La strada
per me è stata maestra di vita. Non per niente amo definirmi uomo di
marciapiedi. E sulla strada ho conosciuto e consumato anche tanto cibo.
Consumare cibo per strada, a Bra, ai miei tempi era considerato di cattivo
gusto. Vivere la strada era da sfigati, anzi era da terroni. Il cibo di strada, con
le sue voci e la sua atmosfera, ha segnato la mia infanzia, soprattutto d’estate,
quando la mia famiglia “scinniva où’ paise”, a Chiazza, (Piazza Armerina in
provincia di Enna, famosa per la Villa Romana del Casale), col mitico Fiat 238
da 8 posti in cui io sedevo beatamente ai primi posti. Da ultimo di 6 figli, il
cibo di strada, a Chiazza, me lo godevo dalle prime luci dell’alba fino alla
sera. Per me era un rito, ed ero io l’incaricato all’acquisto ed al ritiro. Il
cibo di strada a Chiazza, viaggiava su carrettini trainati a mano o da bici o
da muli, da ape, da furgoncini, o da qualsiasi genere di trasporto, a volte
vere e proprie opere d’arte di artigianato popolare, frutto della fantasia
indigena. Ricordo personalissimi ibridi di ape-biciclette-carretto-furgone, con
simpatici disegni e variopinti fregi allegorici ed estroversi slogan dialettali
inneggianti all’acquisto. Ricordo anche che ciascun cibo di strada sembrava
avesse la propria voce. O meglio, la
propria cantata. E io avevo imparato a riconoscerle tutte. Il cibo di strada di Chiazza era ingegno,
creatività, convenienza, gestualità, artigianalità… Era capacità imprenditorial-popolar-meridionale.
Era, soprattutto, atmosfera di complicità fra gli avventori.....La mattina panino
di granita al limone o di latte di mandorla, a metà giornata “panino cunzato o "u sfinciuni" (pane pizza morbido lievitato cosparso di salsa di pomodoro, cipolla, acciughe, origano e pezzi di caciocavallo), l’arancino
o la ricotta fresca invece verso pranzo (si parla delle 2 dopo mezzogiorno), per
continuare con lupini in salamoia, o “calia e simenza” (ceci e semi di zucca
tostati), o pistacchi, tanto per passare il tempo del pomeriggio, fino alle mitica
salsizza fritta e il cocomero e i cannoli della sera. Pochi, semplicissimi
elementi della terra e della natura, accostati con grande sapienza e fantasia, combinati
in ricette povere della cultura del posto. Venduti a strillo da gente bruciata
dal sole, che recitava teatralmente pezzi dell’Orlando Furioso. Cibo vero,
simbolico, capace di evocare cose forti al di là del nutrimento: cultura, amicizia,
condivisione, gioia, narrazione. Consumavamo sul posto, in piedi, se no seduti
sui gradini delle case affacciate su Scalazza Santa Veneranda, o a capannello in
qualche baglio di cortile o dove ci trovavamo. Noi bambini giocavamo, i grandi “babbiavano”.
Si socializzava, come si direbbe oggi. Che civiltà!
martedì 29 marzo 2016
mercoledì 23 marzo 2016
Il gusto delle parole
Mi sono
sempre chiesto quante delle parole che pronunciamo abbiano un senso e quindi anche
un gusto. Le parole, si sa, hanno un ciascuna un
significato ed hanno la capacità di rimandare a sfere di senso più intime e
nascoste, come quelle che riguardano i sentimenti, i ricordi, i pensieri….. Con
effetti diversi, incidendo e pesando, quindi, in maniera diversa, non solo da chi le pronuncia o scrive, ma anche da chi ascolta
o legge. Le parole hanno la capacità di
farci andare con la mente a ciò che esse disegnano. Sono un atto creativo
formidabile. Una parola può trasferire emozioni
e sfumature, far immaginare o pensare qualcosa, e non servono solo per capirsi. Le parole hanno un gusto diverso, se
dette o scritte in un certo modo, se poi ci mettiamo anche la mimica….., è un
attimo rafforzarne o smorzarne l’impatto. Il gusto delle parole, se buono o
cattivo, giusto o no, siamo noi a darlo e/o a riceverlo. Qualcuno pensa che, a volte, è quel che non si dice che conta di più delle parole che si dicono o si scrivono…, che hanno un potere più forte! Quante cose non diciamo, però, valgono un
emozione, un giudizio, una giustificazione, una scelta…..?!?! Io preferisco
dirle. E farmele dire. Per me le parole hanno e danno gusto!
lunedì 21 marzo 2016
Finché c’’ho naso, vivo!
