Nascere, essere, stare, è uno sforzo che assorbe gran parte
delle nostre intelligenze e delle nostre energie. E’ uno sforzo benedetto! E’
la vita. Ma che cos’è la vita? Io so solo che “la vita è un miracolo”! Mi
illudo di aver clonato questo pensiero nel momento in cui è nato mio figlio Enrico
l’8-8-2008.... Ma ne sono sempre più consapevole di sto fatto perché ricevo ogni
giorno testimonianze che me lo confermano. Stamattina ero quasi tentato di saltare
l’appuntamento col mio Morsi di Gusto…(Sigh!), perché credevo che in un
giorno in cui si festeggia la Liberazione, ogni pensiero, ogni parola, ogni
scritto, sarebbero stati banali difronte ad una ricorrenza così importante.
Così ho fatto un giro al mercatino delle pulci che proprio nel giorno
della Liberazione invade ogni anno le vie del centro cittadino di Bra…,
(Sigh!). Tra le bancarelle ho incontrato Gianfranco, un coscritto mio caro
amico con cui, tra un caffè ed una passeggiata, abbiamo ragionato
sull’importanza di questo Giorno, del lavoro, della società attuale…, dei
valori che sono rimasti ancorati alla libertà, (Sigh!). Nel salutarci, a Gianfranco che mi
sollecitava il mio Morsi di Gusto, ho confessato che non so se lo avrei
scritto per i motivi di sopra.., (Sigh!), ma se avessi deciso lo avrei fatto collegando il tema della Liberazione alla storia personale di una mia cara
amica... Così ho ho fatto. Questo post lo dedico a Vatinee Suvimol, ed al suo
libro che ha presentato ufficialmente pochi giorni fa a Tempi di Libri, la
fiera di Milano. Si intitola “ La mia storia Thai” e secondo me rappresenta al
meglio il valore straordinario della Libertà e il modo per conquistarsela. Nel suo
libro l'autrice racconta la sua vita, dalla nascita ad oggi. Un vita di
tribolazioni, di negazione degli affetti, di ferite profonde…. della sua
esperienza lacerante di non essere riconosciuta come figlia. Ma anche di come è riuscita liberarsi da un certo sistema
di società egoista e diventare la donna e la mamma felice che è oggi, oltre che
un avvocata professionista affermata. Vatinee nel suo libro scrive
di ansia e di solitudine, di relazioni famigliari, di fatti crudi. Senza
remore, senza segreti, mettendo in luce le cose più intime..., difficili, per i
più, da raccontare. Esorcizzando così la sofferenza e la banalità del male che
ha subito. Liberandosi da pesi eccezionali che se fossero rimasti silenti, lei
ne avrebbe portato le stigmate a vita. Vatinee col suo libro, che ho letto
d’un fiato, mi ha offerto lo spunto per parlare di Liberazione, da
questo mio angolo, in maniera non banale. Rafforzando in me l’idea che la Libertà
è la legge della nostra esistenza e la condizione stessa del vivere! Se si
vive, si è liberi! Se si è liberi si vive!
martedì 25 aprile 2017
martedì 18 aprile 2017
Foto di famiglia
Domani è il mio compleanno..., e anche quello di mia sorella
Iole. Io però ne faccio solo 54…, (Sigh!). Nel mio ufficio, sulla parete davanti
alla mia scrivania, c’è appesa una foto d’epoca a colori della mia famiglia. Ci
siamo tutti e 8 rigorosamente in posa. Io, il più piccolo della nidiata, sono
in braccio a mia mamma… In sta foto avrò avuto manco 3 anni. Nella circostanza siamo
tutti vestiti da festa. Ne vado orgoglioso di sta foto…, (Sigh!). Tanto che, anni
fa, quando la scovai tra gli album di famiglia, ne feci fare 6 ingrandimenti che in una certa occasione regalai a ciascuno
dei miei fratelli e sorelle. I ritratti di famiglia sono stati un genere
artistico di incontrastata fortuna nei secoli passati, fino agli anni 70…,
(Sigh!). Era nel ritratto di gruppo che la famiglia si rappresentava e si
autocelebrava... Credo fu così anche per noi! La foto di famiglia era un modo
dei miei per farci scoprire di essere protagonisti anche oltre le mura di casa.
