Quando ero piccolo Mago Zurlì era un nome magico per me, ma anche
per gli adulti di casa mia. Era magico il nome, come l’eccezionalità dei modi
di Cino Tortorella e del suo Zecchino d’oro. Il Mago Zurlì è stato uno dei miei
miti d'infanzia che guardavo imbambolato per ore davanti alla televisione mentre interagiva con Topo
Gigio con una naturalezza imbarazzante. Destino volle che Cino Tortorella lo incontrai
personalmente tanto tempo dopo…, da maturo, sul mio campo, ad un Vinitaly. Quando
il Mago Zurlì era ormai uscito dalla scena televisiva col suo prezioso dono di
saper parlare a tutti. Non ricordo in quale edizione del Vinitaly e neanche più
chi me lo presentò… (Sigh!). Parlammo molto quella volta, così come quando
capita con qualcuno che ti sembra di conoscere da sempre... Cino Tortorella mi
raccontò che era incatenato alla storia televisiva dello Zecchino…, al suo personaggio di Mago Zurlì! Non sapevo
fino a quel momento che l’indimenticabile protagonista dello Zecchino d’Oro fosse
anche un grande esperto eno-gastronomo… Che,
oltre lo spettacolo dell’Antoniano di Bologna, aveva fondato delle riviste del
settore…, che collaborava ancora con alcune di esse…, che aveva
a che fare con gli chef, con la ristorazione, col cibo di qualità e coi suoi
produttori, che aveva una certa passione per il peperoncino…! Cino Tortorella quella volta lamentò, con l’appetito e l’allegria
generosa di chi adora la buona cucina, il fatto che non si sapesse in giro di questa
sua passione, di questa sua esperienza, di questa sua specializzazione…, e che tutti lo consideravano “solo” il Mago
Zurlì…, (Sigh!). In quell’occasione mi mise anche al corrente del progetto che
aveva in mente di far togliere il Peccato di Gola dai sette vizi capitali… Per
lui era una cosa inconcepibile che la Chiesa considerasse l'amore per il cibo alla stregua dell’Ira, dell’Invidia, dell’Accidia, della Superbia, dell’Avarizia, della
Lussuria... Concordai! Di più…, mi sembrò un’idea geniale proporre l’abolizione
del Peccato di Gola, un vizio innocente, attraverso il filtro dell’ironia comprensiva! Scherzando gli dissi che con il mio cognome avremmo potuto arrivarci
prima dal Papa per proporgli il suo progetto…, (Sigh!). Dopo quella volta lo vidi ancora molte volte a
diverse manifestazioni eno-gastronomiche in giro per l’Italia… Gli chiedevo sempre a che punto fosse il suo progetto e a che punto fosse arrivata la raccolta di
firme per il Referendum Popolare che aveva in mente… (Sigh!). Adesso che Cino è
volato in cielo lo immagino in Paradiso in un dialogo godereccio, di chi non
si vergogna delle passioni terrene, con Sigieri di Brabante, uno dei pensatori
più originali del XIII secolo, nel tentativo di accordarsi per far abrogare, almeno
lì, il modello dittatoriale imposto su sta terra dalla Chiesa…, (Sigh!).
martedì 28 marzo 2017
venerdì 24 marzo 2017
ciao Bob!
Che cosa posso dire di Bob Noto? Se scrivo tanto ho sempre
l'impressione di avere detto poco e omesso molto. Perché Bob era uomo di una
specie rara. Se n’è andato col troppo che ha dato e che poteva dare. E allora
serve la memoria. Quella minuta d'un incontro..., con il tuo
sorriso pulito, con il fascino e lo stile da vero Signore…., quel giorno che venni
nella tua ferramenta invogliato dalla tua speciale cordialità…, e ti chiesi in
prestito delle tue opere per un evento che organizzavo a Torino... Mi
ringraziasti, invece, tu… Con poco più di quello che le tue foto dicono e non possono
dire della tua gentilezza assoluta, di quella tua disponibilità, ironia e
riserbo… Ciao Bob! Ti vivrò con la malinconia dell'obbligata lontananza...