Di tutti i sensi, l’odorato è quello che mi colpisce di più. L'olfatto per me è memoria, emozioni, ricordi,
intimità, identità. Odori e profumi mi fanno scegliere nella vita, non solo a tavola.
Cerco odori confortanti dappertutto. Quando pratico sport all’aperto, ancora di
più. Perché gli
odori si possono raccontare, raccontano anche. E cerco di inebriarmi di quelli buoni che sento in giro. Li catturo, li respiro,
li abbino, li catalogo, li conservo. Quando mi serve li ritiro fuori, anche per
sognare. L’olfatto riesce a mettermi in moto i nervi. Le persone che amo io le respiro. Credo che se fossi in punto di morte, riuscirei a
tenermi in vita annusando mio figlio.
mercoledì 16 marzo 2016
Com’era buono il pane del giorno prima
Non sprecare! Questo era
l’imperativo di quando ero piccolo. I mie genitori me lo dicevano sempre,
recitando uno dei detti popolari siculi che più mi rimbomba in testa ancora
adesso: “i jornu non nni vogghiu e la sira spaddu l'ogghiu ”, per dirmi per
esempio che potevo studiare di giorno, invece che dedicarmi ad
altro, e non alla sera quando non c’era più luce naturale e dovevo accendere,
(quindi sprecando), la luce elettrica. Ma soprattutto non sprecare era
l’imperativo dei miei genitori, per il cibo. Il cibo, mi hanno insegnato loro,
non è solo nutrimento, ma anche qualcosa di cui avere cura. Del pane
soprattutto. “Sprecare pane si fa peccato” mi dicevano. Il pane…., che alimento
straordinario! Pieno di simbolismi a capace di sfamare, con piacere. Mio padre
mi raccontava che quand’era giovane e in miseria si faceva un intero “
vastedduni” (una forma gigante con crosta spessa tipo pane Altamura), con una
sola oliva. Io ne vado matto. Peccato che trovarlo buono oggi, il pane, si fa
fatica. Il pane di ieri i miei me lo facevano godere d’estate “cunzato”: una
fetta di Vastedduni con crosta, olio extravergine di oliva a pioggia sul lato
della mollica, origano, fette di pomodoro, pecorino, filetti di acciughe salate, di nuovo
strato di primosale e poi ancora olio extravergine, fetta di pane a chiudere e avvolto nella cartadapane.
Oppure tutto l’anno, soprattutto la mattina del sabato alla maniera del “
u’Limiuni”: in un piatto fondo spremere un limone intero, aggiungere acqua
fresca fino al bordo, due o tre cucchiai di olio extravergine di oliva, sale e
inzupparci il pane di ieri, (ma quello buono), con crosta spessa. Aspettare che
il pane si ammorbidisca, ma non troppo e mangiare a cucchiaiate. La variante
più gustosa era quella con l’aggiunta di aglio sminuzzato fine, che ci facevamo
ogni tanto. “Sfama, Pulisce, Disinfetta, Rinfresca” – mi dicevano i miei.
Con le uova e i piselli al sugo invece me ne mangiavo una tonnellata.
Com'era buono il pane del giorno prima!
Con le uova e i piselli al sugo invece me ne mangiavo una tonnellata.
Com'era buono il pane del giorno prima!
lunedì 14 marzo 2016
La vigna che non c'è più
Guardavo quella piccola vigna li sotto casa, che adesso non
c’è più, e provavo gioia, ma anche malinconia. Gioia perché per me la vigna è
vita e il suo frutto è incredibilmente affascinante per come sia affina, per
come costruisce il suo carattere e perché chiede cura e pazienza per maturare….