E credo, anche, una sorta di esorcizzazione della nostra appartenenza sociale. Ricordo
che a Pasquetta nell’immancabile appuntamento con la storica rassegna della
Fiera zootecnica di Bra, mio padre e mia madre, con sta scusa, ci portavano a fare lo scatto di famiglia. Si andava tutti dal fotografo che si trovava
alla fine di via Umberto, dalla parte opposta al Politeama. Ne ho viste
parecchie di foto che ritraggono famiglie di amici e parenti sullo stesso stile
di questa... Tutti rigorosamente in posa. Ma mentre in ste foto le persone ritratte
mostrano con disinvoltura il proprio status sociale… (Sigh!), con lo
sguardo verso l'obiettivo che li ritrae con orgogliosa partecipazione e
ostentazione del nucleo cui appartengono, in questa foto leggo in ciascuno dei
componenti della mia famiglia un porsi discretamente in penombra..., (Sigh!). L’unico
fuori dal coro sono io…, (Sigh). Forse perché mi trovo lì senza
ancora sapere bene il perché… Con sto
sguardo infantile, quasi di sfida, con una faccia da pirla
pazzesca... Uno sguardo che mi emancipa dal contesto narrativo di sta foto e rafforza in me l'idea di
consegnarsi all'innocenza dei bambini per aggirare le barriere convenzionali e i tabù
opprimenti della società degli adulti. Mi sconcerta quest'eccesso di realtà che
comunica sta foto. Ogni volta che la osservo meglio è sempre più sorprendente….. Quasi
un monito a trarne insegnamento.., (Sigh!). E diventa per me anche un pretesto per
riflettere meglio sui rapporti interpersonali…, più intimi. Per pensare quanto la famiglia sia per eccellenza il luogo
fisiologico e concettuale della memoria individuale e collettiva. E a domandarmi, ogni volta, a che cosa ci riferiamo quando parliamo di
famiglia...
martedì 11 aprile 2017
Traliccio Verdiano
Qualcuno, (Sigh!), ha scritto..., che un viaggiatore
americano ha scritto: “Italy is the land of human nature”, l’Italia è la terra
della natura umana… Grazie, ma non è che sta cosa ce la doveva certificare
l’americano... La scorsa settimana mi trovavo per lavoro a Polesine Parmense,
ora Polesine Zibello, nella campagna rigogliosa delle Terre Verdiane che tiene
ancora vivo il ricordo di Giuseppe Verdi. Come pure di Giovannino Guareschi, il
papà di Peppone e Don Camillo… (Sigh!), che dalla vicina Fontanelle di
Roccabianca si recava spesso a Polesine, dove le memorabili battaglie fra
il parroco don Davighi e il sindaco Carini gli avrebbero dato lo spunto per
creare i suoi personaggi. Terra bella, fertile, ma dura, questa. Paesaggio
color verde e ocra, campi sodi sterminati, gente meravigliosa. Col Po che non
concede confidenza, anche se gli argini “sentinelle” dovrebbero rassicurare…,
(Sigh!). Qui a Polesine Zimbello si trova il più importante giacimento italiano
di salumi eccezionali. E l’Antica Corte Pallavicina dei Fratelli Spigaroli ne è
la realtà più rappresentativa. Una roccaforte garbata affacciata sul Po, vocata
alla produzione e alla trasformazione di Culatelli da maiali di ogni razza,
compresi quelli dell’Antica “Nera Parmigiana”. Messi a stagionare nel loro
habitat più naturale, in meravigliose antiche cantine… Chi non le ha mai viste
non si può rendere conto della loro straordinarietà. Ogni volta che arrivo a
Polesine Zibello, però, mi rendo anche conto che la campagna italiana, a volte,
è anche violentemente italiana, … (Sigh!). Nel senso che ci sono posti in cui