martedì 21 marzo 2017
Gita sull'Etna
Una foto scattata dallo spazio mentre l'Etna erutta, stava
spopolando sui social dopo che Thomas Pesquet, ingegnere e astronauta francese
dell'Agenzia Spaziale Europea l’ha pubblicata l'8 marzo su Twitter. L’immagine
sembra un’opera d’arte moderna! Qua è là macchie bianche e macchie nere, fatte col
pennello… Un critico gourmet la intitolerebbe riso, nero
di seppia e burrata … Per mio figlio, invece, è quel che rimane di un pezzo di carta bianca cominciata a bruciare..., (Sigh!). Martedì 14 marzo,
uno dei crateri dell’Etna è esploso e il materiale piroclastico ha
beccato una dozzina di persone che si trovavano sul Belvedere del
vulcano a 2700 metri d’altitudine...! Tutti salvi. Svanito l’effetto mediatico della
straordinaria immagine di Pesquet, inizia una due giorni di servizi-tormentone sull’episodio "Etna e i
malcapitati"... Venerdì 17 marzo, fine di tutto..., (Sigh!). In un niente si è passati da una certa ammirazione verso uno spettacolo della natura, in un posto
straordinariamente unico rivelato da una foto, ad un sentimento opposto e contrario formulato da
una cronaca attenta solo a conquistare qualche lacrima di popolo.... (Sigh!). In un mondo sempre più abituato da suoni
nuovi e pervasivi, però, io, da ste poche righe, voglio ridare all’Etna il giusto posto che merita. Attraverso la voce dell’autore Nino Savarese, (Enna 1882- Roma 1945), che scrisse “Gita sull’Etna". 20 pagine che fanno parte del libro “Cose d’Italia”, di cui vi consiglio di leggere anche gli altri racconti di suggestivi luoghi d'Italia scritti dall'autore ennese tra il 1930 e il 1932, curato da Leonardo Sciascia. Gita sull'Etna è uno spaccato di cronaca geologica sapienzale, pieno
di amore per la terra e i suoi segreti... Con il racconto dei paesaggi, che
mutano man mano che l’autore sale verso il cratere... Pennellati dalla
sensibilità del senso culturale che la cronaca di oggi ormai ha lasciato cadere. Gita sull'Etna corre accanto a chi legge proprio con la continuità cadenzata che l'ha costruito, lungo le giornate del suo autore: ritrova cioè il percorso di un diario, tutti gli interni momenti della preparazione, della scoperta, dell'attesa, dell'accadimento... Un racconto che, più di ogni altra cosa, ti fa venire voglia di catapultarti in Sicilia per salire fin lì e godere delle meraviglie dell'Etna.., (Sigh). "... Camminiamo tra vigneti ubertosissimi; si intravedono casette nere e bianche tra i pomari, e sentieri bordati di erbe e di fiori spontanei, e muriccioli pure neri, che chiudono poderi traboccanti di frutteti...". “…Si sente di varcare la soglia di una terra governata da altre leggi naturali, soggiogata da altre forze a noi del tutto sconosciute...". "... Così che l’occhio
non può mai abbandonarsi ad una contemplazione riposata ed ingenua. Si guarda
questa terra con un certo sospetto, anche dove essa appare rigogliosa ed
intatta. Come si guarderebbe un corpo sparso di foruncoli, i quali, sebbene
emarginati, non possono fare a meno di ricordare il passato martirio e tenere l’animo
incerto con la minaccia che il male ritorni…”. "... Alle volte, sono pietre messe le une sulle altre che si alzano appena sulla confusa distesa delle punte, ma se pure non le avanzano, si distinguono lo stesso dalle altre punte dei mucchi casuali, perché mostrano il segno della volontà di un uomo, che è venuto su questo deserto sconvolto a lasciare la traccia di una sua intenzione...". “… Questi agricoltori etnei sono
condannati a misurare con la brevità della loro vita i rivolgimenti naturali ai
quali, in genere, l’uomo non partecipa mai col proprio sentimento e con il
proprio benessere…”. “… Qui si deve vivere come tenendo i piedi sopra una terra
magica, in cui sono possibili alla luce del sole le più meravigliose
apparizioni. Contadini e pastori non seguono solo gli umori dei venti e delle
nuvole che portano il refrigerio della pioggia, ma tenendo l’orecchio ai boati
dell’enorme montagna che sovrasta ogni loro orizzonte, e di notte guardano se
non si accenda nel cielo o nel baratro delle valli qualche riflesso di fuoco”… "...Questa non è campagna solitaria, né deserto, è un segreto della natura al quale l'uomo si sente terribilmente estraneo. Qualche rarissimo uccello che solca l'aria fredda sembra aver sbagliato il suo volo, e sembra fuggire col cuoricino in gola, verso gli alberi del basso...". “
Ecco l’Etna squarciata da cima a fondo: non è una valle, ma un’enorme
lacerazione nera di venti chilometri di giro! Le parte di, di roccia basaltica,
sono ripide o a picco; grossissimi massi sporgenti sembrano brandelli rimasti
attaccati alla enorme ferita, e creano ombre profonde e cavità dentro le quali
l’occhio non penetra... "... "... E’ l’abbandono di ogni
legge, anche di quella che il fuoco si era data a se stesso con gli sbocchi dei
crateri: un momento di pienezza furibonda, uno scrollo di impazienza che
dovette far tremare tutta l’Isola e ribollire i suoi mari…”. “…La natura sembra
assorta in una segreta fatica che l’uomo non può né ammirare né comprendere…”. Per la “Cronaca”…, (Sigh!).