Malinconia perché non riuscivo ad accudire sta vigna per come volevo e perché
sapevo che un giorno sarebbe stata rimossa quando, e come, chi l’aveva
governata fino adesso avrebbe voluto. Nel grande codice della nostra cultura,
la Bibbia, si narra il mito di Noè che per primo piantò e coltivò una vigna.
Come un gesto di speranza: il primo contratto di un matrimonio con la terra. E
quel contratto con questa, (seppur mia), vigna, purtroppo non l’avevo fatto io.
Staccarsi dalle proprie cose, anche quelle materiali, non è facile, lo so molto bene. E poi esiste un
rapporto viscerale fra la terra e le persone, ancor più quando questa terra è
capace di dare buoni frutti che le stesse persone hanno allevato e colto. La
vigna la si lavora instancabilmente, dedicandosi totalmente tutto l’anno, con
quel lavoro certosino che va dalla potatura invernale fino alla raccolta autunnale.
Con cause ed imprevisti come può essere il bello e il cattivo tempo, che non
dipendono da noi. Curare la vigna è come
curare la propria vita. Attraverso potature e anche pianti, in attesa della
stagione della maturità…Ma è anche curare e far crescere un qualcosa che si
sente proprio, che non si vuole condividere, di cui ci si sente non solo innamorati,
ma anche padroni gelosi. Nella cura e crescita di una vigna ci sta tutto quel
che è la vita: l’amore, il lavoro, il tempo, la natura, il frutto, il vino, la
gioia, il pianto…Quella vigna sotto casa che guardavo con gioia e malinconia
adesso non c’è più: non so se sarò capace di ripiantarla, ma se avrò la forza e
il coraggio per farlo, vorrei che qualcuno, un giorno, se ne prendesse cura. Oltre me.
giovedì 10 marzo 2016
ASCOLTARE LE PAROLE
Chi mi conosce sa che amo l’arte in genere, quella pittorica di più. Una passione che coltivo fin
da ragazzino grazie ad alcuni artisti locali della zona in cui abito, che mi
hanno permesso di avvicinarmi alla pittura in maniera semplice, ma
approfondita. Con le loro opere non mi parlavano solo di immagini, ma di modi di vita, del tempo, dell'umanità, delle cose. Con quel tocco di nobiltà artistica pura che li distingueva e che sapevano imprimere sulle tele. Artisti che mi hanno
saputo parlare, ma soprattutto ascoltare. ASCOLTARE: che bella cosa! L’udito è
un senso sempre in funzione perché le
orecchie sono sempre aperte, a differenza della bocca e degli occhi, non
possiamo chiuderle. Le orecchie sono sempre aperte sul mondo, ma siamo capaci
di ascoltare? ASCOLTARE LE PAROLE non è di tutti. ASCOLTARE LE PAROLE è un esercizio che sa di
rispetto, di dialogo, di apertura, di condivisione, di verità. Perché se è vero
che non possiamo permettere alle parole di raggiungerci, (quante volte tendiamo
solo l’orecchio, senza ascoltare, facciamo “ orecchie da mercante”…?), ASCOLTARE LE PAROLE non è sempre facile.
Ricordo spesso mio padre che mi ripeteva sempre di ascoltare bene le sue
parole…. Come lo vorrei adesso! Chissà quante cose mi sono perso…! ASCOLTARE LE
PAROLE, lo so molto bene adesso esprime sentimento. Esprime il passare del tempo, così fugace. A casa mia
fa bella mostra un quadro di arte moderna, che acquistai da un giovane pittore
in Umbria, ai tempi in cui cavalcavo le colline del Sagrantino, su cui nel suo
centro appare orizzontalmente la scritta “ASCOLTARE LE PAROLE”, protetta da una listarella di plexiglass. Lo scelsi
per quella frase. Perché era quello che mi diceva sempre mio padre e perchè non si finisce mai di imparare ad ascoltare. E’ un quadro che indico sempre a
mio figlio come fonte di insegnamento, per cercare di non perdersi mai nulla. ASCOLTARE LE PAROLE.
