martedì 14 marzo 2017

Caffè verde

L’olfatto, l’ho già detto da queste pagine, http://morsidigusto.blogspot.it/2016/03/finche-cho-naso-vivo.html, è la mia guida sensoriale. Detto ciò, rimango sempre sorpreso quando incontro odori che mi scatenano prepotentemente ricordi legati al mio passato. L’altro giorno a Taste di Firenze ho assaggiato un Caffè Verde dell’amico Massimo Bonini della Torrefazione Lady Cafè. L’odore di sto caffè mi ha colpito diritto al cuore proiettandomi in un nostalgico tuffo nei ricordi della mia infanzia, (Sigh!). Per un po’, dopo quella degustazione, sono stato ostaggio della "sindrome proustiana" come nell'opera "La strada di Swann - Alla ricerca del tempo perduto", nella quale il protagonista, percependo il profumo dei biscotti e del the, compie magicamente un viaggio indietro nel tempo tra i ricordi della sua infanzia. In sto caffè verde c’ho trovato dei particolari profumi di erbe  che mi hanno fatto salire in gola nostalgici momenti. Proiettandomi a quando il mondo di noi terroni, emigrati a Bra, procedeva spedito, nonostante il sentimento antimeridionale che sentivo serpeggiare e affiorare ovunque, a scuola, all’oratorio, al campo sportivo, al cinema, alla Colonia Marina di Bra, (Sigh!)… E il divario classista lo faceva soprattutto l’alimentazione. L’odore di sto caffè, mi ha riportato all’odore di alcune erbe selvatiche di quando con mia madre e mia sorella Elena, poco più grande di me, soprattutto nei pomeriggi primaverili ed estivi, andavamo a raccoglierle nei campi vicini a casa nostra, arrivando, per sentieri, fin quasi a Falchetto: cicoria, malva, asparagina, finocchietti selvatici, tarassaco, silene,… Erano tempi in cui in casa mia si praticava una dieta vegetariana monastica forzata, perché ogni cibo necessario allora era scarso e, quindi, sacro. Sacri come, allora, tutti i beni primari necessari oltre il cibo, l’acqua, la luce, il gas, i vestiti…Se il resto non lascia spazio a nostalgia, il cibo, invece, mi scatena luoghi antropologici fatti di parole di memorie, ricordi, storie, persone, relazioni. Il mangiare a quei tempi era operazione anche rituale scandita sul doppio binario dei cicli stagionali e del calendario liturgico. Orchestrata dalle lune e dai soli. Dalle vigilie e dalle feste. Dai patroni e dai santi. Dalle nascite, dai matrimoni, dalle morti.., (Sigh!). Non eravamo mai soli a raccogliere erbe di campo... Ci trovavamo assieme a conoscenti, a bordo di sti campi, coi più grandi attrezzati di coltello e borsoni di nylon. Alcuni di loro, che abitavano lontano da noi, arrivavano fin lì imbucati a decine sulle mingherline utilitarie dell’epoca. Eravamo organizzati a squadre di famiglie che si dividevano anche i figli, dove questi abbondavano da una parte e scarseggiavano dall’altra..., (Sigh!). Battevamo i campi come perlustratori specializzati, guidati dal rito per la vita, contro la fame, contro la miseria. Ma quei momenti, in questo universo sobrio e severo, dove per i grandi non esisteva il tempo libero, le nostre mamme sapevano mascherarli in svago, in mezzo alla natura. Tra gli intrecci di dialetti delle mamme che si confrontavano a voce alta chinate a raccogliere nei campi... - gesto che per loro diventava in quel momento luogo di affermazione d’identità e costruzione etnicità di cui essere orgogliose - noi picciriddi imparavamo col gioco a riconoscere le erbe buone da raccogliere. Stando attenti alle ortiche, riempiendo le borse di quante più margherite potevamo, dando la caccia al quadrifoglio, correndo dietro ai soffioni, facendoci i timbrini dappertutto coi pistilli del papavero... Sentendo l’odore di sto caffè, mi sono ricordato dei tempi in cui il palazzo di via Goito, dove abitavamo, mandava suoni di vita già all’alba..., e a casa mia c’era la regola che la sera dovevamo esserci a tavola tutti e otto se no non si mangiava…, (Sigh!).

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