martedì 13 settembre 2016

Il freddo che mi scaldava

Mio papà è salito al cielo il 15 settembre 2011. Come voleva lui, sazio, senza disturbare, lasciando tutto a posto! Era del ’22. Aveva 89 anni. Ironia della sorte la data della sua morte coincide con quella della nascita di mia sorella Elena…. Che non si dà pace, anche per questo! Oggi alla soglia del 5° anniversario della sua morte, si manifesta prepotentemente, ancora più forte di prima in me, il sapore della mia infanzia. Ricordi annidati nel più profondo di me stesso. Puri!  In particolare di quando mio papà, nelle sere fredde dell'inverno braidese, per farmi addormentare nel lettone tra lui e mia madre, mi raccontava di quando lavorava in miniera o di quando era in guerra in Russia. Episodi, di luoghi e fatti, pieni. Anche di mistero e di storia, scavati nel cuore di mio padre che oggi tace. Era questo, un modo tutto suo per farmi prendere sonno, facendomi sentire anche protetto. Per scaldare i miei sogni, addomesticando così il freddo boia di quella grande stanza di via Goito all’epoca ancora senza termosifone. Esperienze sue di vita, scolpite dal sacrificio, dalle tribolazioni, dalle rinunce, dal riscatto, e dalla voglia di farcela nonostante tutto. Per insegnarmi, soprattutto, i sentimenti del coraggio, della solidarietà, del rispetto, del risparmio...Della riconoscenza. Del senso di appartenenza a certi valori. E di reagire alle avversità del destino… Ogni tanto la sua voce si assottigliava e la ruggine dei bronchi malati usciva con le parole... A soli 7 anni mio papà fu catapultato in miniera, alla “pirrera du baccaratu”, la Zolfatara  nel  comune di Aidone, a due passi da Piazza Armerina dove lui era nato... A 19 anni, reclutato e spedito in  guerra in Russia.... Al rientro scelse di nuovo prima la miniera "amica". Poi quelle del Belgio, vicino a Charleroi, dove si guadagnava di più…. “Fortunatamente”,  qui, un’ernia inguinale lo rese “non abile” e rispedito  al mittente come voleva il contratto stipulato a quel  tempo tra le due nazioni, Belgio e Italia. Che per quel lavoro bestiale, tra polveri, buio pesto e rumori assordanti, a oltre 1000 metri sotto terra, pretendeva solo manodopera straniera forte e sana. Coraggiosa e anche disperata. Se così non fosse stato a quest’ora io mi sarei ritrovato italo-belga. Come lo sono i  miei cugini Di Dio, di Wanfercée Baulet, orfani da tempo della buon’anima mio zio Gino che le fatiche della miniera hanno ucciso troppo giovane. All’inizio degli anni ’60, dopo il Belgio, papà puntò al nord per dare dignità alla sua famiglia ormai numerosa. Prima emigrando a Cherasco, poi nella vicina Bra dove io sono nato nel ’63.., 6° ed ultimo figlio! Dicevo dei suoi racconti a conciliare il freddo… Quelli  della guerra in Russia soprattutto. Del Csir, (Corpo di Spedizione Italiano in Russia), della divisione Pasubio, del 1° Battaglione, del 79° Fanteria. Guerra dove il confine tra uomini e bestie si assottigliava fino a scomparire. Di quando combatteva il piombo sovietico su fronti troppo vasti. In terra di nessuno. Con la colonna del termometro che crollava fino a sotto i 40°. Di com’era scampato ai duelli all’arma bianca, alle pallottole e alle bombe a mano che, mi diceva, gli rintonavano ancora nelle sue orecchie. Di quando in Russia divorava per forza i rifiuti. O bestie di ogni tipo anche in stato di avanzata decomposizione che venivano arrostite per allestire miserevoli e allucinati desinari. Ho imparato dai suoi racconti i nomi dei fiumi delle sue battaglie in Russia, Dniepr, Bug, Don... So cos'è e com'è l’“Isba”, la caratteristica casa-stufa russa…. Mi raccontava delle inaudite difficoltà, dell’inverno russo feroce, assiderante… Della lunga e disperata marcia a piedi verso l’ignoto tra attacchi, contrattacchi, aggiramenti, sfondamenti,... Di morti e di feriti…, di cui si perdeva ogni volta il conto! Delle colonne di uomini che arrancavano in mezzo a bufere di neve, congelati perché equipaggiati troppo “leggeri” per quel posto dal cielo di ardesia! Della Steppa, che tra una battaglia e l’altra si allungava ogni volta a perdita d’occhio. Degli uomini armati solo di fucile modello ’91, che il più delle volte si inceppava per congelamento. Mi raccontava di morti gloriose e di sacrifici inutili. Delle infinite insidie, di cui le più crudeli, rimanevano comunque sempre il freddo e la fame. Che lui e gli altri sfortunati miserabili cercavano di rendere più indulgenti, pensando ai volti di casa incisi nel cuore. Aveva imparato anche qualche parola in russo mio papà, per scamparla da situazioni drammatiche. A dire “esfi”, mangiare,  e “piti”, bere, prima di tutte. I suoi racconti, seppur crudi, però, non avevano mai il carattere crudele. Sapevano celebrare la liberazione dell’uomo dalla bestialità. Mi faceva entrare in testa la nozione di responsabilità di ciascuno, del proprio destino, ma anche degli altri. In un singolare passaggio di consegne confortanti fra lui e me. Esorcizzando la parola paura, che mai gli ho sentito pronunciare….! Ma anche per ribadirmi, ogni volta, che io vivevo nel paese di Cuccagna. Che qualcuno aveva saputo costruirmi pazientemente attorno, nel segno della libertà! E che per questo gli devo rispetto e riconoscenza.

2 commenti:

  1. Il mio il 19. Brutto mese settembre... ricordi troppi simili a questi...

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  2. Il mio il 19. Brutto mese settembre... ricordi troppi simili a questi...

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