Che bello! Speriamo che Enrico non abbia da pentirsi come me.
martedì 8 marzo 2016
Cuoco 3.0
Il “mestiere” di cuoco, l’insieme delle conoscenze ricevute
a scuola e poi in cucina, non è più un patrimonio sufficiente ad affrontare le
nuove sfide. La responsabilità sociale è ormai una parte fondamentale
di quello che significa essere uno cuoco moderno. Aiutare i contadini a coltivare i
migliori prodotti, educare le persone
alla lotta allo spreco, esplorare nuovi ingredienti, cambiare i metodi di
fruizione del cibo, creare progetti per l’alimentazione (sana e
di gusto) dei malati negli ospedali e degli anziani nei ricoveri, combattere
contro o a favore degli OGM, proteggere prodotti rari che rischiamo di perdersi,
esporsi pubblicamente per le carenze alimentari in diversi paesi, preoccuparsi
di salute e obesità, discutere di politica sociale, spiegarci esattamente cos'è
una pianta transgenica e come potrebbe cambiare il sistema alimentare nel
futuro….. Se tutto questo sono le cose per cui si dovrebbero impegnare in
futuro gli chef non credo avranno più tanto tempo per andare in giro a
relazionare sulla loro filosofia di cucina nelle diverse manifestazioni “congressuali”
ormai fotocopia una dell’altra che si susseguono a ritmo sostenuto in ogniddove. Io sarei più felice saperli impegnati nella responsabilità sociale che ormai li vede per gioco forza artefici del loro futuro, piuttosto che
vederli ogni tre-per-due sopra un palco “congressuale” autoreferenziale a celebrare
la tecnica "centrifugaperosmosiinversacoagulanteedefribillata", della
ricetta "spaghetti aglio olio e peperoncino 3.0"…. Lo so, per lo chef 3.0 con responsabilità sociale è molto
più faticoso che pensare al menu del pranzo di domani...Ma almeno se non lo vediamo tra i fornelli del suo ristorante quando siamo a pranzo da lui ce ne facciamo una ragione....
venerdì 4 marzo 2016
C’è voglia, c’ho gusto
C’è voglia di giocare, c’è voglia di arte, c’è voglia di
bellezza, c’è voglia di viaggiare, c’è voglia di comprare, c’è voglia di
uscire, c’è voglia di lavorare, c’è voglia di ballare, c’è
voglia del non so che....Le origini del buono, del bello, del gradevole…,esistono
in noi stessi: ricercarne le ragioni vuol dire cercare le cause dei piaceri del
nostro animo. Esaminiamo il nostro animo, studiamolo nelle sue azioni e nelle
sue passioni, cerchiamolo nei suoi piaceri. E’ qui dove si manifesta
maggiormente il nostro gusto, che non è nient’altro che la capacità di scoprire
con finezza e prontezza la misura del piacere che ogni cosa ci deve procurare. C'è voglia, c'ho gusto!
mercoledì 2 marzo 2016
Critica e Creazione
In sto periodo sento sempre più frequentemente dire
che, prossimamente, un critico gastronomico affermato, un opinion leader del
settore di indubbio successo, aprirà un ristorante. Quindi, se questo è vero,
egli non si contenta di fare il critico, il sociologo, il filosofo, il polemista….Vuole
fare anche l’artigiano del cibo, l’eroe della cucina (come mi piace chiamare i
cuochi professionisti che lo fanno per mestiere). Giudicare, da che mondo è
mondo, è stato sempre facile. Difficilissimo è mettersi al posto del giudicato
e fare come, o meglio. Nel mondo della ristorazione ciò che secondo me dovrebbe
determinare un giudizio sensato, non sono tanto i dati soggettivi del giudicante, quanto i
dati oggettivi che appartengono al giudicato e a quel che gli permette di
professare. I dati soggettivi infatti appartengono a quella sfera del gusto, soprattutto in generale e del modo di vedere le cose, di cui ciascuno mette una
regola o un “gusto” proprio e si riferiscono quindi alla sfera intima di ogni soggetto,
che deriva dal proprio vissuto….Intendiamoci, dove ci sta anche la qualità,
ma qui si apre di nuovo un mondo perché come detto sopra i parametri cambiano secondo ciascuna
esperienza. Il dato soggettivo cambia quindi da soggetto a soggetto visto che
non siamo tutti uguali e i gradi di giudizio su questi argomenti, fortunatamente, sono
differenti. Ma il dato oggettivo invece, quello che dovrebbe essere il dato
universalmente riconosciuto come principale per un giudizio democratico e vero,
cos’è? E’ tutto ciò che è esterno al gusto del giudicante, che esiste indipendentemente
da lui (giudicante), e che ha un alto grado di universalità. Sono quelle regole di base che stanno dove il
piatto inizia a prendere forma. E delle quali bisogna tenere conto, oltre il fatto scontato
che chi cucina sa farlo comediocomanda. Sono l’etica, la pulizia, l’ordine, i tempi
di esecuzione, il rispetto dei codici gastronomici, la conoscenza della strumentazione
riferita alle diverse tecniche di cottura….Ma chi giudica dovrebbe conoscerle. E a studiare si fa fatica!