martedì 14 marzo 2017
Caffè verde
L’olfatto, l’ho già detto da queste pagine, http://morsidigusto.blogspot.it/2016/03/finche-cho-naso-vivo.html, è la mia guida sensoriale. Detto ciò, rimango
sempre sorpreso quando incontro odori che mi scatenano prepotentemente ricordi
legati al mio passato. L’altro giorno a Taste di Firenze ho assaggiato un Caffè
Verde dell’amico Massimo Bonini della Torrefazione Lady Cafè. L’odore di sto caffè mi ha colpito diritto al
cuore proiettandomi in un nostalgico tuffo nei ricordi della mia infanzia, (Sigh!). Per un po’,
dopo quella degustazione, sono stato ostaggio della "sindrome
proustiana" come nell'opera "La strada di Swann - Alla ricerca del tempo
perduto", nella quale il protagonista, percependo il profumo dei biscotti
e del the, compie magicamente un viaggio indietro nel tempo tra i ricordi della
sua infanzia. In sto caffè verde c’ho trovato dei particolari profumi di erbe che
mi hanno fatto salire in gola nostalgici momenti. Proiettandomi a quando il mondo di
noi terroni, emigrati a Bra, procedeva spedito, nonostante il
sentimento antimeridionale che sentivo serpeggiare e affiorare ovunque, a
scuola, all’oratorio, al campo sportivo, al cinema, alla Colonia Marina di Bra, (Sigh!)… E
il divario classista lo faceva soprattutto l’alimentazione. L’odore di sto
caffè, mi ha riportato all’odore di alcune erbe selvatiche di quando con mia madre e
mia sorella Elena, poco più grande di me, soprattutto nei pomeriggi primaverili
ed estivi, andavamo a raccoglierle nei campi vicini a casa nostra, arrivando,
per sentieri, fin quasi a Falchetto: cicoria, malva, asparagina, finocchietti
selvatici, tarassaco, silene,… Erano tempi in cui in casa mia si praticava una
dieta vegetariana monastica forzata, perché ogni cibo necessario allora era
scarso e, quindi, sacro. Sacri come, allora, tutti i beni primari necessari oltre il cibo,
l’acqua, la luce, il gas, i vestiti…Se il resto non lascia spazio a nostalgia,
il cibo, invece, mi scatena luoghi antropologici fatti di parole di memorie,
ricordi, storie, persone, relazioni. Il mangiare a quei tempi era operazione
anche rituale scandita sul doppio binario dei cicli stagionali e del
calendario liturgico. Orchestrata dalle lune e dai soli. Dalle vigilie e dalle
feste. Dai patroni e dai santi. Dalle nascite, dai matrimoni, dalle morti.., (Sigh!). Non eravamo mai soli a raccogliere erbe di campo... Ci trovavamo assieme a conoscenti, a bordo di sti campi, coi più grandi attrezzati
di coltello e borsoni di nylon. Alcuni di loro, che abitavano lontano da noi,
arrivavano fin lì imbucati a decine sulle mingherline utilitarie dell’epoca. Eravamo organizzati
a squadre di famiglie che si dividevano anche i figli, dove questi abbondavano
da una parte e scarseggiavano dall’altra..., (Sigh!). Battevamo i campi come perlustratori
specializzati, guidati dal rito per la vita, contro la fame, contro la miseria.