il cattivo gusto prevale e riassume preciso l’equivoco italiano. Infatti,
appena poco prima di arrivare alle storiche cantine dell’Antica Corte
Pallavicina, dove il Culatello riposa per trovare la sua massima espressione
colla maturazione naturale, giace un gigantesco traliccio elettrico... Ad un
palmo da una delle meraviglie di sto Paese…, uno gira l’angolo, alza la testa,
e si trova davanti uno degli sfregi dell’età dell’inurbamento, (Sigh!)... L’eco
mostro alto come un palazzo di dieci piani, è lì a inquietare…, sui pascoli, a
due passi dal grande fiume. Sto elettrodotto è imbarazzante, ingombrante, mette
a disagio. Deturpa il paesaggio rurale, fiabesco, di campi frequentati da
mucche, da maiali, da galli, da galline, da lepri, da pavoni, che si rincorrono
allo stato brado. Io ogni volta lo soffro st’intruso di ferro messo lì…, (Sigh). E’ fortemente interferente a quel che c'è attorno, non solo per
le spropositate dimensioni… E’ un insulto ai campi felici di sta Bassa! Mi fa
strano come certe associazioni ambientaliste, impegnate a difendere certi posti
dai nemici del paesaggio, non si siano ancora fatti sentire per cancellare sto
obbrobrio da qui. Chissà come reagirebbero i due nemici storici del Guareschi,
che molte volte hanno lottato fianco a fianco per gli stessi ideali, ad un
simile scempio. Credo che nessuno dei due lo porterebbe come trofeo morale del
benessere… Forse, però, loro, avendolo ereditato, magari cercherebbero perlomeno di
farlo diventare un ulteriore attrazione magica di sto posto… Chessò..., per
esempio, facendolo trasformare da qualche architetto del paesaggio in una sorta
di simpatico faro totem del culatello…, (Sigh). Sono sicuro che Don Camillo e
Peppone, d’accordo, lo darebbero almeno in mano a qualche Istituto Europeo del Design
per un progetto che potrebbe trasformare sto pugno in un occhio in un esempio
del bello… Per ridare, soprattutto, la giusta soddisfazione ad un patrimonio
unico ed inestimabile di sto territorio come l'Antica Corte Pallavicina... Ma
anche ai duri sacrifici della famiglia Spigaroli che quotidianamente cura sto speciale fazzoletto di terra con la passione e l'orgoglio d'altri tempi...
martedì 4 aprile 2017
Cantar le Uova
Cantè j’Euv, Cantar le Uova, è una rappresentazione pagana notturna che si consuma, dove vivo, nel periodo quaresimale. E’ una goliardica mescolanza di sacro e
profano, memore di rituali antichi... Una tradizione che un tempo qui
annunciava l’arrivo della Pasqua e della primavera. Le uova sono simboli
di rinascita nella primavera risorgente e attraverso il loro dono ci
si propiziava la salute e soprattutto un buon raccolto…. Un
rituale del mondo contadino strettamente connesso con il ciclo calendariale
dell’anno agricolo, rivelato anche da Fenoglio e Pavese… La tradizione racconta
che nella settimana di Pasqua dopo il tramonto, un gruppo di giovani partiva a
piedi dal paese, capitanati da un falso fraticello elemosiniere, e andava
vagando per la campagna di cascina in cascina, bussando alle porte per chiedere
le uova in cambio di una canzone ben augurale! I prodotti ricavati dalla questua
servivano poi per riempirsi la pancia al pranzo di Pasquetta…, (Sigh!). Erano
rare le volte in cui il padrone di casa non voleva saperne di uscire e far
contenti i questanti. Se succedeva, questi, gli maledicevano la cascina, gli
animali, il raccolto, la famiglia…. Cantè j’Euv, era soprattutto un modo per