martedì 1 marzo 2016
Non mescoliamo le cose
Non mescoliamo le cose!
E' questo un principio minimo di ordine che ho scoperto, da un po’ di tempo, essere costante del mio percorso di vita da cinquantenne. L’ho capito tardi, (ma come si suol dire meglio tardi che mai), e lo pratico quindi di più o forse solo con più consapevolezza, adesso, in età matura a quasi 53. Non mescoliamo le cose, quindi me lo dico e lo faccio con più frequenza adesso che sono un po’ più attempato. Non mescoliamo le cose è un principio di ordine che se ci pensi bene esige trasparenza di pensiero, sapere, chiarezza di discorso, coerenza nel fare…. Non mescoliamo le cose è un principio estremamente esigente. Oggi, quindi, non mescoliamo le cose lo sento più tollerante di un tempo e lo colloco meglio al posto che secondo me deve stare. Non mescoliamo le cose lo riscopro infatti più fecondo nelle scelte quotidiane, nei rapporti umani, nel lavoro, nei sentimenti, nel gusto…. Non mescoliamo le cose adesso mi sembra molto ragionevole. Per non appiattire tutto in un magma indefinito e non fare casino. Non mescoliamo le cose è un principio democratico che deve vivere in tutti noi per dare un’ identità propria e vera a ciò che ogni cosa è, o vorrebbe essere. Ci sono cose degli uomini e cose della terra, della religione e della politica, degli interessi e degli affetti, della natura e dell’artificio, delle professioni e dei passatempo …… Non mescoliamo le cose! Tutto questo, amici, per dirvi che non sono un blogger come qualcuno ha pensato e mi ha scritto.
E' questo un principio minimo di ordine che ho scoperto, da un po’ di tempo, essere costante del mio percorso di vita da cinquantenne. L’ho capito tardi, (ma come si suol dire meglio tardi che mai), e lo pratico quindi di più o forse solo con più consapevolezza, adesso, in età matura a quasi 53. Non mescoliamo le cose, quindi me lo dico e lo faccio con più frequenza adesso che sono un po’ più attempato. Non mescoliamo le cose è un principio di ordine che se ci pensi bene esige trasparenza di pensiero, sapere, chiarezza di discorso, coerenza nel fare…. Non mescoliamo le cose è un principio estremamente esigente. Oggi, quindi, non mescoliamo le cose lo sento più tollerante di un tempo e lo colloco meglio al posto che secondo me deve stare. Non mescoliamo le cose lo riscopro infatti più fecondo nelle scelte quotidiane, nei rapporti umani, nel lavoro, nei sentimenti, nel gusto…. Non mescoliamo le cose adesso mi sembra molto ragionevole. Per non appiattire tutto in un magma indefinito e non fare casino. Non mescoliamo le cose è un principio democratico che deve vivere in tutti noi per dare un’ identità propria e vera a ciò che ogni cosa è, o vorrebbe essere. Ci sono cose degli uomini e cose della terra, della religione e della politica, degli interessi e degli affetti, della natura e dell’artificio, delle professioni e dei passatempo …… Non mescoliamo le cose! Tutto questo, amici, per dirvi che non sono un blogger come qualcuno ha pensato e mi ha scritto.
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