Ma quei momenti, in questo universo sobrio e severo, dove per i grandi non
esisteva il tempo libero, le nostre mamme sapevano mascherarli in svago, in mezzo alla natura. Tra gli intrecci di dialetti
delle mamme che si confrontavano a voce alta chinate a raccogliere nei campi... - gesto che per loro diventava in quel momento luogo di affermazione d’identità e costruzione etnicità di cui essere
orgogliose - noi picciriddi imparavamo col gioco a riconoscere le erbe buone da
raccogliere. Stando attenti alle ortiche, riempiendo le borse di quante più margherite potevamo, dando la caccia al quadrifoglio, correndo dietro ai soffioni, facendoci i timbrini dappertutto coi pistilli del papavero... Sentendo l’odore
di sto caffè, mi sono ricordato dei tempi in cui il palazzo di via Goito, dove
abitavamo, mandava suoni di vita già all’alba..., e a casa mia c’era la regola che
la sera dovevamo esserci a tavola tutti e otto se no non si mangiava…, (Sigh!).
martedì 7 marzo 2017
Mimose
Domani 8 marzo è la Festa della Donna. Si celebrano i
diritti delle donne… Evviva!!! Auguri sinceri a tutte le Donne! Domani ci saranno
mobilitazioni di piazze…, dibattiti, trasmissioni televisive e radiofoniche che,
con slancio morale, eroismo e amore, commenteranno il valore della Festa… E
Mimose, vendute, per essere regalate, in ogni angolo delle strade, a mazzi, anzi a rami, anzi ad
alberi…, (Sigh!). Su esperienza provata vi consiglio di rimandare appuntamenti serali, fuori casa, diversi che per festeggiare questa
ricorrenza. Perché il contributo di partecipazione più
importante a sta Festa, sarà dato da tutte quelle donne che, domani sera, cariche di
determinazione e di una certa effervescenza collettiva, saranno in giro per
locali a commemorare..., (Sigh!). Ogni volta che c’è la Festa della Donna, io ci sto attento
a non consumare appuntamenti o incontri, fuori, la sera…Da quella volta, intorno alla
metà degli anni ’90... Era un 8 marzo, ma mi trovavo in giro per lavoro già da un
po’ di giorni assieme al mio collega Robi, con cui, allora, condividevo gran
parte delle giornate e a volte anche le serate… Quella sera decidemmo di fermarci a
dormire a Parma, dopo aver consumato appuntamenti su appuntamenti in zona, perché
il giorno successivo ne avremmo avuti altri sul percorso che ci riportava a Bra…,
(Sigh!). Prenotammo all’Hotel Torino, in
centro. Nessuno di noi due aveva memorizzato, ricordato o commentato, nel
frattempo, che, quello, fosse, l’8 Marzo, La Festa della Donna!!! Così, come al
solito, per scegliere dove andare a mangiare quando si era fuori, sfogliammo
una serie di Guide ai ristoranti… Iniziando dalla Nostra, se non altro anche per capire ogni volta se la
segnalazione aveva un suo valore… E iniziammo a telefonare. Chiamammo una ad
una tutte le Osterie d’Italia della città, segnalate dalla guida..., anche quelle nell’arco di 20
chilometri da Parma.! La risposta dall’altra parte del telefono, ogni volta, fu
sempre la stessa: “siamo al completo”. Il nostro commento al fatto, come un padre che fa i complimenti al proprio figlio..., fu di elogio alla nostra Guida che ci dimostrava così di essere seguitissima! Peccato che fu così anche per le altre Guide che consultammo dopo…, (Sigh!). Disarmati e inconsapevoli del perché, ma allo
stesso tempo meravigliati da cotanta passione gastronomica da parte dei parmigiani,
cercammo nuovi indirizzi alla Reception dell’Hotel… A quei tre o quattro numeri che gentilmente ci consigliarono trovammo sempre la stessa risposta, "completi"... Senza che nessuno, mai, facesse riferimento al perché..., (Sigh!). Sfiniti, ed esauriti gli spunti di ricerca, provammo
con le Pagine Gialle… E finalmente trovammo un posto! Arrivati lì ci meravigliammo del parcheggio zeppo di macchine…, che commentammo come un ottimo segnale..., (Sigh). In contrasto con lo squallore esterno della struttura del locale tipo pagoda cinese illuminata
a giorno. Quando aprimmo la porta d'ingresso del locale fu un momento imbarazzante che ricorderò sempre…, (Sigh!). L’unico salone era pieno e zeppo di donne in ghingheri…
sbraitanti…, che occupavano tutti i tavoli e le tavolate del ristorante…. Palloncini, festoni, e nature morte, arredavano l'unico squallido freddo salone del locale gremito come uno stadio… Mimose e pajette dappertutto! Robi ed
io, timidamente, prendemmo posto nell’unico tavolino allestito per due tra il bancone d’alluminio
lucido e il frigo bianco dei gelati Sanson… Le Mimose sul nostro tavolo, anch'esse sconcertate di stare in mezzo agli unici due uomini ospiti, ci accompagnarono per tutto il tempo, molto breve, in cui consumammo certe "delizie kitsch" guardati a vista..., (Sigh!).
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