tucau", per rigenerarmi e godermi una giornata d'altri tempi. Lo faccio da ormai oltre 35 anni e mi diverto un casino ogni volta. Al Bue si sta in amicizia, si mangia, si beve, si canta…, e si ammirano i migliori capi di bestiame. Le prime volte arrivavo alle 5 per non perdere neanche un istante di questa fiera popolare dal sapore antico. Mi godevo lo spettacolo delle operazioni che sono da preludio alla fiera: l’arrivo dei camion, la lenta e faticosa discesa delle bestie, la loro pesatura. Ultimamente, a volte, scelgo di arrivarci invece con calma, beneficiando del giro panoramico che offrono le colline del Barolo: parto verso le 7 da Bra, poi in fondovalle salgo a Vergne, Barolo e Monforte per poi scendere a Dogliani e risalire a Carrù. Mi piace sto giro perché, anche se mi ubriaco di curve, mi riempio gli occhi di vigne, di colline, di colori, di luci…. Un giro panoramico che faccio in tutte le stagioni, soprattutto in bici e in moto. All’ingresso di Carrù il solito cartello recita “Benvenuti nella patria del Bollito” e una serie di transenne limitano l’accesso delle auto al paese. Vista la mia lunga frequentazione però conosco ormai tutti i trucchi per superarli e parcheggiare vicino alla piazza della rassegna zootecnica. Dove va in scena un vero e proprio spettacolo: maestosi capi dal candido manto, di ogni razza bovina, più facile passarci sotto che aggirarli - pesanti anche quindici quintali - sono lì in posa come stars per farsi ammirare, fotografare, giudicare! Mi meraviglio sempre a guardare tanta bellezza che è in attesa di conquistare l’ambita gualdrappa. Nell’”arena” espositiva tra un commento e l’altro m’informo, cerco lumi, “intervisto” amici, veterinari, ma soprattutto parlo con gli allevatori che mi danno qualche dritta in più sulle bestie! Serve soprattutto l’allevatore per capire il senso del Bue Grasso! E allora impari che i buoi e i manzi sono nostrani, se della classica razza Fassone; della coscia, se presentano una muscolatura della groppa, della coscia e della natica molto più accentuata; o migliorati, se c’è stato un incrocio per ottenere determinate caratteristiche. Mentre la suddivisione tra vitello, manzo e bue dipende dal numero di denti - e di conseguenza dall’età, visto che, a partire dai 24 mesi, un bovino mette ogni anno una coppia di denti: il bue grasso ha otto denti, dunque almeno 5 anni. Mi stringo attorno a sti ciclopi della carne, gli ammiro il didietro mentre gli allevatori glieli armeggiano delicatamente con i "Tucau". Fa sempre un freddo becco al Bue. Per scaldarmi quindi ricerco continuamente il mitico brodo di bollito. Solitamente le prime tazze le prendo al ristorante "Al Vascello d'Oro" o  a “Il Moderno”. Già a quell’ora pieni di gente che si sgela con la mitica bevanda fumante tra le mani, mentre nelle sale da pranzo risuonano canti in “piemontese langhetto” (che nonostante i miei trascorsi ancora non ho imparato del tutto!). La mia ultima, di una lunga serie di tazze della mattina, che consumo in ogni dove di Carrù, contiene, per scelta, più vino che brodo…. Verso le 11.30 l’appuntamento con gli amici con cui condividerò il pranzo del Bue è alla salumeria Chiapella per l’aperitivo bollicine -“Salumi della Casa” e il concerto- spettacolo- gratuito dei mitici “Tre Lilu”. Prima di arrivare a sta meta, in giro in paese, incontro di tutto: facce d’altri tempi con baffi e cappelli d’antan, bande musicali, professioniste e improvvisate, gente strampalata, avvinazzata, che canta, frastuono di voci, grida di dialetti d’Italia che si incrociano e si mescolano, venditori ambulanti che magnificano l’acquisto dei loro beni. E’ una vera e propria baraonda degna della più sofisticata rappresentazione teatrale, popolare, d'autore. Faccio il giro lungo per arrivare da Chiapella perché non voglio perdermi niente, compreso i ristoranti del paese stracolmi di clienti disinibiti che, in un ultimo baluardo di dignità, si scatenano in balli e canti non classificabili. Ma neanche l’atmosfera magica del tendone “Bollitononstop” che dalle 5 del mattino è in funzione, con la proposta “piatto unico di bollito”: lingua, testina, scaramella, salamino, purè, bagnetto verde, una fettina di robiola e un pezzo di crostata. Il vino è compreso nel prezzo -dolcetto di Dogliani of course- quanto ne vuoi, per scaldarti a dovere. C'è sempre una coda chilometrica al "Bolittoonstop, di gente in fila come ad una finale di Champions. Il mio pranzo del Bue invece è sempre mitico, solitamente consumato in qualche prestigiosa cantina di vino delle Langhe. Ore e ore avvolto in  un'atmosfera sempre nuova e originale, in compagnia di produttori di vino, artigiani del cibo, ristoratori, cuochi, artisti dello spettacolo, de suono, della musica, dei canti, dei balli..... Gente che la sa lunga su come divertire e divertirsi.Il resto della magia lo fanno i fiumi di antipasti alla piemontese, il bollito misto, i dolci a gogò, e i vini, strepitosi, che scorrono liberi. Il mio Bue grasso di Carrù è tutto questo. E' euforia pura condivisa, è la voglia di stare assieme, in amicizia, con persone mosse dalla stessa passione.... Ci va anche il fisico però!