socializzare, un momento di condivisione, un’occasione per
incontrarsi, una “scusa” per ragazzi e ragazze di stare insieme dopo il lungo
inverno…. Così col pretesto della questua, venivano fuori dei bei festini... Lo stesso adesso! So di certi matrimoni combinati proprio grazie ai Cantè
j’Euv …, (Sigh!), e anche di divorzi per certi intrallazzi che vengono
fuori lì…. L'attuale Cantè j’Euv quindi si muove sulla stessa falsa riga… Solo
che oggi si va prima a cena al ristorante..., e le cascine dove si vanno a
chiedere le uova sono diventate invece le accoglienti cantine dei produttori di vino. Si
canta, si balla, si mangia, si beve, si fanno cose...! La
punta massima del Cantè j’Euv la si raggiunge dopo mezzanotte, illanguidendo
lentamente fino all’alba. Di uova, manco l’ombra…, (Sigh!). Le
poche raccolte, nell’ultima tappa, vengono consumate in una bella frittata mattutina. In
passato ho partecipato a parecchi Cantè j’Euv nei fine settimana quaresimali. Quelli più
genuini, indelebili nella mia mente, li ho vissuti attorno agli anni ’90. Vi era
tutto un rito portato avanti dalla mia "compagnia"... Si invitava gente di fuori, da tutta Italia, gente
altolocata, con ruoli importanti nella società che conta, ignari del teatrino
che noi gli montavamo dietro con commedianti sgamati pronti a recitare! Il falso frate, il
falso invalido, il falso bandito, il falso mendicante... A sti ospiti gliene facevamo credere di ogni sorta…
(Sigh!). Succedeva un po’ di tutto a sti Cantè j’Euv… Ho visto persone per
bene trasformarsi e fare cose impensabili…. Altre che rimanevano
allibite per quel che vedevano e sentivano… Increduli di trovarsi allo stesso
desco, tutti insieme, in animata e strampalata discussione! Mescolavamo al cibo
e al vino ricordi e storie, dei personaggi, impressionanti… Con il "Solito" che prendeva in mano il mazzo e gestiva la partita sollecitando a turno... L’invalido che per la
sua condizione da disgraziato lasciava in giro per tutto il tempo una scia infinita di bestemmie e
maldicenze…, il galeotto dallo sguardo mineralizzato fisso sul bicchiere di vino che cercava complici per i suoi intrallazzi…, il mendicante, figlio di partigiano giustiziato dai fascisti, che
elemosinava soldi per pagare i debiti, incolpando anche le donnine che lo avevano mandato
a ramengo…, il frate che con tono spazientito benediceva chiunque, bofonchiando a suo
modo…, (Sigh!). Il tono della sceneggiata al ristorante era più o meno questo... La bagarre notturna, con noi in simulata indifferenza
e gli ospiti visibilmente impressionati e allucinati che abboccavano, poi, procedeva di corte in corte coi canti... “Suma
partì da nostra cà, ca i-era n’prima seira, per venive a salutè, devè la
bun-ha seira…”. Il mio corpo a corpo col dialetto piemontese era sempre duro, come sa chi mi conosce bene…, (Sigh!). Così mimavo la cantata con le labbra, mentre mentalmente, col cervello intorpidito, cercavo di tradurre:
“siamo partiti dalle nostre case che era da poco sera, per venirvi a
salutare e darvi la buona sera…”. Si ballava, dappertutto, sopra i tavoli, e sotto anche, col fazzoletto
rosso che ogni cantore, a turno, passava di donna in donna, sfiorando i loro
corpi, sulle note di “Amalia Amaliella, tu sei la più bella, e dammi la tua
vita, e dammi la tua vita". Patatìn e patatàn...!
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